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06 Novembre 2025 0 Commenti Samuele Mannini

Dei Nightblaze avevo già parlato lo scorso anno nella recensione del loro album di debutto (qui la recensione), indicandoli come esempio emblematico del movimento italiano nel mio articolo dedicato alla scena melodic rock nazionale (qui il link). Il loro successo mi era parso un segnale incoraggiante: nel referendum di Rock Report si erano classificati al secondo posto, mentre in quello di Rock Of Ages avevano addirittura sbaragliato la concorrenza. Va ricordato che, in quell’anno, erano usciti dischi di band di ottimo livello e che il pubblico di Rock Report è internazionale, non limitato all’Italia — dove qualcuno potrebbe pensare che il fattore “patriottico” abbia avuto un peso.
Evidentemente anche la band ha pensato che fosse il momento giusto per tentare un salto di qualità e ampliare il proprio raggio d’azione, incidendo quattro nuovi brani dal sound più fresco e con un appeal musicale più moderno, nella speranza di farsi notare anche sulla scena internazionale.
È inutile spiegare quanto sia difficile sostenere tutto questo: comporre, registrare e produrre un disco comporta spese interamente a carico dei musicisti, e le vendite dei CD non bastano nemmeno a coprirle. Realizzare un video promozionale su YouTube rappresenta un ulteriore investimento, senza reali ritorni dalle visualizzazioni. Per sopravvivere economicamente, una band avrebbe bisogno di suonare dal vivo — ma in Italia, lo sappiamo bene, questo resta spesso un obiettivo irraggiungibile. Ed infatti, purtroppo, non è successo.
Questo “Evaricade” è infatti un EP di quattro canzoni che avrebbe dovuto fungere da volano per ottenere un riscontro anche all’estero e provare così a mantenere in vita il progetto anche sul piano economico. Ed invece non è andata così: è rimasto un vorrei ma non ho potuto, un tentativo sincero in cui la band ha comunque dato il tutto per tutto, mettendosi in gioco in una scena e in un genere che purtroppo stanno diventando sempre più una nicchia nella nicchia di una nicchia.
Sinceramente, a me sanguina il cuore nel pensare che nessuno abbia voluto dare una vera chance a questa band; eppure, facendo questo “mestiere di scribacchino”, mi è capitato di ascoltare molto di peggio, spesso peraltro promosso e pubblicizzato da etichette di ben maggiore risonanza. A quanto pare, solo la Burning Minds, dopo aver pubblicato l’album d’esordio, ha scelto di dare spazio anche a queste nuove canzoni — insieme ad alcune rivisitazioni del primo disco — offrendo comunque al gruppo la possibilità di lasciare una testimonianza concreta del proprio percorso.
Pensare che compositori del calibro di Dario Grillo ed una voce come quella di Damiano Libianchi non trovino una collocazione stabile in questa scena è, francamente, un paradosso. E voi pensatela come volete, ma mi permetto di esprimere questo giudizio perché ascolto diverse decine di dischi all’anno e, da quando seguo questa musica, ne ho ascoltati ormai diverse migliaia: direi quindi che un’idea abbastanza chiara su chi vale e chi no me la sono fatta.
Volete sapere come sono le canzoni, da questa mia ‘Non Recensione’? Sono fighissime — e sarebbero state sicuramente degne di essere affiancate da altri brani inediti, in un album completo che avrebbe potuto mostrare nuove sfaccettature di una band che, chiaramente, aveva ancora molto da dire.
Per quanto riguarda invece le versioni riarrangiate, alcune mi convincono e mettono in luce lati diversi che avrebbero potuto essere approfonditi, mentre altre, lo ammetto, lasciano un po’ il tempo che trovano. Ma non è un problema: non sono loro il ‘core’ del disco, e ciò che conta davvero è la qualità e l’anima dei nuovi brani, che parlano da soli.
Se anche voi, come me, avete creduto in questo progetto, prendete anche questo CD: credo sia bello possedere l’intero percorso musicale di una band che avrebbe voluto ed avrebbe persino potuto diventare molto di più.
31 Agosto 2025 6 Commenti Samuele Mannini

Uno degli argomenti più divisivi degli ultimi anni è senza dubbio l’impiego dell’intelligenza artificiale nella vita moderna, e in particolare in un ambito da sempre considerato umano per eccellenza: l’arte, in tutte le sue espressioni. È un tema complesso, ricco di sfumature che meritano attenzione. Qui ci concentriamo sulla musica, ma il discorso può estendersi alla scrittura, alla pittura, al cinema e oltre.
Proveremo ad affrontare la questione, consapevoli che riusciremo solo a sfiorarne la superficie, ma scegliendo un approccio giocoso che stimoli anche la riflessione. Buona lettura.
Pensate di trovarvi in una grande aula di tribunale, gremita di musicisti, critici, appassionati e curiosi. Va in scena un processo senza precedenti: l’imputato è l’Intelligenza Artificiale applicata alla musica.
C’è chi la accusa di minacciare la creatività umana, riducendo l’arte a un calcolo matematico, e chi invece la difende come uno strumento rivoluzionario, capace di ampliare le possibilità espressive e aprire orizzonti inediti.
Sul banco dei testimoni si alterneranno argomenti, esempi, esperimenti: canzoni generate in pochi secondi, colonne sonore modellate da algoritmi, ma anche la voce di chi teme un futuro in cui l’anima della musica venga sacrificata sull’altare della tecnologia. Ascolterete due versioni, spesso opposte e discordanti, che la giuria dovrà cercare di sintetizzare.
Il verdetto non è scontato, anzi, forse non esiste. Ciò che conta è osservare da vicino questo dibattito, con i suoi pro e contro, come in un vero processo: Accusa contro Difesa, Uomo contro Macchina, Tradizione contro Innovazione.
Il brusio in sala si attenua, le luci si abbassano, il giudice prende posto. Con voce ferma, dichiara:
«È aperta la seduta. Oggi siamo qui per discutere un caso senza precedenti: l’Intelligenza Artificiale applicata alla musica.
Sul banco degli imputati siede una tecnologia capace di comporre melodie, armonie e testi in pochi secondi. Una novità che entusiasma alcuni e terrorizza altri.
A rappresentare l’Accusa c’è chi vede nell’IA una minaccia all’essenza stessa della creatività umana; a rappresentare la Difesa chi la considera un alleato prezioso, un nuovo strumento per ampliare le possibilità dell’arte.
Il compito della giuria, cioè di voi lettori, sarà ascoltare le due versioni, valutarne i pro e i contro e, se possibile, trarne un giudizio. Ma, come in ogni grande processo, non è detto che la sentenza sia semplice o definitiva, né che ciò che oggi appare giusto sarà quello che accadrà domani.
Dichiaro dunque aperto il processo: L’Uomo contro la Macchina, la Tradizione contro l’Innovazione.»
Ecco prendere parola l’Accusa:
«Signori della corte, mai avrei pensato di trovarmi qui ad accusare un software di dare il colpo di grazia alla creatività umana. Da piccolo mi dicevano che, grazie all’evoluzione di macchine e programmi, avremmo avuto più tempo libero per sviluppare il nostro intelletto e dedicarci alle arti. Ho presto capito che l’automazione non ci avrebbe liberato dalla schiavitù lavorativa, ma non avrei mai immaginato che proprio le arti sarebbero state tra i settori più colpiti.
La musica nasce dall’esperienza, dall’emozione, dal vissuto. Un algoritmo non prova gioia, dolore, amore o rabbia. Può analizzare milioni di canzoni e copiarne schemi e progressioni, ma non potrà mai trasformare la sofferenza in poesia né raccontare un ricordo o una rivoluzione interiore.
C’è poi il rischio concreto per i musicisti: meno opportunità, meno lavoro, meno spazio per chi mette l’anima in ciò che produce. La creatività non è solo tecnica: è cultura, storia, sogno. Se lasciamo che l’IA produca musica in serie, rischiamo di ridurre tutto a un prodotto uniforme, calcolato, senza vibrazione.
E non dimentichiamo l’aspetto sociale: un pubblico abituato a consumare musica artificiale rischia di perdere il contatto con l’arte vera, con l’imperfezione che rende unica ogni creazione.
Non sono un nemico del progresso. Amo la tecnologia, ma la creatività umana non è un dato da replicare: è un patrimonio da proteggere.»
Prende ora la parola la Difesa:
«Signori della corte, comprendo le preoccupazioni sollevate dall’Accusa, ma vi chiedo di guardare oltre la paura: l’Intelligenza Artificiale non è un nemico, è uno strumento potente ma neutro, nelle mani di chi sa usarlo. L’IA non sostituisce la creatività: la amplifica. Può generare idee, suggerire melodie, proporre armonie inedite, ma non può vivere o scegliere per noi. È un alleato per chi compone, produce, sogna di trasformare in suono un’emozione. Non ruba nulla: spalanca nuove porte. Pensate agli strumenti musicali che oggi diamo per scontati: il pianoforte, la chitarra elettrica, i sintetizzatori. Quando furono introdotti, furono guardati con sospetto. Eppure, hanno rivoluzionato la musica. L’IA è lo stesso: un’evoluzione, non un furto. E c’è anche un lato sociale: permette a giovani e indipendenti di esprimersi e condividere la propria arte. Non è sostituzione, ma democratizzazione: un ponte tra idee e suono.
L’IA non spegne l’anima dei musicisti: semmai, la accende sotto nuove forme. Sta a noi decidere come usarla, con responsabilità e fantasia.»
Giudice:
«La corte ascolta ora il confronto diretto tra le due parti. Ogni affermazione sarà replicata dall’altra, per chiarire dubbi e posizioni.»
Accusa:
«L’IA non prova emozioni, non conosce gioia, dolore o passione, non ha nemmeno le orecchie e non può ascoltare con sensibilità umana. Come può allora creare musica autentica, che parli al cuore e non solo al calcolo?»
Difesa:
«È vero, non prova emozioni. Ma non è il software a doverle provare: le emozioni appartengono al compositore, al musicista che lo utilizza. L’IA è uno strumento, non un sostituto della sensibilità umana.»
Accusa:
«Resta il problema della standardizzazione: musica generata in serie, senza imperfezioni né originalità. I musicisti rischiano di perdere spazio creativo e identità.»
Difesa:
«Può sembrare così, ma l’IA può anche offrire nuovi spunti, combinazioni inedite e stimolare la fantasia. Sta al musicista decidere cosa usare e come personalizzarlo. Non elimina il ruolo umano, lo supporta.»
Accusa:
«E cosa dire del pubblico? L’abitudine a consumare musica artificiale può ridurre la percezione del valore dell’arte reale, dell’imperfezione e delle sfumature che rendono unica ogni creazione.»
Difesa:
«È un rischio possibile, ma non inevitabile. La tecnologia non obbliga nessuno a sostituire l’esperienza umana: l’ascoltatore sceglie ancora cosa sentire e come emozionarsi. L’IA può solo ampliare le possibilità, non sostituirle.»
Accusa:
«E non dimentichiamo l’impatto economico: una produzione massiva di musica automatica può marginalizzare chi vive di arte, riducendo opportunità e lavoro.»
Difesa:
«D’altra parte, l’IA può democratizzare la creazione musicale: chi prima non aveva mezzi o competenze può sperimentare, creare e condividere. È uno strumento di accesso, non solo di rischio.»
Accusa:
«Democratizzazione? L’arte non deve essere democratica. L’arte è un dono che non tutti hanno in egual misura. Perché fornire strumenti a chi è mediocre, solo perché ha mezzi economici per permettersi certe attrezzature e determinati software, mettendolo in competizione con chi ha davvero il dono del talento?»
Giudice:
«La discussione mette in luce due visioni opposte, entrambe legittime. L’IA non è neutra né onnipotente: è uno specchio delle scelte umane. La giuria, cioè voi lettori, dovrà decidere quale equilibrio trovare tra Uomo e Macchina.
Avete qualche testimonianza a suffragio delle vostre rispettive posizioni?»
Accusa:
«Certamente Vostro Onore, chiamo a testimoniare Francesco Lupo, cantautore indipendente.
Signor Lupo, ci racconti la sua esperienza per favore.»
Francesco Lupo, testimone:
«Con Piacere. Da anni creo musica con passione, cercando di raccontare storie che nascono dal mio vissuto. Ultimamente, però, noto qualcosa di inquietante: nelle playlist di Spotify, curate da algoritmi, le mie canzoni vengono spesso messe in ombra da brani generati interamente da IA. Questi pezzi non pagano diritti d’autore, eppure occupano gli stessi spazi che potrebbero essere miei.
Non è solo una questione economica: è anche un problema di riconoscimento. La mia musica è frutto di esperienza, emozione, lavoro umano. L’IA produce rapidamente, senza fatica né storia. Eppure, per l’algoritmo, vale lo stesso. È frustrante vedere che ciò che è autentico e umano viene oscurato da ciò che è calcolato.»
Difesa:
«Signor Lupo, comprendo le sue difficoltà. Tuttavia, esistono anche casi in cui l’IA può diventare uno strumento di visibilità per artisti indipendenti. Non ritiene che, se usata con attenzione, possa ampliare le opportunità invece di sottrarle?»
Francesco Lupo:
«Potenzialmente sì, ma nella realtà attuale l’equilibrio non c’è ancora. Il rischio che prevalga il calcolo algoritmico è concreto.»
Accusa:
«Nessun’altra domanda, Vostro Onore.»
Difesa:
«Vostro Onore, chiamo a testimoniare Elena Marino, cantautrice e producer indipendente.
Signora Marino, vuole illustrarci qual’ è la sua esperienza con l’ IA?»
Elena Marino, testimone:
«Vi racconterò molto volentieri quelle che sono le mie esperienze.
Io uso l’IA come strumento creativo. Quando preparo un nuovo pezzo, gli algoritmi suggeriscono progressioni armoniche o arrangiamenti alternativi, ma sono sempre io a decidere cosa conservare. Non sostituiscono la mia creatività, la arricchiscono.
Grazie a questi strumenti riesco a produrre più brani in meno tempo e a sperimentare stili che altrimenti non avrei mai provato. Alcuni algoritmi mi hanno persino aiutata a raggiungere nuovi ascoltatori. L’IA non cancella il lavoro umano, lo amplifica.»
Accusa:
«Non ritiene che un eccesso di fiducia in questi strumenti possa confondere il confine tra ciò che è umano e ciò che è generato automaticamente?»
Elena Marino:
«È un rischio da considerare, certo. Ma la responsabilità è nostra: decidere come e quanto usare la tecnologia, senza abdicare alla nostra creatività.»
Accusa:
«E se per una mancanza di responsabilità rischiassimo di appiattire o addirittura uccidere l’arte?»
Elena Marino:
«Vuol dire che dovremmo maturare come umanità.»
Giudice:
«Le testimonianze evidenziano due esperienze opposte ma reali. L’IA può essere sia un pericolo per alcuni, sia un’opportunità per altri. La giuria, cioè voi lettori, dovrà valutare questi elementi e ponderare rischi e benefici della tecnologia musicale.
Chiedo ai legali di fornire dati concreti sull’uso dell’Intelligenza Artificiale nella musica e come questi si riflettano sulla vita reale dei musicisti.»
Accusa:
«I numeri confermano quanto testimoniato da Francesco Lupo. Ogni giorno vengono caricati oltre 20.000 brani generati da IA, pari al 18% degli upload giornalieri. Fino al 70% degli stream sospetti sono generati da bot. La musica umana rischia di essere soffocata dalla produzione automatica, mentre i veri artisti vedono diminuire visibilità e opportunità economiche. Ci siamo lamentati per anni dell’autotune: ci sembrava già una minaccia alla naturalezza del canto. Eppure, in confronto all’IA, era solo un giocattolo. L’IA non si limita a correggere: compone, arrangia e produce intere opere quasi senza intervento umano, riducendo il valore di esperienza, emozione e cultura che stanno alla base di ogni grande musica. Oggi chiunque può produrre un brano completo senza saper suonare uno strumento o leggere una partitura. Non stiamo più parlando di uno strumento, ma di un autore fittizio che sostituisce l’uomo.»
Difesa:
«È vero che l’IA riduce la soglia tecnica di accesso, ma non elimina la creatività di chi sa guidarla. Testimonianze come quella di Elena Marino mostrano come un musicista consapevole possa usarla per sperimentare e raggiungere nuovi ascoltatori. I sistemi di rilevamento delle piattaforme, con accuratezza del 99,8%, aiutano già a tutelare il lavoro umano.»
Accusa:
Ma questi dati non cambiano la sostanza: la musica IA cresce in quantità, invade le piattaforme e riscrive le regole del mercato. La qualità artistica, la capacità di innovare, sfidare il pubblico e creare nuovi generi rischia ora di essere oscurata. Non possiamo ignorare che il processo creativo umano, frutto di sensibilità ed esperienza e del riflesso delle epoche vissute dagli artisti, ha generato movimenti come il progressive rock, il punk e l’heavy metal. L’IA non prova emozioni e non osa contraddire il gusto predefinito di algoritmi e piattaforme. Mi chiedo se, in un’epoca come la nostra, i Pink Floyd sarebbero potuti nascere…»
Difesa:
«Ribadisco: i numeri indicano quantità, non qualità. L’IA può diventare uno strumento di sperimentazione per chi ha visione e talento. Il musicista resta il vero autore, se decide di usarla come alleato e non come sostituto.»
Giudice:
«La corte prende atto: i dati mostrano rischi concreti e opportunità. Tuttavia, la dimensione artistica tradizionale è messa sotto pressione da un ecosistema in cui l’IA può imitare e saturare il mercato. Questo cambiamento ridisegna il modo in cui la musica viene creata, distribuita e consumata, e pone la giuria davanti a un interrogativo essenziale: l’innovazione culturale sopravviverà alla crescente autonomia delle macchine, o sarà costretta a ridefinirsi in un mondo dominato dagli algoritmi?
Chiedo ai legali se hanno qualcosa da aggiungere prima di concludere il dibattimento.»
Accusa:
«Abbiamo ascoltato numeri, dati, testimonianze. Ma non dimentichiamo il cuore della questione: la creatività umana. È grazie alla sensibilità e al coraggio che nascono capolavori e rivoluzioni. Dalla musica classica al blues, dal jazz al rock: tutto è frutto di un’evoluzione creativa fatta di esperimenti, fallimenti, ripensamenti e turbamenti dell’animo umano. Queste espressioni non sarebbero mai nate in un mondo dominato da algoritmi predittivi. L’IA può produrre melodie e arrangiamenti, ma non può osare, non può rischiare, non può rivoluzionare. Dobbiamo proteggere la scintilla dell’innovazione culturale prima che venga soffocata dall’efficienza fredda delle macchine.»
Difesa:
«Comprendo le preoccupazioni della parte avversa. Ma guardiamo ai fatti: l’IA non sostituisce la creatività, la moltiplica. Permette a chi ha talento di andare oltre i confini tradizionali, di combinare stili, di creare connessioni nuove tra generi. Il progressive rock, il punk, il metal hanno rivoluzionato la musica perché qualcuno ha osato usare strumenti innovativi con visione e passione: l’IA può essere quel nuovo strumento. Non è una minaccia, è un acceleratore, una porta verso territori inesplorati. Il futuro della musica non è meno umano: è più ricco, se l’uomo saprà guidare la macchina senza lasciarsi guidare.»
Giudice:
«La corte ha ascoltato ogni parola, ogni testimonianza e ogni dato. Davanti a voi, giuria, non c’è solo un imputato: c’è il futuro della musica, sospeso tra uomo e macchina. Riflettete sul valore dell’emozione, sulla forza della creatività, sul coraggio di innovare.
Il vostro verdetto non è semplice: è la scelta di quale mondo musicale vogliamo abitare domani.»
Speriamo che l’articolo vi sia piaciuto e che la forma un po’ “giocosa” che abbiamo usato sia stata utile a facilitarne la lettura. Precisiamo però che gli argomenti trattati sono reali e che i dati utilizzati sono veri, pubblici e verificabili. Lo stesso vale per i dialoghi dei due artisti riportati nelle testimonianze, presentati però con nomi di fantasia per motivi di privacy e per garantire una maggiore libertà creativa nella scrittura dell’articolo.
Comunque la pensiate, l’utilizzo delle IA cambierà per sempre il nostro futuro. Usarle come strumento nelle nostre mani o senza criterio condizionerà irrimediabilmente il concetto che avremo dell’arte nei prossimi anni. Probabilmente, il processo andrebbe fatto all’intero genere umano, che non sempre è stato capace di usare al meglio gli strumenti che egli stesso ha creato, ma qui il discorso si allargherebbe troppo rischiando di sfociare nella filosofia pura.
Se volete approfondire gli argomenti che abbiamo trattato, alcuni spunti li troverete nel box qui sotto.
04 Giugno 2025 6 Commenti Denis Abello

Diciamocelo, dopo sei anni di fermo non so se qualcuno si sarebbe aspettato una nuova edizione di quello che per sei edizioni è stato uno dei migliori Festival Hard e Melodic Rock d’Europa. Per fortuna il presidente della Frontiers, ovvero Serafino Perugino, è stato abbastanza folle da voler riaccendere i riflettori su questo meraviglioso evento!
Così il 2025 ha rivisto svettare per tre giorni (25, 26 e 27 aprile) sull’Italia (in quel luogo culto che è il Live Music Club di Trezzo sull’Adda) la bandiera del miglior Hard Rock e Melodic Rock / AOR.
Diciamoci anche questo, se il patron della Frontiers ha voluto riscommettere sul Frontiers Rock Festival, a questo punto possiamo dire che la scommessa è stata pienamente vinta. Sul palco sono saliti 21 Artisti per un tolate di 27 esibizioni, contando anche le acustiche, e nessuno ha mancato l’obiettivo di coinvolgere il pubblico e portarsi a casa, chi più chi meno, un valido show. Ci sono poi state punte di vera eccellenza come vedremo a breve sviscerando le varie esibizioni.
A questo giro inoltre il pubblico ha abbracciato questa nuova possibilità di aver un Evento di questa portata in Italia e diciamo che rispetto ad altre edizioni l’affluenza è stata sicuramente migliore, con la giornata di sabato a farla da leone.
DAY 01
FANS OF THE DARK
Il Festival riparte con questa giovane band Svedese che sinceramente reputo una delle migliori novità sotto l’ala di mamma Frontiers! Con tre ottimi album all’attivo, un cantante particolare e carismatico e una band di livello le premesse erano ottime e le mie speranze alte!
Non tutti forse sanno però che poco prima di partire per l’Italia la band ha avuto un contrattempo e per problemi personali ha “perso” il suo batterista Freddie Allen, che è anche uno degli “ideatori” di questa band… e qui capita il Miracolo!
Recuperato al volo un Italianissimo batterista che risponde al nome di Marco Sacchetto (attualmente in forze ai Temperance) che in una notte si è studiato la scaletta e “fresco come una rosa” (dopo una notte tempestosa) si presenta sul palco e permette alla band di portare a casa il concerto! A questo punto ci si poteva aspettare uno show leggermente sottotono ed invece i Fans Of The Dark spingono e forti della presenza scenica e della voce del frontman Alex Falk unita a dei brani che dal vivo funzionano si mettono in tasca una bella esibizione che infiamma da subito il già numeroso pubblico sotto al palco. Chiudono con una cover dei Balance! Hanno vinto tutto!
Dimenticavo, il buon Marco Sacchetto se la giostra come se avesse sempre suonato con loro e i Fans Of The Dark ne escono da assoluti vincitori! Onore a Marco e applausi alla Band! Bravi davvero!
SETLIST
Night of the Living Dead
Life Kills
Christine
Let’s Go Rent a Video
Find Your Love
The Neon Phantom
In for the Count (Balance cover)
ART NATION
Attesi da tanti anche grazie al frontman Alexander Strandell, una delle “Voci” del momento. Anche loro Svedesi, al pubblico sembrano non dispiacere ma al sottoscritto risultano forse un pochino troppo freddi.
Sanno comunque il fatto loro e sicuramente Strandell è un buon frontman ma come dicevo sopra al loro spettacolo manca un po’ di pepe. funziona, loro sono bravi ma nessuno mi toglie l’idea che abbiano viaggiato leggermente con il freno tirato. In ogni caso a parecchi fans sono piaciuti e loro sicuramente lo spettacolo se lo portano a casa.
SETLIST
Brutal and Beautiful
Thunderball
Echo
Lightbringer
Halo
Need You to Understand
SHAKRA
Qui si inizia a spingere sul serio. Non conoscevo particolarmente bene la band di Mark Fox e compari se non per alcuni brani sparsi. Che carica gente, questi vivono a pane e palco. Ancora una volta la Svizzera mostra di saper sfornare grandi band hard rock!
Hanno i brani, hanno un frontman dannato e picchiano come panzer tedeschi! Poche altre storie, sto recuperando la loro discografia!
SETLIST
Hello
A Roll of the Dice
Too Much Is Not Enough
Invincible
Something You Don’t Understand
Raise Your Hands
Ashes to Ashes
Rising High
BONFIRE
Per me i quattro (già… q u a t t o!) Bonfire sono degli Eroi. Dei “vecchi” Bonfire non hanno più nulla… neppure Hans Ziller (unico membro originale rimasto)! Infatti all’ultimo la band sembra sia rimasta “orfana” dell’unico membro portatore della bandiera dei “Bonfire di un tempo”.
Poco male, i nostri quattro salgono sul palco, dimostrano di essere dei professionisti con gli attributi, chiedono al loro cantante (Dyan Mair) di giocarsela tutta e sputare anche un polmone! Il risultato è l’esibizione più “metal” di questa tre giorni di musica!
Ascoltare pezzi storici dei Bonfire in versione “Speed Metal” fa un po’ strano mentre i nuovi brani calzano a pennello sulla voce di Mair e sui riff di chitarra di Panè. La sezione ritmica viaggia veloce come una buona Porsche 911 di qualche anno fa e alla fine ti ritrovi con il pugnetto alzato! Bravi “Metal Bonfire”, mi avete fatto divertire!
SETLIST
I Will Rise
S.D.I.
Sweet Obsession
I Died Tonight
Sword and Stone
You Make Me Feel
Longing for You
Don’t Touch the Light
Champion
Ready 4 Reaction
HONEYMOON SUITE
L’unica cosa che lascia l’amaro in bocca è sapere che a queste latitudini (ma direi in Europa) difficilmente li rivedremo. Il Frontiers vale già solo il viagio per loro. Si parte con un breve ritardo per un problema tecnico (piccola nota, qua e la durante il festival qualche problema si è presentato e forse i suoni non sono sempre stati perfetti), ma la band si dimostra subito in forma smagliante con un Johnnie Dee vocalmente ineccepibile e grande mattatore sul palco, coadiuvato dalla chitarra di Derry Grehan. I Canadesi ripagano da soli il prezzo della prima giornata e con una setlist riuscita che pesca dai loro album storici più alcuni brani dall’ultimo lavoro Alive del 2024 si conquistano praticamente tutto il pubblico!
SETLIST
Say You Don’t Know Me
Find What You’re Looking For
Burning in Love
Wounded
Stay in the Light
Lookin’ Out for Number One
Guitar Solo
New Girl Now
Love Changes Everything
PRIDE OF LIONS
Fermatevi tutti. Qui le cose si fanno serie e si è andati veramente vicini ad una piccola catastrofe… facciamo un passo indietro. Soundcheck, il buon Toby Hitchcock conosciuto per la sua incredibile Voce e che insieme a quella leggenda vivente di Jim Peterik (ex Survivor) forma la colonna portante dei Pride of Lions, sale sul palco… senza voce! Rischi del mestiere come si dice in questi casi… ma il nostro è uno che non si arrende!
Mentre la presentatrice (La Mary Ferranti) scalda il pubblico Toby si avvicina e con molta umiltà spiega la sua situazione e chiede l’aiuto del pubblico. Gran gesto ma tra il pubblico più di una persona si prepara al peggio.
Invece Toby una volta salito sul palco seppur non al 100% (ma un Toby al 70% è migliore del 98% dei cantanti al 100%) tiene botta per metà del concerto con il pubblico assolutamente coinvolto nello show… e poi?
Poi il buon Peterik, seppur meno attivo rispetto all’ultima sua partecipazione al Frontiers, ha un lampo di genio… coinvolgere Robin McAuley (che presenzierà solista il giorno seguente) nel concerto. Per chi non lo sapesse (… ma se non lo sapete e siete su queste pagine… Pentitevi Gente! 🙂 ) Robin ha preso parte ad un tour con i Survivor, band “madre” di Peterik.
Da li il concerto diventa una sorta di tributo ai Survivor e un’inaspettata svolta per il pubblico. Svolta tra l’altro che sembra nettamente gradita.
Alla fine diciamocelo chiaro, sicuramente non è stato un concerto “tecnicamente perfetto” ma fatemi dire che a livello di emozioni quello che i Pride of Lions hanno regalato al pubblico ed allo stesso modo quello che il pubblico ha regalato ai Pride of Lions è stato impareggibile!
Ultime due chicche… la backing band al seguito dei Pride Of Lions era formata tutta da Artisti Italiani (praticamente tutti gli Hell in the Club) e i nostri hanno contribuito in maniera magistrale a supportare quello che forse poteva essere lo spettacolo più “problematico della serata”! Grandi Ragazzi, ci avete reso orgogliosi di voi!
Secondo punto, visto che il Toby si sentiva in “difetto” verso il pubblico ha fatto l’unica cosa che gli pareva giusta, a fine concerto è sceso tra la gente e ha letteralmente conversato e si è “concesso” con tutti quelli che si trovavano in transenna… può sembrare una cosa da poco, ma non lo è! Gran bel gesto!
SETLIST
Eye of the Tiger (Survivor cover)
Sound of Home
Gone
It’s Criminal
In Good Faith (Survivor cover)
The Search Is Over (Survivor cover)
High on You (Survivor cover) (with Robin McAuley)
I Can’t Hold Back (Survivor cover) (with Robin McAuley)
Burning Heart (Survivor cover) (with Robin McAuley)
ASIA
In questa incarnazione degli ASIA originali resta solo il tastierista Geoff Downes. Poco male perchè alla voce c’è il “figlio segreto” di John Wetton. Harry Whitley, anche lui voce e basso è infatti la versione giovanile di Wetton con dalla sua una voce ancora più pulita dell’originale. Per non farsi poi mancare niente a chiudere il cerchio di questa band si trovano il chitarrista John Mitchell che faceva parte degli Icon, progetto parallelo proprio di Downes e Wetton e alla batteria il grandissimo Virgil Donati che faceva parte di un’edizione moderna del gruppo prog rock “UK” con Wetton. Insomma, gira e rigira tutti i componenti in qualche modo hanno un filo che li lega al mondo ASIA ed al compianto Wetton.
Questo però non basta. Per portarsi a casa pagnotta e serata i nostri sul palco fanno scintille e fuochi d’artificio. Perfetti, con una scaletta raffinata e centrata e con Harry Whitley che con eleganza e raffinatezza tiene alta la bandiera degli ASIA.
Sicuramente il concerto più “di classe” di questa kermesse musicale! Alto livello in chiusura di una giornata a dir poco eccellente!
SETLIST
The Heat Goes On
Don’t Cry
Wildest Dreams
Here Comes the Feeling
Eye to Eye
An Extraordinary Life
Time Again
Cutting It Fine
The Smile Has Left Your Eyes
Only Time Will Tell
Go
After the War
Sole Survivor
Encore:
Open Your Eyes
Heat of the Moment
DAY 02 – ACOUSTIC
Premessa: quest’anno il Frontiers cambia formula e per i possessori del VIP ticket viene organizzato un evento acustico nel secondo e terzo giorno come “warm up” pre festival. Ero scettico su questa scelta che invece grazie anche ad un’ottima location sempre all’interno delle mura del Live Clun e ad una perfetta gestione risulta assolutamente vincente dando ancora più enfasi e fascino a questa tre giorni di grande musica.
GIRISH AND THE CHRONICLES
Si aprono le danze con gli Indiani Girish and the Chronicles e l’effetto MTV Unplugged è subito servito su un piatto d’argento. Questi “scappati da casa”, come è giusto che sia per una band hard rock grezza e stradaiola si presentano invece in versione acustica come i bravi bambini della Prima Comunione e tirano giù un’esibizione veramente ben confezionata. Il gruppo c’è, è affiatato e si vede. In acustico mi aspettavo di vederli un po’ costretti, invece si divertono, hanno dalla loro inoltre il valore aggiunto di una voce fenomenale come quella di Girish Pradhan e ne escono quasi come i perfetti ragazzi da presentare alla mamma… ma che spero nessuna presenti mai veramente alla mamma.
SETLIST
Rock and Roll (Led Zeppelin cover)
Rock ‘n’ Roll Is Here to Stay
Hail to the Heroes
CHEZ KANE
Errare è umano. Ho sempre pensato che Chez Kane, per quanto brava, fosse un personaggio un po’ costruito. Quanto mi sbagliavo! Questa è proprio così come la si vede. Eccentrica e genuina con un Talento che dal vivo esplode ancora di più che su disco. Con la sua bella voce ed il suo modo di fare in grado di conquistarsi subito le simpatie del pubblico mostra in acustico una gran presenza scenica. Si porta inoltre a corredo una band con i calzini spaiati in bella vista (non scherzo) il che la rende ancora più “vicina” alla gente. Piace un po’ a tutti in modo sincero! Brava!
SETLIST
Too Late for Love
Better Than Love
Streets of Gold
Love Is a Battlefield (Pat Benatar cover)
Rocket on the Radio
FM
Questi simpatici e arzilli attempati giovanotti inglesi vivono sicuramente chiusi nel cellophane per essere scartati tutte le volte che devono salire su di un palco. Non si spiegherebbe altrimento lo stato di “conservazione” pressochè perfetto del loro talento. Che sia acustico o no questi non sbagliano un colpo ma a questo giro (e li ho già visti diverse volte) sono veramente in stato di grazia. La Voce di Overland è assolutamente perfetta e dalla lora hanno una serie di pezzi che sono una cannonata e che riarrangiati in acustico trovano nuova enfasi! Eroi del melodic rock di stampo Inglese!
SETLIST
That Girl
All or Nothing
Incredible
Don’t Need Another Heartache
DAY 02
CASSIDY PARIS
Si parte “ufficialmente” il secondo giorno con la giovanissima Cassidy Paris. Ammetto che su disco non mi ha mai catturato completamente ma su palco è un altro discorso. Oggi, ancor più di ieri, c’è già un bel numero di fans sotto al palco e devo dire che la brava Paris, pur con la sua giovane età, si gioca decisamente bene le sue carte sul palco regalando uno show coinvolgente e ben giostrato. Si porta poi dietro il papà (Stevie Janevski, che suona la chitarra con lei) e questo agli occhi di un altro papà come me le fa guadagnare ancora più punti.
Altro punto a favore, i pezzi vanno a segno, almeno per le mie orecchie, nettamente più facilmente dal vivo che non su disco.
IN conclusione, le Auguro un futuro roseo perchè la voglia di fare e la bravura ci sono tutte. Se il tempo le darà anche la possibilità di crearsi una “maturità artistica” sono sicuro che la Paris farà delle ottime cose!
SETLIST
Midnight Desire
Play Video
Nothing Left to Lose
Play Video
Here I Am
(Clif Magness cover)
Play Video
I Hate Myself for Loving You
(Joan Jett & The Blackhearts cover)
Play Video
Danger
Play Video
Butterfly
GIRISH AND THE CHRONICLES
Ritornano sul palco i miei amici “scappati da casa” (o dall’India se preferite) e sono più in forma che mai e prima ancora di mettere piede sulle assi del Live Club le note de “I Guerrieri della Notte” mettono subito in chiaro che qui non si fanno sconti a nessuno!
Questi vivono sul palco mangiando hard rock grezzo, diretto e stradaiolo e lo fanno come solo i migliori “scappati da casa” possono fare.
Ero curioso di vederli dal vivo e semplicemente mi hanno riversato addosso una carica di adrenalina devastante.
I pezzi non saranno quanto di più originale si possa trovare in giro ma sembrano essere un perfetto vestito sartoriale cucito su misura per i live. La voce di Girish viaggia a mille, la sezione ritmica schiaccia i sassi e la chitarra di Suraj Tikhatri A.K.A Suraz Sun è l’altra chicca di questa band.
Saltano, gridano, scalciano… dei bambini della Prima Comunione visti in sede acustica resta forse qualche Ave Maria gettata li a caso e niente più!
Buttano dal palco benzina su tutti i personaggi più grezzi che si trovano nel parterre che da li in avanti non smetteranno di bruciare e far casino.
Tiro da paura, grande band in sede live!
SETLIST
Intro (tratta da I Guerrieri della Notte)
Primeval Desire
Ride to Hell
Kaal
Hail to the Heroes
Rock ‘n’ Roll Is Here to Stay
CHEZ KANE
Dalle grezze strade polverose dell’India hard rock si passa al glitter e luci al neon dei più scintillanti anni ’80. Chez Kane sale sul palco con una mise assolutamente “fuori tempo massimo” e mette nero su bianco quanto di buono aveva iù fatto in sede acustica.
Brava, sul palco si diverte e fa un sacco divertire. Nelle vene gli scorrono fiumi e fiumi di anni’80 e la sua voce dal vivo è una gran bella scoperta. I ragazzi dai calzini spaiati (vedete la recensione dell’acustico) se la cantano e se la suonano ad alti livello supportando la nostra frontwoman in maniera egregia.
I pezzi, per quanto su disco non li trovi così eclatanti, dal vivo risultano degli acceleratori fenomenali per la sete di musica dei fans! Piacciono, piace anche lei che si dimosra un’Artista di valore e di grande impatto scenico. Promossa
SETLIST
Too Late for Love
All of It
I Just Want You
Nationwide
Ball n’ Chain
Love Gone Wild
Get It On
Rocket on the Radio
Powerzone
CRAZY LIXX
Non è la loro prima volta a questo Festival, anzi, se la memoria non mi inganna questa dovrebbe essere la loro terza venuta. Hanno una bella carica e ormai sono un gruppo ben rodato. Gli ultimi album gli hanno regalato anche una discreta dose di pezzi acchiappa fan da piazzare nella setlist.
Il loro spettacolo fila via in modo pulito e preciso. Manca forse un pelino di “cazzimma” in più ma comunque non ci possiamo lamentare. Bella anche l’uscita del cantante Danny Rexon che se ne esce ad un certo punto con una maschera da hockey in puro stile Venerdì 13 e impugnando un coltellaccio / microfono!
SETLIST
Final Fury
Whiskey Tango Foxtrot
Hell Raising Women
Little Miss Dangerous
Silent Thunder
Enter the Dojo
Rise Above
Sword and Stone (Bonfire cover)
Hunt for Danger
XIII
Blame It on Love
Who Said Rock ’n’ Roll Is Dead
Crazy Crazy Nights (KISS song) Final Fury
… un piccolo excursus: quello che state per leggere di seguito penso che, per chi l’ha vissuto, sia sicuramente da annoveramente come uno dei momenti Live del melodic rock da scolpire nella pietra. Gli ultimi tre gruppi a salire sul palco di questa seconda giornata dell’edizione 2025 del Frontiers faranno quacosa a livello musicale che si merita un posto nella Storia… e adesso prodseguiamo con umiltà in questo racconto…
FM
Questi simpatici e arzilli attempati giovanotti inglesi vivono sicuramente chiusi nel cellophane per essere scartati tutte le volte che devono salire su di un palco. Non si spiegherebbe altrimento lo stato di “conservazione” pressochè perfetto del loro talento… scusate, questo forse lo avevo già scritto.
Il problema è che calza a pennello anche per la loro versione “elettrica”. Macchine da guerra devote alla melodia. Gli FM hanno tutto, voce, pezzi, una band con i controfiocchi e la possibilità di rendere un semplice concerto un ricordo magico per tutti i presenti.
Perfetti sotto ogni punto di vista e per di più con una scaletta che mette in mostra tutti i loro punti di forza! Irresistibili!
SETLIST
Digging Up the Dirt
I Belong to the Night
Killed by Love
Someday (You’ll Come Running)
Let Love Be the Leader
Synchronized
Out of the Blue
Everytime I Think of You (Eric Martin cover)
That Girl
Bad Luck
Tough It Out
Turn This Car Around
TREAT
Aspettavo i Treat al varco… la loro prima “venuta” in terra di Frontiers Rock Festival (per la terza edizione) mi lasciò un po’ l’amaro in bocca. Dopo aver visto poi il concerto praticamente perfetto degli FM le possibilità che i nostri Svedesi ne uscissero con le ossa intere dal mio spietato giudizio erano ulteriormente calate… e chiariamolo subito, io AMO questa band! Proprio per questo però la volta scorsa ero rimasto amareggiato!
Cosa vi devo dire, secondo me sapevano di doversi far perdonare e piazzano un concertone! Robert Emlund si dimostra essere un vero frontman e gestisce il palco come solo anni di esperienza possono insegnare. Maestosa poi la prestazione del chitarrista Anders Wikström!
Una scaletta ben bilanciata tra vecchi classici e nuovi brani è la punta di diamante di un concerto bello e che viene vissuto in pieno dal pubblico. Ne esco con le lacrime agli occhi! Buon Segno!
SETLIST
Skies of Mongolia
Ready for the Taking
Papertiger
Home of the Brave
Rev It Up
Sole Survivor
We Own the Night
Freudian Slip
Changes
Scratch and Bite
Roar
Get You on the Run
Conspiracy
World of Promises
WINGER
Secondo headliner del Frontiers Rock Festival, i Winger prendono posto sul palco per quello che dovrebbe essera la loro ultima volta in Italia (e probabilmente Europa). Band con una formazione stellare è dir poco e poi non tutti possono vantare un frontman con il carisma di Kip Winger.
Si parte alla grande ed è chiaro subito che il livello della band Americana è fuori dal comune. Il concerto scorre via fluido fino all’arrivo della splendida ballata Miles Away. Mentre il pubblico si sta facendo piano pinao travolgere dalla band muore imporvvisamente la chitarra di Reb Beach! Kip Winger ferma lo spettacolo e qui la gente giù dal palco fa il Miracolo… tutti e ribadisco tutti iniziano a cantare il pezzo. Momento magico che viene forse colto solo in parte dalla band ma quando riparte la musica (con un Reb Beach particolarmente irritato) una cosa è subito chiara… se fino a questo punto c’è stata una band sul palco da qui in avanti diventerà un concerto band + fans! Meraviglioso.
Ancora di più tenendo conto che al di la del piccolo problema tecnico il livello dell’esibizione è di livello assoluto.
Unico piccolo neo di un concerto perfetto. I problemi tecnici devono aver infastidito più la band che il pubblico. Infatti i Winger dopo una prestazione per altro ineccepible se ne escono di scena senza neanche un saluto al pubblico. Perdonabile ma resta una piccola macchia su un concerto stratosterico!
SETLIST
Stick the Knife In and Twist
Seventeen
Can’t Get Enuff
Down Incognito
Chicken Picken (John Roth Guitar Solo)
Miles Away
Rainbow in the Rose
Guitar Solo (Reb Beach)
Black Magic (Reb Beach song)
Pull Me Under
Time to Surrender
Drum Solo
Midnight Driver of a Love Machine
Proud Desperado
Junkyard Dog (Tears on Stone)
Headed for a Heartbreak
Easy Come Easy Go
Madalaine
Saints Solos
Encore:
Guitar Solo(Reb Beach)
Blind Revolution Mad
Hungry
DAY 03 – ACOUSTIC
THE BIG DEAL
Permettetemi una premessa. Non sono mai stato un amante dei The Big Deal, li ho sempre trovati troppo “costruiti”. Così ammetto che per me loro potevano essere il classico concerto che abbassava il livello del Festival (finora veramente di altissimo livello). Mi sbagliavo, lo ammetto, mi sbagliavo veramente! Ora vi spiego perchè.
A loro il compito di aprire in acustico l’ultimo giorno del Festival e mi avvicino al palco con ben poche speranze. Due cose mi sono state subito chiare, la coppia Srdjan e Nevena Brankovic (coppia anche nella vita) è baciata da un Talento eccezionale. Nevena oltre ad avere una voce splendida vive in simbiosi con il pianoforte. Srdjan dimostra in acustico di essere un chitarrista veramente di valore giocando con la chitarra e costruendo giri e riff (cosa non semplicissima in acustico) di grande impatto. Si aggiunge a loro anche la bella presenza e voce di Ana Nikolic che completa un ottimo quadro sul palco.
Secondo punto, ho sempre trovato i pezzi dei The Big Deal troppo scolastici (e ne sono ancora più convinto dopo aver visto le qualità messe in campo live dalla band) e qui per me arriva l’altro colpo di scena. In acustico si presenta con una versione riarrangiata dei pezzi che include elementi folk della tradizione balcanica (la band ha origini Serbe) il risultato è fantastico. Sicuramente l’esibizione in acustico più particolare del lotto proposto. Solo complimenti a questo giro! Bravi davvero!
SETLIST
Survivor
Fairy of White
Sensational
Bad Times, Good Times
RONNIE ROMERO
Giornata acustica baciata dal talento dei chitarristi. Infatti anche Ronnie Romero sale sul palco in questa versione acustica con un chitarrista di grandissimo livello (José Rubio Jimenez).
Solo cover, ma che cover… senza contare che ormai il buon Ronnie ha dimostrato già da anni di potersi permettere di cantare QUALSIASI cosa gli passi per la testa! La gente comunque apprezza e quando ha intonato Heaven dei Gotthard con quella voce così simile a quella del compianto Steve Lee… beh… una lacrima ammetto che mi è scesa.
SETLIST
The Mob Rules (Black Sabbath cover)
Catch the Rainbow (Rainbow song)
Heaven (Gotthard cover)
Shot in the Dark (Ozzy Osbourne cover)
HAREM SCAREM
Parlavamo di chitarristi bravi in questa “sessione acustica”. gli Harem Scarem in formazione hanno Pete Lesperance, non un chitarrista qualsiasi, ma uno dei “Signori Chitarristi”! In coppia con Harry Hess è praticamente “la morte sua” del Melodic Rock. da un acustico condotto in maniera eccezionale e che raggiunge l’apice sulle note di Honestly i nostri Canadesi ci fanno capire che cosa può attenderci questa sera.
Maestri del Melodic Rock… anche in acustico!
SETLIST
Better the Devil You Know
Hard to Love
Gotta Keep Your Head Up (Darren Smith on vocals)
Honestly
Distant Memory
DAY 03
SEVENTH CRYSTAL
Ultimo giorno di Festival e si parte già con il piede sull’acceleratore con i Seventh Crystal. Poco da dire, la carica della band e pazzesca e merito anche dell’imponenza fisica del frontman Kristian Fyhr sul palco i ragazzi Svedesi si fanno notare. Partenza bella intensa e tirata grazie anche alla setlist e ai pezzi che la band propone che in sede live sprigionano una gran energia che fa breccia sul pubblico che anche oggi risulta essere bello numeroso da subito sotto al palco.
Siamo al limite del power metal ma la melodia la fa da padrona! Bella soperta in sede live!
SETLIST
Blinded by the Light
Path of the Absurd
Million Times
Architects of Light
So Beautiful
Mayflower
Say What You Need to Say
THE BIG DEAL
Dopo la versione acustica tornano i The Big Deal anche in veste elettrica. L’impatto visivo con le due belle presenze sceniche di Nevena e Ana è sicuramente riuscito! Il livello live è alto anche se dispiace vedere il chitarrista Srdjan Brankovic regalato nettamente più in un angolo a favore proprio del palco lasciato in mano alle due presenze femminili.
Comunque riuscito lo spettacolo anche se meno ricercato rispetto alla versione acustica. In ogni caso la band se la gioca bene e alla fine il pubblico pare gradire e apprezzare. Continuo ad essere convinto che il tallone d’achille di questa band continuino ad essere i pezzi anche in relazione al Talento messo in campo che invece ben traspare dal palco.
Alla fine comunque i nostri si portano a casa un bel risultato con il pubblico soddisfatto.
P.s.: Nevena è salita comunque sul palco dopo aver ricevuto la notizia pochi minuti prima di un brutto lutto familiare, un Grande Abbraccio per Lei!
SETLIST
I Need You Here Tonight
Better Than Hell
Wake the Fire
Fairy of White
Sensational
Never Say Never
Survivor
RONNIE ROMERO
La Voce di Romero zittisce chiunque! F E N O M E N O è dir poco. La prima parte scivola via sui pezzi solisti che iniziano a scaldare il pubblico, ma è quando iniziano ad apparire cover dei Rainbow E Dio che lo spettacolo ingrana veramente una marcia in più, su Rainbow in the Dark poi il pubblico va veramente in visibilio.
Romero sul palco ormai è rodatissimo (merito anche dei tanti live ormai archiviati) e si porta appresso una band di tutto rispetto con ancora una volta una menzione particolare per il chitarrista José Rubio Jimenez.
Penso nessun si aspettasse in chiusura una cover di Separate Ways dei Juorney cantata da DIO!!! Grande il nostro ruffinaccio Ronnie!
SETLIST
Castaway on the Moon
I’ve Been Losing You
Chased by Shadows
Stargazer (Rainbow song)
Kill the King(Rainbow song)
Vengeance
Rainbow in the Dark (Dio cover)
Separate Ways (Worlds Apart) (Journey cover)
STORACE
Storace per i più è la Voce dei Krokus ma in realtà questo arzillo diversamente giovane quando la band madre ha deciso di tirare un po’ il freno a mano a ben pensato di darsi ad una carrira solista dove, con una band differente (e che band!), praticamente fa esattamente quello che faceva con i Krokus.
Questo signore ha cancellato il concetto di “età anagrafica” e porta sul palco un’esibizione piena di carica e vitalità con dei pezzi che sono pura adrenalina nelle vene. Nella band può contare una bassista che èp un altro bell’animale da palco e se la giostra con il più pacato chitarrista. Menzione particolare per la giovanissima seconda chitarra, ancora un po’ troppo statica sul palco ma avrà sicuramente tutto il tempo per rifarsi, il Talento non manca.
C’è anche il momento “Carramba che sorpresa” quando Ronnie Romero sale sul palco per intonare insieme a Storace American Woman dei The Guess Who e dare così il via ad una guerra vocale al “chi la tiene di più”… Storace nulla può contro la vocalità prorompente del Romero ma ammetto che ne esce comunque con grande dignità. Un bel diversivo sul palco che il pubblico apprezza.
Per il resto dopo aver visto Storace dal vivo l’unica domanda che mi rimane è questa… quando posso rivederlo nuovamente??? Piaciuto, concerto “ignorante”, ma perfettamente riuscito!
SETLIST
Rock This City
Midnite Maniac (Krokus cover)
High on Love
To the Top (Krokus cover)
Play Video
Screaming in the Night (Krokus cover)
Hellraiser (Krokus cover)
Screaming Demon
We All Need the Money
American Woman (The Guess Who cover) (with Ronnie Romero)
Live and Let Live
Rock ‘n’ Roll Tonight (Krokus cover)
ROBIN MCAULEY
Per non farci mancare le Grandi Voci del Rock, visto che per il momento abbiamo avuto “solo” l’opportunità di apprezzare due “vocine” come quelle di Romero e Storace ecco che sale sul palco Robin McAuley. Abbiamo già avuto l’occasione di vederlo con i Pride of Lions e quindi sappiamo che l’ex MSG è in gran forma e poi, cavoli, questo è uno che sul placo si diverte davvero!
A dispetto dell’età (76 anni portati in maniera Divina) il buon Robin ha la voglia di giocare sul palco come un bambino dell’Asilo in un parco giochi! Ride, scherza, intrattiene il pubblico e se la canta con la band! Mitico!
A questo punto qualcuno si chiederà se ha anche cantato! La risposta è SI, eccome se ha cantato! Per poco non tira giù i muri del Live Club! In chiusura su Anytime tutto il pubblico era ormai con lui. Trionfale!
Nota di merito per la band tutta italiana messa su per l’occasione. Non avevano mai suonato insieme eppure sembravano insieme al buon McAuley una band rodata da anni insieme sul palco. Anche McAuley come Storace assolutamente da rivedere, e magari proprio con questa bella foramzione made in Italy!
SETLIST
Thy Will Be Done
Standing on the Edge
Say Goodbye
Alive
Dead as A Bone
Feel Like Hell
‘Til I Die
Soulbound
The Best of Me
Love Is Not a Game (McAuley–Schenker Group song)
This Is My Heart (McAuley–Schenker Group song)
Gimme Your Love (McAuley–Schenker Group song)
Anytime (McAuley–Schenker Group song)
MIKE TRAMP’S WHITE LION
Tutti i presenti avevano la stessa domanda in testa? Mike Tramp, ma soprattutto la sua voce, ce la farà ancora a fare i pezzi dei White Lion? La risposta è arrivata con una doccia di emozioni in quello che è stato sicuramente uno degli Highlight di questo Festival! … e si, ce la fa eccome! Certo forse qualche tono più in basso… ma l’intensità, le emozioni e la forza del carisma di Mike Tramp non fanno prigionieri.
I pezzi lo sappiamo sono fenomenali e sentirli dal vivo è una vera goduria, con un Tramp così in forma è poi un vero piacere per i padiglioni auricolari!
Aggiungiamo una gran band di contorno con il chitarrista Marcus Nand in grado di far volare la memoria verso i tocchi unici di Vito Bratta, bravo davvero!
Sulle note di When The Children Cry ho visto più di un occhio lucido tra il pubblico… compreso il mio!
Che altro dire, un piccolo gioiello di esibizione che arriva quasi sul finire del Frontiers!
SETLIST
Lights and Thunder (White Lion song)
Hungry (White Lion song)
Lonely Nights (White Lion song)
Out With the Boys (White Lion song)
All the Fallen Men (White Lion song)
El Salvador (White Lion song)
Little Fighter (White Lion song)
Living on the Edge (White Lion song)
Tell Me (White Lion song)
Broken Heart (White Lion song)
When the Children Cry (White Lion song)
Wait (White Lion song)
Lady of the Valley (White Lion song)
HAREM SCAREM
Ultimo giro di giostra sulle note di brani quali Honestly, Sentimental Blvd., Slowly Slipping Away e tanti altri… direi che non ci va per niente male! Anzi, calcolando che sul palco sono saliti i canadesi Harem Scarem e che anche loro, al pari di altri in questa tre giorni di Festival, sono in uno stato di forma invidiabile, direi che non ci possiamo lamentare.
La coppia Hess (Voce) e Lesperance (Chitarra) è forse una delle migliori e più collaudate di tutto il circuito del Melodic Rock attuale.
La scaletta proposta pesca abilmente tra vecchi classici e brani più recenti offrendo un mix assolutamente riuscito. C’è il tempo per mettere in gioco tante piccole chicche come le “comparsate” alla voce del batterista Darren Smith, anche lui a questo giro veramente in forma! In più un’emozionata Cassidy Paris si affiancherà ad Hess sulle note di The Death of Me e trova anche spazio un brano di Lesperance (Boy Without a Clue) oltre che una cover / omaggio ad un altro grande Canadese sulle note di Summer of ’69 di Bryan Adams cantata dal bassista Mike Vassos!
Come dicevamo poi il piatto principale fatto di pezzi della lunga carriera degli Harem Scarem è di quelli che sicuramente non lasciano con un buco allo stomaco… e sulle note di Honestly l’emozione tra il pubblico era più che palpabile.
Grande chiusura di Festival regalata da una band in assoluto Stato di Grazia! TOP LEVEL!
SETLIST
Better the Devil You Know
Hard to Love
Gotta Keep Your Head Up (Darren Smith on vocals)
Stranger Than Love
Distant Memory
Boy Without a Clue (Pete Lesperance song) (Pete Lesperance on lead vocals)
The Death of Me (with Cassidy Paris)
Here Today Gone Tomorrow
Mandy
Sinking Ship
Honestly
Garden of Eden
Sentimental Blvd. (Darren Smith on lead vocals)
If There Was a Time
Summer of ’69 (Bryan Adams cover) (Mike Vassos on vocals)
Slowly Slipping Away
Chasing Euphoria
Encore:
No Justice
16 Maggio 2025 2 Commenti Samuele Mannini

Non potevamo limitarci a una semplice recensione per questa compilation: sarebbe stato un po’ come chiedere all’oste se il vino è buono. E siccome ci teniamo a essere intellettualmente onesti, il nostro giudizio sarebbe potuto sembrare di parte. Per questo ho scelto di lasciare che a presentare il disco fossero le tante persone coinvolte nel progetto, così che possiate cogliere da soli il vero spirito che ha animato la realizzazione di un lavoro come questo. “We Still Rock… The World” è il suono di una scena che ha trovato finalmente la sua voce, e ho cercato di raccontarlo nelle liner note che ho avuto l’onore di scrivere per il libretto del CD. Un’opera che dà un senso compiuto anche all’impegno di MelodicRock.it, andando oltre la semplice volontà di informare e supportare una scena, fino a diventarne parte integrante.
Come dice Denis Abello, fondatore di MelodicRock.it:
«We Still Rock… the World” non è solo il nome di una compilation, ma in dieci anni è diventato un vero e proprio mantra per la scena hard & melodic rock italiana. Dietro questo titolo ci sono artisti, etichette, produttori, giornalisti, fotografi e soprattutto fan che continuano a sostenere una scena sempre più viva e di valore. Forse anche voi che state leggendo fate parte di questo movimento, e dovreste esserne fieri. Perché WE STILL ROCK!»
Nel vasto panorama del rock melodico internazionale, ben poche iniziative sono riuscite a condensare con tanta forza identitaria, coerenza artistica e spirito collettivo quanto “We Still Rock… The World”, secondo capitolo di una compilation nata per celebrare, e soprattutto testimoniare, la vitalità di una scena italiana che, negli anni, ha smesso di guardare fuori per cominciare a guardarsi dentro, e vogliamo che a parlarne sia chi ha fatto parte di questo progetto.
Gianluca Firmo, uno degli artisti coinvolti, lo spiega con lucidità e un pizzico di orgoglio:
«La scena italiana è diventata grande in ritardo, forse fuori tempo massimo. Ognuno può individuare il motivo che gli sembra più sensato: secondo me il più importante è che finalmente ha smesso di cercare di imitare il rock proposto da altri paesi e propone, invece, un sound molto variegato, ma anche molto riconoscibile. A molti piace, a qualcuno no, ma indubbiamente è “la scena italiana”.
Far parte anche del secondo capitolo di una compilation che ne celebra la ricchezza, la varietà e la voglia di continuare a proporre musica che i tempi moderni sembrano voler dimenticare è una grandissima soddisfazione.
Poterlo fare collaborando con vecchi e nuovi amici è, a maggior ragione, un vanto!»
La compilation è più di una raccolta di brani: è un manifesto. Lo conferma Pierpaolo Monti, mente instancabile dietro entrambe le uscite:
«We Still Rock possono sembrare, per molti, solo tre parole scritte nero su bianco, non differenti da molte altre espressioni quotidianamente in uso. Ma al contrario, da quasi dieci anni, sono invece diventate (in Italia e in giro per il mondo) il vero e proprio motto della scena rock melodica del nostro paese.
Dopo il successo del primo capitolo, uscito nel 2016 via Tanzan Music, ho ancora una volta un inconfondibile richiamo, quello che mi ha portato a riunire le forze al fianco di Melodicrock.it per dar vita ad un’altra grande raccolta di materiale inedito, nato dalla classe di alcune delle penne più autorevoli della nostra penisola.
Nella battaglia quotidiana per mantenere vivo il nostro amato genere musicale, i rockers Italiani sono tutt’oggi sempre in prima linea. E questo perché “We Still Rock… The World!”»
Sulla stessa lunghezza d’onda si pongono le parole di Davide “Dave Rox” Barbieri:
“Questa compilation, agli occhi di molti, può sembrare una semplice raccolta di canzoni… ma nasconde altresì qualcosa di ben più importante e prezioso. ‘We Still Rock’ è oramai divenuta, nel corso degli anni, un vero e proprio manifesto di una scena che resiste, si evolve, e trae essa stessa ispirazione da coloro i quali la compongono. Esserne parte, ancora una volta, è per me grande motivo di orgoglio.”
In un mondo discografico dove le compilation sembrano ormai relitti del passato, “We Still Rock… The World” si impone come un oggetto culturale vivo, una dichiarazione collettiva di esistenza e resistenza musicale. Lo ribadisce Luca Ferraresi:
«Essere parte di “We Still Rock…The World” non è solo una soddisfazione personale, ma anche un segnale concreto che il rock melodico Italiano è vivo, autentico e ha ancora tanto da dire. In un’epoca in cui tutto scorre veloce e superficiale, questa compilation rappresenta un atto di resistenza e d’amore verso una musica fatta di passione, sudore e condivisione. Aver contribuito a questo progetto è stato un vero onore, e sono felice che ci siano ancora persone che credono, investono e sostengono con convinzione questa realtà così preziosa.»
Questa consapevolezza non nasce dal nulla. È frutto di anni di lavoro, di evoluzione tecnica e artistica, come nota con entusiasmo Dave Zublena:
«Quando uscì la prima compilation di “We Still Rock” pensai subito a due cose: 1) che non era mai stato fatto nulla del genere in tutto il mondo; 2) che sarebbe stato impossibile fare un secondo capitolo migliore del primo.
Bene… sul secondo punto mi sbagliavo. “We Still Rock… The World” punta decisamente in alto e dimostra la crescita esponenziale in termini di songwriting, produzione ed esecuzione di tutte le band della scena hard rock / melodic rock / aor italiana. Questa compilation è la definitiva consacrazione di un team di lavoro “allargato” di livello internazionale. Un gruppo di appassionati e talentuosi musicisti, ma soprattutto, di amici. Sono assolutamente fiero di farne parte.»
L’ orgoglio di partecipare ad una scena di valore viene affermato anche da Lorenzo “Lorerock” Nava:
«La scena AOR Italiana ha sempre potuto contare, storicamente, su talenti di ottimo livello, e negli ultimi 10-15 anni questa qualità è stata ulteriormente consolidata, dimostrando che anche in Italia, al pari di paesi più affermati, si possono realizzare dischi di grande valore: proprio come quelli che, sin da bambino, mi hanno accompagnato, facendo sì che nascesse in me la voglia di imparare a suonare. Sono orgoglioso di aver contribuito, con la pubblicazione di Streetlore, a mantenere alto il prestigio dell’AOR made in Italy, e ancor di più di essere parte di questa rinomata compilation, ormai divenuta un vero e proprio fiore all’occhiello di tutta la scena tricolore.»
Mentre l’esordiente Lexyia celebra il suo debutto:
«Un onore e una grande emozione debuttare in studio in un contesto così sentito e partecipato come quello AOR, i cui protagonisti e appassionati del genere condividono un entusiasmo contagioso e autentico. Grazie di cuore, Zorro, per avermi coinvolta in questo grande progetto musicale!»
Il tema del collettivo ricorre spesso nelle parole degli artisti. Perché “We Still Rock… The World” non è un mero esercizio autoreferenziale, ma un atto di fiducia reciproca. Saal Richmond lo dice chiaramente:
«Quando Pierpaolo “Zorro” Monti mi ha comunicato che i FireSky avrebbero fatto parte di questa compilation, ho subito capito che cosa stava accadendo… tutta la scena Italiana era lì dentro!
E quando parlo di scena Italiana, mi riferisco a nomi che non hanno bisogno di presentazioni! Artisti con i quali ho avuto anche il piacere di lavorare e di cui conosco bene il valore e la professionalità… riconosciuta tra l’altro anche a livello internazionale.
Far parte di questo progetto è motivo di orgoglio sia per me che per tutta la band, perché ora siamo una grande famiglia allargata che vive e lotta per un unico obiettivo… la musica!»
Ed è proprio questo spirito di condivisione emotiva che dà senso alla compilation, come racconta Italo Graziana:
«Per noi Mindfeels è un onore far parte di “We Still Rock… The World” perché la musica è un linguaggio universale, un linguaggio che unisce ed in questo caso accomuna tutte le band legate dalla stessa passione per questa meravigliosa forma d’arte. Ognuno con la propria voce e con la propria sensibilità, ma uniti per l’amore che ci lega a questo genere musicale!»
Nel cuore di questo progetto non batte solo il rock melodico: batte una visione del lavoro musicale che è artigianato, amicizia e passione. Non è un caso se molti degli artisti coinvolti parlano della compilation non come di una semplice “raccolta”, ma come di un’esperienza collettiva, che li ha fatti sentire parte di qualcosa di più grande.
Lo racconta con entusiasmo Bruno Kraler, artista coinvolto con ben tre brani del suo progetto Laneslide:
«Grande ritorno della Compilation italiana più “Rock” di sempre! Sarà la mia colonna sonora per l’estate 2025. Onoratissimo di aver potuto partecipare con ben 3 brani del mio progetto “Laneslide”. Sinceri complimenti a tutti gli artisti italiani e internazionali coinvolti. Un altro centro targato “Art Of Melody & Burning Minds Music Group.»
Per Stefano Lionetti, invece, il progetto ha anche un valore personale:
«Onorato di prendere parte a questa fantastica compilation, in mezzo ad uno stuolo di brillanti talenti Italiani. Un ringraziamento particolare a Zorro, per aver consentito a “Ride Or Die” di essere finalmente resa disponibile su CD!»
Ancora più forte è l’emozione di Stefania Sarre, che sottolinea la qualità e il calibro del cast artistico coinvolto:
«Leggendo i crediti di “We Still Rock… The World” ho veramente i brividi. Sono presenti tutti i più rappresentativi musicisti della scena melodic rock italiana (nonché cari amici), coadiuvati da leggende internazionali del calibro di Robbie La Blanc, Toby Hitchcock, Bruce Gaitsch, Erik Martensson e Frank Vestry: wow, se è un sogno… non svegliatemi! Come se non bastasse, il mio basso ha avuto il compito di “ruggire” su ben 3 brani della compilation. Orgogliosa ed onorata oltre ogni modo.»
E non manca chi ha colto questa occasione anche come sfida creativa e professionale. È il caso di Oscar Burato (Broken Carillon), che racconta così il proprio percorso:
«Credo che la scena melodic rock italiana sia ormai una tra le più importanti del settore, ed è stata una grossa soddisfazione poter partecipare a questa compilation sia in veste di autore che di produttore. Con “Before That Night” ho proposto un brano inedito ed un progetto altrettanto nuovo, cimentandomi con sonorità che già apprezzavo, ma che hanno rappresentato per me anche una sfida ed uno stimolo a sperimentare nuove strade e soluzioni sonore.»
Dietro le quinte, non meno importanti, ci sono figure che hanno dato anima e corpo al progetto. Una di queste è Stefano Gottardi, che ha vissuto il passaggio da osservatore a protagonista con piena soddisfazione:
«Ho reagito con entusiasmo all’idea di Zorro di realizzare il secondo capitolo della compilation We Still Rock, dato che mi aveva spesso parlato in termini entusiastici della prima, a cui in qualità di label manager avevo partecipato solo grazie all’inserimento di un paio di gruppi del roster. Stavolta invece ho potuto seguire tutte le fasi realizzative del progetto, e persino contribuire alla stesura di due testi! Come etichetta è stata una grande soddisfazione apporre la nostra “firma”, assieme a quella degli amici di Melodicrock.it, su un lavoro particolare e di qualità, al quale speriamo che tanti appassionati di queste sonorità vorranno dare una chance.»
Roberto Priori, in qualità di fonico, ha avuto un punto di vista privilegiato sulla qualità artistica del progetto:
«Sono orgoglioso di aver partecipato anche a questa nuova compilation di “We Still Rock”, in questo caso come fonico per alcuni degli artisti presenti. La realtà italiana dell’hard rock melodico/AOR è più viva che mai, con musicisti e artisti di grande qualità. Seguo questa musica da tutta la vita ed esserne parte attiva per me è fondamentale. Lo sforzo di Burning Minds Group di dare voce alla nostra musica preferita viene raccolto in questa fantastica compilation, che non potete assolutamente perdere!»
Alessandro Del Vecchio, nome luminare del panorama hard rock/ AOR mondiale partecipa con un contagioso entusiasmo:
«Sono felicissimo di far parte, nuovamente, di questa fantastica compilation. Come sempre, mi piace essere una sorta di coltellino Svizzero, e tra mixing, mastering e voce, sono presente letteralmente su ogni brano. Ciò è un qualcosa che mi inorgoglisce notevolmente, essendo questo un album rappresentativo del melodic rock e hard rock Made In Italy. Sono inoltre particolarmente fiero del brano di Füel For Tunes, che mi vede alla voce in un genere diverso dal mio solito: tracce come queste, in realtà, svelano che quando hai grandi songwriters che scrivono per te, il gioco diventa facile! E sono poi davvero in ottima compagnia, quindi direi che può esistere solo una conseguenza a tutto questo: comprate l’album e supportateci!»
We Still Rock… The World è una celebrazione, sì, ma non è nostalgica. Ha i piedi piantati nel presente e lo sguardo aperto verso il futuro. Lo spiega bene Andrew Trabelsi, che coglie nella compilation una visione ampia e dinamica:
«Far parte di una compilation è sempre motivo d’orgoglio, soprattutto se questa non si limita a raccogliere materiale già edito ma diventa un vero e proprio pezzo unico con una sua identità. Non è esagerato vedere in tutto ciò una comunità che è e vuole restare viva poiché lo spazio e la possibilità di dire qualcosa ci sono, le orecchie e i cuori degli appassionati sono grandi e possono accogliere tutti. Questa compilation è anche una sorta di anteprima che mostra senza troppi compromessi cosa ci aspetta nell’immediato futuro, non è quindi una sintesi finale ma, al contrario, un punto di inizio.»
Gianluca “Mr Pisu” Pisana dei Night Pleasure Hotel si inserisce nella stessa lunghezza d’onda, legando la partecipazione alla compilation a una ritrovata speranza:
«Oggi, nel contesto musicale in cui siamo, poter entrare in una compilation del genere fa sì che ci sia uno spiraglio di luce. Perché l’ascoltatore medio potrà capire che il mondo del rock non è morto, ma sta tornando con la stessa forza che l’ha contraddistinto… invogliando poi l’ascoltatore ad approfondire il bagaglio artistico di band dalle indiscutibili qualità.»
Antonella “Aeglos Art” Astori è ovviamente l’autrice dell’ennesima opera d’arte creativa avendo splendidamente curato l’artwork di entrambe le compilation e di praticamente tutte le band presenti sul disco:
«La musica AOR ha conquistato il cuore degli italiani con le sue melodie emozionanti e testi profondi. Nel mio ruolo di disegnatrice grafica sono orgogliosa di poter contribuire con i miei artwork, i quali aiutano a dar vita alle canzoni contenute negli album, e a trasmettere l’emozione e la passione che le caratterizzano. La musica AOR è più di un genere, è un’esperienza che unisce le persone e crea ricordi indimenticabili. E ‘We Still Rock’ nasce proprio per dare risalto a tutto questo. Sono davvero onorata di farne parte e di poter condividere la mia arte con gli appassionati di musica. »
Ecco, io ho ben poco da aggiungere e spero davvero che abbiate colto lo spirito di quest’opera attraverso le parole di chi ne è stato protagonista, e che la passione che ha coinvolto tutti noi possa in qualche modo arrivare anche a voi. Ma lasciate che vi dia anche un consiglio un po’ più “tecnico”: ascoltatela, perché musicalmente rappresenta una vera e propria summa di tutto ciò che il nostro paese è in grado di offrire in questo genere. E oltre a godervi musica di livello assoluto, vi porterete a casa anche un oggetto da collezione che farà sicuramente una splendida figura nella vostra discografia. Credetemi, non ve ne pentirete.
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14 Gennaio 2025 10 Commenti Samuele Mannini

Da giorni ho in mente di scrivere un editoriale su questo tema, una riflessione che mi ha accompagnato mentre stilavo la top ten di Melodicrock.it. Questa sensazione si è rafforzata guardando la classifica degli iscritti a Rock Report e quella dei dischi più votati di Rock of Ages. Ma che scena meravigliosa abbiamo in Italia! E se tre indizi fanno una prova, allora eccone anche un quarto: nella mia personale top ten ci sono ben quattro dischi italiani, e sinceramente non lo avrei mai creduto possibile.
Devo fare però una premessa: non sono né nazionalista né partigiano. Anzi, in passato non ho mancato di criticare alcuni limiti della nostra scena musicale: pronuncia inglese spesso approssimativa, testi banali e arrangiamenti che sembravano copie sbiadite di band oltreoceano. Ma le cose stanno cambiando. Negli ultimi anni, ho visto emergere talenti che non pensavo il nostro paese potesse più sfornare. Prendiamo Steve Emm, che primeggia nelle nostre classifiche, o i Nightblaze, una band che con una piccola etichetta è riuscita a battagliare su Rock Report con un’audience internazionale e vincere l’award di Rock of Ages. Questo per me è motivo di orgoglio. Ho creduto in loro fin dal primo ascolto, come ho fatto con i Night Pleasure Hotel e, in ambito prog, con i Barock Project. In tutti questi casi ho sottolineato che i loro lavori non hanno nulla da invidiare alle uscite internazionali più blasonate. La mia recente polemica sul disco dei Nestor nasce proprio da qui: voglio distogliere l’attenzione da ciò che arriva dall’estero e spingerci a valorizzare ciò che abbiamo intorno. Se con quella provocazione sono riuscito a far ascoltare a qualcuno i dischi delle nostre band, penso di aver fatto la mia parte.
Non possiamo negarlo: la scena musicale italiana sta guadagnando riconoscimenti, anche internazionali. Questo è il segno che stiamo migliorando in termini di produzione, originalità e appeal globale. Ma la domanda resta: c’è un futuro professionale per questi talenti o siamo di fronte a un’ultima fiammata prima del declino?
Le difficoltà sono evidenti. Nonostante il talento, il sistema musicale italiano fatica a sostenere una scena indipendente. Produzione, distribuzione e promozione sono ancora troppo deboli. Mancano investimenti in tournée e festival nazionali, e la promozione internazionale è praticamente inesistente. Questi ostacoli rischiano di limitare gravemente le possibilità di crescita per i nostri artisti. Per crescere davvero, servono cambiamenti concreti. Innanzitutto, bisogna creare spazi dedicati alla musica emergente e sostenerli con finanziamenti adeguati. Una scena musicale non può prosperare senza una base solida. Poi c’è la questione dei pregiudizi. Ancora oggi, molti considerano la musica italiana inferiore rispetto a quella internazionale. Questo deve cambiare. Pubblico e media devono imparare a riconoscere il valore, il talento e l’originalità dei nostri artisti. Far conoscere la nostra musica all’estero è un altro passo fondamentale. La visibilità internazionale non solo offre nuove opportunità di crescita professionale, ma accresce anche il prestigio della scena italiana. Per questo, è essenziale che gli artisti siano preparati: saper produrre, promuoversi e creare reti di contatti è ormai indispensabile. Programmi di formazione, workshop e iniziative simili possono fare la differenza, ma serve anche una maggiore collaborazione all’interno del settore. Guardiamo alla Svezia: lì hanno imparato a fare sistema, superando rivalità e invidie personali per il bene comune. Le collaborazioni internazionali sono un altro elemento chiave. Lavorare con artisti e produttori stranieri non solo aumenta la visibilità, ma favorisce scambi culturali e artistici che arricchiscono tutti. E poi ci sono le band italiane, un vero tesoro nascosto. Molte hanno un potenziale straordinario, ma restano invisibili per mancanza di coraggio negli investimenti. È ora di dare loro una chance concreta. Con il supporto giusto, potrebbero fare un salto di qualità enorme. E non dimentichiamoci che in Italia avremmo anche la più importante etichetta per l’hard rock melodico. Se non sfruttiamo questo vantaggio, rischiamo di sprecare un’occasione irripetibile.
In definitiva, il futuro della musica italiana dipende da due fattori principali: il talento degli artisti e la capacità di creare un sistema che li supporti e li renda sostenibili. Questo è un momento cruciale, in cui potremmo davvero trasformare la scena del rock melodico italiana in un’eccellenza riconosciuta a livello mondiale. Ma tutto dipende dalla nostra capacità di fare squadra e di guardare oltre i pregiudizi e le rivalità. Noi, nel nostro piccolo, ci stiamo provando e non per partito preso, ma per la qualità oggettiva che emerge. Spero che questa riflessione sia di stimolo anche ad altri.
02 Gennaio 2025 8 Commenti Samuele Mannini

Ogni volta che guardo un vinile, mi sorprendo di come un semplice pezzo di plastica nero possa suscitarmi emozioni così intense da oramai quasi quattro decenni. La musica incisa su questo oggetto è quasi un mistero, una sorta di rito alchemico eseguito da sciamani esoteristi. Dopo aver esplorato la loudness war (QUI il LINK) e la cura del disco in vinile (QUI il LINK), vorrei dunque approfondire un argomento assai più ampio: cos’è un disco in vinile, come viene prodotto, di cosa è fatto, come si incide la musica e quali sono i suoi numerosi pregi e inevitabili difetti. Vorrei anche parlare dell’artigianalità e del mestiere necessari per creare la magia di un supporto che ci accompagna nella sua forma attuale da quasi 80 anni.
In questa sede non affronterò l’aspetto artistico delle copertine o l’effetto nostalgico della rinascita di questo formato, che obbligando l’utente a un certo tipo di ascolto, evoca ritualità ed emotività. Mi limiterò, invece, agli aspetti tecnici e storici per sviscerarne (o almeno provarci) tutti i segreti che lo hanno reso ormai mitico, senza prese di posizione ideologiche e documentando tutto tecnicamente al meglio delle mie possibilità.
Vi prego dunque di volermi accompagnare in questo lungo, ma spero interessante, viaggio attraverso la storia. Esploreremo le tecniche di fabbricazione e incisione, la stampa e la creazione di un master, e tutti gli accorgimenti necessari per realizzare un oggetto che è diventato un’icona del secolo passato e che anche in questo mostra di essere vivo e vitale, anche in confronto alla sua controparte fisica, ma digitale, ovvero il CD, e soprattutto rispetto alla sua nemesi, ovvero la musica liquida. Buon viaggio!
La storia del disco in vinile è un percorso affascinante che intreccia innovazione tecnologica, competizione commerciale e, sorprendentemente, una insperata rinascita nel XXI secolo. Il disco, inizialmente un supporto fragile e dalla durata limitata, si è evoluto in un formato apprezzato per la qualità audio ed il suo fascino tangibile. Questa evoluzione ha profondamente influenzato la creazione, la distribuzione e la fruizione della musica, culminando nella nascita del concetto di album (inteso come raccolta di canzoni) in forma di opera unitaria.
Prima dell’avvento del disco, la registrazione del suono era un concetto ancora in fase embrionale. Nel 1857, il fonautografo di Édouard-Léon Scott de Martinville permise la rappresentazione grafica delle onde sonore, senza però consentirne la riproduzione. Il fonografo a cilindro di Thomas Edison, introdotto nel 1877, segnò una svolta epocale, utilizzando cilindri ricoperti di stagnola per incidere e riprodurre il suono. Tuttavia, i cilindri presentavano limiti in termini di praticità, essendo ingombranti, fragili e difficili da duplicare.
La soluzione a questi inconvenienti giunse negli anni 1880 con Emil Berliner e il suo grammofono, che introduceva l’uso di dischi piatti. Inizialmente realizzati in zinco ricoperto di cera, i dischi passarono presto all’utilizzo della gommalacca rivelatasi più affidabile e durevole. Il disco di Berliner offriva molteplici vantaggi rispetto ai cilindri: maggiore facilità di produzione in massa, superiore resistenza e capacità di contenere più informazioni. Alla fine degli anni ’20, la velocità di 78 giri al minuto si affermò come standard industriale. Questi “78 giri”, realizzati in gommalacca ed in formato 10 pollici, erano però ancora piuttosto fragili e limitati a una durata di circa 3/4 minuti per lato.
La fine della Seconda Guerra Mondiale portò all’introduzione di nuove tecnologie e materiali, tra cui il vinile, o cloruro di polivinile (PVC), che si rivelò ideale per la produzione di dischi, essendo più leggero, resistente e flessibile rispetto alla gommalacca. Inoltre, l’introduzione del microsolco, anch’esso sviluppato in quegli anni, permise di rimpicciolire i solchi sui dischi in vinile, aumentando significativamente la durata del disco e riducendo la velocità di rotazione a 33 giri al minuto, un miglioramento che rivoluzionò sia l’esperienza di ascolto che la durata complessiva dei dischi.
Prima dell’introduzione del microsolco, i dischi a 78 giri, realizzati in gommalacca, avevano solchi molto più ampi e una durata limitata a pochi minuti per lato. Questi dischi, più pesanti e fragili, erano destinati a contenere solo brani singoli. Nel 1948, Columbia Records introdusse il Long Play (LP) a 33 giri, un disco in vinile da 12 pollici in grado di contenere fino a 20-25 minuti di musica per lato. Questa innovazione rivoluzionò l’ascolto della musica, permettendo per la prima volta di godere di un’intera sinfonia o di un album completo su un solo disco. Con l’LP, l’album divenne un’opera unitaria e coerente, pensata per un ascolto continuo e senza interruzioni, trasformando l’idea di raccolta di singoli brani in un’esperienza musicale più complessa e articolata.
“La RCA Victor rispose nel 1949 con il disco a 45 giri, un formato pensato non solo per competere con l’LP, ma anche per imporre l’acquisto di nuovi giradischi, essendo incompatibile con quelli per i 33 giri. RCA cercò di adattare il 45 giri al concetto di album creando cofanetti di singoli, ma la praticità e la qualità del LP a 33 giri prevalsero, affermandosi come formato standard per quello che ancora ai giorni nostri chiamiamo album. Il 45 giri trovò la sua nicchia come formato preferito per i singoli, contribuendo a distinguere ulteriormente il concetto di album da quello di semplice raccolta di canzoni. Inoltre, il 45 giri si rivelò ideale per i juke-box, grazie al suo foro centrale più largo, che ne facilitava la gestione nei meccanismi di selezione automatica. La popolarità del 45 giri nei juke-box contribuì in modo significativo alla sua diffusione. Inizialmente, RCA Victor introdusse una codifica a colori per i suoi 45 giri, associando ogni colore a un genere musicale specifico. Tuttavia, questo sistema venne abbandonato in seguito.”
Negli anni ’50, il suono stereofonico permise poi di registrare e riprodurre il suono su due canali separati, creando un’esperienza d’ascolto più immersiva e realistica. I primi dischi stereofonici, pubblicati nel 1957, soppiantarono rapidamente le registrazioni monofoniche, il disco in vinile dominò così il mercato musicale nei formati oramai assurti a standard, per gran parte del XX secolo, raggiungendo l’apice negli anni ’70 e ’80.
L’avvento del compact disc e dell’audio digitale, negli anni ’80, segnò l’inizio del declino del disco in vinile come formato commercialmente dominante. Tuttavia, a partire dagli anni 2000, il vinile ha vissuto una importante rinascita, inizialmente trainata da una nicchia di DJ e audiofili nostalgici, e poi estesa a un pubblico sempre più ampio attratto dal fascino del formato analogico. La sua rinascita e la ricerca per lo sviluppo di possibili nuove tecnologie, come il vinile ad alta definizione, dimostrano che le possibilità di un futuro per questo supporto sono ancora aperte.
I dischi in vinile, sebbene appaiano semplici dispositivi di riproduzione musicale, rappresentano un risultato di complesse interazioni chimiche che influenzano direttamente la qualità del suono. Esaminiamo adesso la composizione chimica del vinile e il ruolo degli additivi, evidenziando le possibili correlazioni tra la chimica del disco e la sua fedeltà sonora, perché infondo il vinile è molto più di un disco di plastica.
La base dei dischi in vinile è composta principalmente da un pellet composto da una miscela di cloruro di polivinile (PVC) e acetato di vinile (PVA). Questa miscela conferisce al vinile le proprietà necessarie di flessibilità, resistenza e capacità di supportare una superficie liscia per la riproduzione sonora. Il PVC, nella sua forma naturale, è un materiale traslucido con una lieve tonalità grigiastra o bluastra.
Gli additivi sono cruciali per ottenere un materiale adatto alla produzione e alla riproduzione sonora. Essi costituiscono dal 4% al 25% del peso del disco e includono:
-Stabilizzanti termici: Questi additivi sono essenziali per prevenire la decomposizione del PVC durante i processi di produzione ad alta temperatura, garantendo la stabilità del materiale.
-Lubrificanti: Utilizzati per migliorare il flusso della resina durante la lavorazione e facilitare il distacco dagli stampi, i lubrificanti aiutano a mantenere la qualità della superficie del disco.
-Riempitivi: Utilizzati per ridurre i costi di produzione, i riempitivi possono includere materiali cellulosici, vinile riciclato, ma anche agenti antifungini che aiutano la preservazione del materiale nel tempo.
-Plastificanti: Migliorano la viscosità e le proprietà di fusione della resina, rendendo il vinile più modellabile e flessibile.
-Condizionatori: Questi additivi riducono la frizione dello stilo, il rumore di superficie e l’accumulo di elettricità statica, migliorando l’esperienza di ascolto.
-Coloranti: I coloranti in origine sono stati aggiunti per rendere invisibili i difetti superficiali del disco finito. Storicamente, il nero di carbone è stato il colorante più comune grazie alla sua capacità di distribuire la carica elettrostatica e alla sua insolubilità in acqua. Tuttavia, negli ultimi anni, il biossido di titanio e altri pigmenti colorati sono diventati più comuni.
Lo storico e prevalente uso del nero di carbone come colorante principale per i dischi in vinile ha sollevato interrogativi sulla qualità sonora dei dischi colorati. Alcuni produttori e case discografiche sostengono che il vinile colorato possa presentare un maggiore rumore di superficie rispetto al vinile nero. Le ragioni principali di questa differenza sono:
-Caratteristiche di fusione: I diversi tipi di PVC utilizzati per il vinile colorato possono influenzare la precisione dello stampaggio e la qualità della superficie del disco.
-Qualità dei pigmenti: I pigmenti utilizzati per il vinile colorato potrebbero non essere di qualità paragonabile al nero di carbonio, introducendo impurità e imperfezioni nella matrice del vinile.
Non tutti concordano sul fatto che il vinile colorato sia intrinsecamente inferiore a quello nero. Alcuni studi suggeriscono che una produzione di alta qualità possa minimizzare, pur senza annullare completamente, queste differenze sonore.
Discorso completamente a parte è quello dei vinili splatter o glitterati. Al biscotto (ovvero il materiale preriscaldato usato nelle macchine per stampare) in PVC vengono aggiunti a freddo altre parti di PVC colorato o glitter, che poi vengono pressati e fusi insieme. Questi elementi, non avendo le stesse caratteristiche chimico-fisiche, compromettono (anche pesantemente) la qualità sonora del supporto. La qualità audio inferiore è attribuibile anche ai Picture Disc, costituiti da una sorta di sandwich a tre strati: una base in PVC, un’immagine in cartone ed un sottile strato di PVC trasparente, dove viene effettivamente inciso il suono, e che inevitabilmente risentono di questa molteplice composizione a strati.
La conoscenza della chimica dei dischi in vinile è quindi estremamente utile per comprendere e migliorare la qualità sonora della riproduzione musicale. La complessa miscela di PVC, additivi e coloranti con l’ulteriore variabile dell’uso di materiali riciclati, influisce sulla flessibilità, resistenza, scorrevolezza e durata del disco, richiedendo numerose cautele ed accorgimenti per ottimizzare la qualità del supporto.
È importante sottolineare che la composizione del pellet di vinile, che verrà usato nello stampaggio, può variare notevolmente a seconda dell’origine delle materie prime. In passato, quando non c’erano specifiche regolamentazioni, questa variabilità era ancora più marcata. Anche oggi, le normative sui componenti ammessi nei materiali plastici non sono uniformi a livello globale. In Europa, ad esempio, la legislazione è cambiata più volte per migliorare la sostenibilità ecologica dei prodotti. Alcuni additivi, periodicamente esclusi per ragioni ambientali o di salute, sono stati sostituiti con altri materiali che possono avere proprietà soniche diverse. Inoltre, le fabbriche tendono a mantenere segrete le loro formule chimiche, aggiungendo ulteriore complessità al quadro.
La produzione di un master audio di alta qualità per questo formato presenta una serie di sfide tecniche complesse che richiedono un approccio specializzato da parte dell’ingegnere di mastering. L’ingegnere di mastering per il vinile è una figura chiave nella produzione di dischi. Il suo compito principale è preparare il mix finale di una registrazione che dovrà poi essere fisicamente impressa sul vinile, assicurandosi che il suono sia il migliore possibile per questo formato. Questo include l’equalizzazione, la compressione e l’ottimizzazione del bilanciamento stereo per adattarsi alle caratteristiche fisiche del vinile. Inoltre, l’ingegnere deve considerare la durata del disco e la disposizione delle tracce per evitare distorsioni e perdita di qualità. Un buon ingegnere di mastering ha un orecchio attento per i dettagli e una profonda conoscenza tecnica dell’audio.
Il vinile, a differenza dei supporti digitali, non è un contenitore infinito di dati audio. Le informazioni sonore vengono incise fisicamente su un disco in materiale plastico, la cui superficie limitata impone vincoli precisi alla durata e alla dinamica della musica. Come già accennato precedentemente, la durata di un lato di un LP standard da 12 pollici è determinata da diversi fattori:
– Volume: L’audio più forte richiede un solco più ampio per essere inciso, il che significa che meno linee si adatteranno al disco. In sostanza, l’audio più forte consuma più spazio, quindi meno linee potranno essere incise sul disco.
– Frequenza: Le basse frequenze, come quelle prodotte da un basso o da una grancassa, richiedono solchi più ampi rispetto alle alte frequenze. Questo perché lo stilo deve compiere movimenti più ampi per incidere un’onda sonora a bassa frequenza. Di conseguenza, la musica con molti bassi occuperà più spazio su un disco in vinile rispetto alla musica con meno bassi. Un ingegnere di mastering sa perfettamente che c’è una ragione per cui nei vecchi dischi le basse frequenze sono trattate in maniera dedicata, perché altrimenti lo stilo di taglio cercherebbe di tagliare in quattro direzioni contemporaneamente, rendendo fisicamente impossibile l’incisione .
– Separazione stereofonica: Una maggiore separazione stereofonica tra i canali destro e sinistro richiede anch’essa solchi più ampi. Questo perché lo stilo deve muoversi sia lateralmente che verticalmente per incidere un segnale stereo. Quindi, la musica con un’ampia immagine stereo occuperà più spazio su un disco in vinile rispetto alla musica con un’immagine stereo più ristretta. Gli ingegneri di mastering spiegano che la larghezza stereo può essere problematica quando si taglia un disco in vinile perché le informazioni stereo sono codificate nel movimento su e giù del solco. Se c’è molta separazione stereofonica nel materiale da incidere, il solco deve essere tagliato con sufficiente profondità in modo che lo stilo di taglio abbia spazio per muoversi su e giù senza sollevarsi sopra la superficie del disco.
Le basse frequenze, con la loro ampiezza e la loro tendenza ad occupare un ampio spettro stereo, rappresentano una delle sfide principali per il mastering del vinile. Se non gestite correttamente, possono causare una serie di problemi tecnici:
– Distorsione: Bassi stereo troppo potenti possono causare distorsioni durante la riproduzione, soprattutto con sistemi audio di fascia bassa.
– Salti dello Stilo: Un’ampiezza eccessiva nei bassi può far saltare lo stilo fuori dal solco, compromettendone la riproduzione.
– Sovraincisione: Solchi troppo vicini a causa di basse frequenze potenti possono sovrapporsi, creando distorsioni e click indesiderati oltre che danneggiare irreparabilmente il master perché la puntina salterà la traccia.
Per mitigare questi problemi, gli ingegneri di mastering adottano diverse strategie:
– Monocompatibilità: Rendere i bassi mono al di sotto di una certa frequenza, solitamente intorno ai 150/180 Hz, aiuta a controllare l’ampiezza del solco e a ridurre il rischio di distorsioni e salti dello stilo.
– Equalizzazione: Un’attenta equalizzazione può aiutare a ridurre l’ampiezza delle basse frequenze problematiche, preservando al contempo l’impatto sonoro complessivo.
– Controllo del Groove: consiste nell’utilizzo di un “calcolatore per la spaziatura dei solchi”. Nelle macchine di incisione più moderne, un computer analizza infatti il segnale audio e regola automaticamente la distanza tra i solchi per evitare sovraincisioni e distorsioni.
– Scelta dei Brani: La scelta dell’ordine di incisione dei brani è un’ottima soluzione per ottimizzare lo spazio di registrazione, inserire all’inizio i brani più dinamici ed alla fine i brani con meno escursioni di frequenze consente infatti di immagazzinare più minutaggio nella stessa facciata di un disco.
Le alte frequenze, in particolare i suoni sibilanti (come le “s” nelle parole), possono causare difficoltà sia durante l’incisione che durante la riproduzione:
-Surriscaldamento della Testina di Taglio: La registrazione di suoni sibilanti ad alto volume può surriscaldare la testina di taglio, danneggiandola e richiedendo costosi interventi di riparazione. Questo problema può essere mitigato utilizzando testine di taglio raffreddate ad aria o a liquido.
-Distorsione in Riproduzione: La sibilanza eccessiva può causare distorsioni durante la riproduzione, rendendo il suono sgradevole e affaticante per l’ascoltatore.
Per contrastare la sibilanza, gli ingegneri di mastering utilizzano diverse tecniche:
-De-essing: L’utilizzo di processori specifici, come i de-esser, permette di ridurre l’intensità dei suoni sibilanti senza compromettere la chiarezza del segnale audio.
-Filtri Passa-Basso: L’applicazione di un filtro passa-basso può attenuare le frequenze più alte, riducendo l’energia complessiva della sibilanza.
-Attenta Gestione del Volume: Un volume di incisione troppo elevato può esacerbare la sibilanza. L’ingegnere di mastering deve trovare il giusto equilibrio tra volume e coerenza del suono.
La curva RIAA, uno standard di equalizzazione adottato universalmente per i dischi in vinile, è un elemento fondamentale del processo di mastering. Questa curva, come spiegato in, consiste in una pre-enfasi degli alti e in una de-enfasi dei bassi durante l’incisione. Durante la riproduzione, un preamplificatore phono applica la curva inversa, ripristinando l’equilibrio tonale originale della musica.
La curva RIAA svolge due funzioni essenziali:
-Ottimizzazione dello Spazio: Riducendo l’ampiezza delle basse frequenze durante l’incisione, la curva RIAA permette di aumentare la durata della musica che può essere incisa su un disco.
-Riduzione del Rumore di Superficie: Aumentando l’ampiezza delle alte frequenze, la curva RIAA rende il rumore di superficie meno evidente durante la riproduzione.
-Fedeltà del Suono: La pre-enfasi degli alti e la de-enfasi dei bassi aiutano a mantenere la fedeltà del suono durante la riproduzione, bilanciando il segnale audio per una riproduzione più accurata. Questo processo non mira a “bilanciare” il segnale audio nel senso di equalizzazione, ma piuttosto a compensare i limiti fisici del mezzo vinilico e ottimizzandone la qualità della riproduzione grazie ad una incisione più omogenea in tutto lo spettro della frequenza udibile.
Il mastering per il vinile è dunque un processo tecnico estremamente complesso, che richiede una profonda comprensione dei vincoli del supporto analogico e delle strategie per superarli. Un ingegnere di mastering esperto, con una solida base tecnica e una raffinata percezione, può trasformare queste sfide in opportunità creative, contribuendo a preservare l’essenza dell’incisione e offrire un’esperienza d’ascolto autentica e coinvolgente. Se vi stavate chiedendo perché molti vinili moderni suonano maluccio, beh, adesso ne conoscete le ragioni. Il mestiere dell’ingegnere di mastering è una figura che negli anni era quasi scomparsa a favore di chiunque sapesse usare un PC con un programma di editing digitale, e ci vogliono anni per formare nuove figure così altamente professionalizzate e perché il sapere venga trasmesso.
Ora che abbiamo dunque il materiale che fisicamente creerà il disco ed il materiale audio che ci andrà inciso sopra vediamo di affrontare le metodologie e le attrezzature necessarie ad imprimere la musica sul supporto fisico.
Senza la maestria dell’incisione su lacca, il mondo del vinile sarebbe privo della sua anima analogica. Questa fase, un connubio di precisione meccanica e sensibilità artistica, rappresenta il punto di partenza per la creazione di ogni disco in vinile. proverò a guidarvi attraverso le intricatezze di questa arte, focalizzandomi in particolare sul tornio incisore, ovvero, lo strumento che scolpisce il suono sulla superficie della lacca.
Prima di addentrarci nel funzionamento del tornio, è importante comprendere la natura del supporto su cui opera: il disco laccato. Si tratta di un disco di alluminio rivestito da una vernice speciale, la cui formula, gelosamente custodita dai produttori, conferisce la giusta consistenza per l’incisione. Questa vernice, a base di resine e pigmenti, offre un equilibrio delicato tra morbidezza, per consentire alla puntina di incidere il solco, e resistenza, per sopportare le successive manipolazioni. La qualità della lacca è cruciale: ogni imperfezione può tradursi in rumori indesiderati sul disco finale.
Il tornio incisore è un capolavoro di ingegneria meccanica progettato per tradurre le vibrazioni sonore in un solco fisico. Non è semplicemente una macchina, ma un prolungamento della sensibilità dell’ingegnere del suono, che ne padroneggia i movimenti per dare vita al suono inciso. Analizziamone i componenti chiave:
-Piatto: Il piatto è il palcoscenico su cui ruota il disco lacca. La sua rotazione deve essere impeccabile, costante e priva di vibrazioni, per evitare distorsioni nel suono finale.
-Testina di Incisione: Al suo interno, una puntina, generalmente in zaffiro, vibra in risposta al segnale audio in ingresso. Un sistema di riscaldamento elettrico mantiene la puntina alla temperatura ottimale per l’incisione, riducendo l’attrito e garantendo un solco preciso.
-Braccio: Con movimenti fluidi e controllati, guida la testina di incisione lungo la superficie del disco lacca. La sua stabilità è fondamentale per evitare oscillazioni indesiderate.
– Sistema di Controllo: Gestisce la velocità del piatto, il movimento del braccio e altri parametri, garantendo un’incisione precisa e coerente.
-Microscopio: Permette all’ingegnere del suono di monitorare in tempo reale la larghezza del solco durante l’incisione.
Nel corso degli anni, il tornio incisore ha subito diverse evoluzioni, dando vita a diverse tipologie di macchine, ognuna con le proprie peculiarità:
-Torni Manuali: Rappresentano la tradizione dell’incisione su lacca. L’ingegnere del suono ha un controllo diretto sui parametri di incisione, come la larghezza del solco e la profondità di taglio. Questo approccio artigianale può conferire al suono un carattere unico e “caldo”.
– Torni Computerizzati: introdotti all’inizio degli anni ’80, all’ apice tecnologico del formato, offrono un livello di automazione più elevato. Un computer gestisce la maggior parte dei parametri, garantendo una maggiore precisione e ripetibilità.
Il processo di incisione inizia con la preparazione del disco lacca, che viene accuratamente pulito e posizionato sul piatto del tornio. La testina di incisione, riscaldata alla temperatura ottimale, viene posizionata sul bordo esterno del disco, pronta a iniziare la sua danza. Mentre il piatto ruota, la puntina della testina vibra in risposta al segnale audio in ingresso, incidendo un solco continuo a spirale sulla superficie della lacca. La magia risiede nella modulazione del solco: le frequenze alte producono solchi più fitti e sottili, mentre le frequenze basse producono solchi più larghi. Il volume del segnale determina invece la profondità del solco.
Il processo di half-speed mastering è una tecnica di incisione del vinile in cui la musica viene riprodotta e incisa a metà della velocità normale. Introdotta per la prima volta negli anni ’60 dalla Decca Records, questa metodologia fu sviluppata per migliorare la qualità delle incisioni stereo, soprattutto nel trattamento delle alte frequenze, difficili da gestire con i sistemi di taglio stereo dell’epoca. Negli anni ’70 e ’80, la Mobile Fidelity Sound Labs ha reso questa tecnica popolare tra gli audiofili, mentre ingegneri come Miles Showell di Abbey Road Studios hanno contribuito a modernizzarla e raffinarla.
Benefici del Half-Speed Mastering
Critiche e Limitazioni
Nonostante i vantaggi, alcuni esperti, come Kevin Gray (ingegnere di mastering americano), mettono in discussione l’efficacia del half-speed mastering. Tra i punti più controversi emergono:
In conclusione, sembra emergere che l’efficacia del half-speed mastering dipenda da vari fattori, come la competenza dell’ingegnere, la qualità del mastering originale e il sistema audio utilizzato per l’ascolto. Pur non essendo priva di controversie, questa tecnica rimane un pilastro per molti appassionati alla ricerca della massima qualità sonora, continuando a spingere i confini dell’incisione audio.
Accanto all’incisione su lacca, esiste una tecnica alternativa chiamata Direct Metal Mastering (DMM), che incide il solco direttamente su un disco di rame. Questo metodo offre alcuni vantaggi in termini di fedeltà audio, soprattutto per quanto riguarda le alte frequenze, al prezzo però di maggiori costi di gestione ed una minore adattabilità alle regolazioni dovute alla superiore rigidità del disco master in rame.
L’incisione su lacca è in conclusione un processo ricco di storia e di fascino, in cui la precisione della meccanica si fonde con la sensibilità artistica. Ogni fase, dalla scelta del tornio alla maestria dell’ingegnere del suono, contribuisce alla creazione di un disco in vinile di alta qualità. È un’arte che richiede conoscenza, esperienza e passione, la sintesi essenziale del suono analogico.
La produzione di un disco in vinile passa attraverso il fondamentale processo galvanico, che trasforma la fragile lacca incisa in uno stampo robusto e preciso, pronto per la stampa. Questo processo combina chimica, elettricità e precisione artigianale in una sequenza complessa e delicata.
– La Lacca: Si parte dalla lacca incisa, un disco di alluminio rivestito con una speciale vernice sensibile alle vibrazioni della puntina del tornio incisore. I solchi incisi rappresentano la registrazione audio, ma sono troppo delicati per resistere alla pressione della stampa.
– L’Argentatura: Per procedere con l’elettroformatura, la lacca deve diventare conduttrice di elettricità. Questo avviene tramite l’argentatura, spruzzando una soluzione a base di nitrato d’argento sulla superficie della lacca.
– Il Bagno Galvanico: La lacca argentata viene immersa in un bagno galvanico contenente nichel. Applicando una corrente elettrica controllata, il nichel si deposita sulla superficie della lacca, seguendo fedelmente i solchi incisi.
– Il Padre (Master): Dopo alcune ore, si forma uno strato di nichel che crea un negativo della lacca originale, con i solchi in rilievo, chiamato “padre” o “master”. Se le copie da stampare sono relativamente poche (meno di 1000) il Padre può essere usato direttamente per la stampa, naturalmente non sarà poi più possibile procedere a fare altre copie e il processo dovrà nuovamente iniziare dal taglio della lacca.
– La Madre: Il padre viene immerso in un nuovo bagno galvanico, depositando un ulteriore strato di nichel e creando un positivo, una copia esatta della lacca incisa, chiamato “madre”.
– Lo Stampo (Stamper): La madre viene nuovamente immersa nel bagno galvanico, generando un altro negativo, chiamato “stampo” o “stamper”. Realizzato in nichel puro, lo stampo è estremamente resistente e pronto per la stampa.
Lo stampo, con i suoi solchi in rilievo, rappresenta il negativo finale, pronto per imprimere la musica sul vinile. Il processo di stampa, un mix di precisione industriale e cura artigianale, è così descritto:
– La Pressa: Una macchina imponente, capace di esercitare una pressione di circa 100 tonnellate. Lo stampo è montato sulla pressa, pronto a ricevere il vinile fuso.
– Il Vinile: Sotto forma del pellet di PVC (la cui composizione abbiamo analizzato precedentemente), i granuli di pellet vengono fusi a circa 180° in un estrusore e compattati poi in una forma discoidale chiamata “biscotto”.
– Le Etichette: Precedentemente essiccate in forno per eliminare l’umidità, sono posizionate su entrambi i lati del biscotto.
– La Fusione: Il biscotto, con le etichette, viene inserito nella pressa tra i due stampi che riproducono i lati A e B del disco. La pressione (100 tonnellate) e il calore (180° anche se per ogni colore del pellet di pvc ci sono temperature leggermente diverse) fanno sì che il vinile fuso penetri perfettamente ed uniformemente nei solchi dello stampo.
– Il Raffreddamento: Un sistema di raffreddamento ad acqua solidifica rapidamente il vinile.
– La Rifilatura: Lame rotanti tagliano l’eccesso di vinile lungo il bordo del disco, definendone il diametro finale.
Dopo aver attraversato una fase di riposo cruciale, durante la quale il materiale plastico assume finalmente le sue caratteristiche fisiche definitive, si giunge al momento tanto atteso: l’imbustamento dei dischi. Questi tesori sonori, contenenti la sublime arte musicale, vengono avvolti con cura nelle loro eleganti copertine. Così, l’arte musicale, eterea e intangibile, trova una nuova vita, impressa in una forma fisica pronta ad essere apprezzata ed amata.
Dopo aver completato il nostro straordinario viaggio dal cilindro di Edison fino al vinile fatto, finito e imbustato, siamo pronti a tuffarci in una discussione appassionante. È giunto il momento di demolire i numerosi falsi miti, sia positivi che negativi, che circondano i formati fisici destinati alla riproduzione musicale, soprattutto quando si tenta di mettere a confronto vinile e CD. Questi miti, spesso non affrontati con rigore scientifico, meritano un’analisi approfondita. Prepariamoci a togliere la patina di ottusità e a svelare la verità nascosta dietro questi alfieri del formato fisico.
La differenza fondamentale tra digitale e analogico risiede nelle loro rappresentazioni della realtà, attraverso due diverse approssimazioni. Nel caso dell’analogico, si punta sulla similitudine, cercando di rappresentare la realtà nel modo più fedele possibile all’originale. Pensate all’incisione del solco sul vinile: questa è una trasposizione fisica per analogia del segnale sonoro. Il suono viene rappresentato nelle sue variazioni di ampiezza e frequenza attraverso variazioni di profondità all’interno dei solchi. Nel digitale, invece, si utilizza un campionamento del fenomeno reale per codificarlo numericamente e successivamente decodificarlo per riprodurlo. Il campionamento implica l’osservazione del fenomeno in specifici istanti di tempo, è dunque pacifico che, più campioni verranno prelevati, più accurata sarà la ricostruzione dell’ evento.
Per quanto riguarda i supporti musicali, il CD, con una frequenza di campionamento di 44,1 kHz e una profondità di 16 bit, consente un’approssimazione dell’evento sonoro che, per il nostro orecchio, è indistinguibile dalla realtà. Inoltre, offre una capacità di stoccaggio superiore rispetto al vinile, sia in termini di estensione in frequenza (anche se la differenza è talmente sottile che l’orecchio umano medio non riesce a percepirla), sia in termini di estensione dinamica. Per capire meglio cosa si intenda per estensione dinamica, potete consultare il mio articolo sulla Loudness War (linkato all’ inizio). In sintesi però, si può definire l’estensione dinamica come la differenza tra il suono più flebile e quello più imponente registrabile su un supporto.
Quindi il CD è superiore al vinile? Beh, parliamone, perché tra la teoria e la pratica c’è una bella differenza. Anche se il supporto digitale è teoricamente più capace di approssimarsi al fenomeno reale, bisogna fare i conti con il messaggio che deve essere stoccato, ovvero la musica. La riversazione su un supporto è solo l’ultimo dei passaggi che vanno dall’esecuzione, alla registrazione e al missaggio. Inoltre, raramente la musica necessita (specie ai giorni nostri) di intervalli dinamici che il vinile non possa supportare agilmente. Proprio certi limiti fisici dell’LP scoraggiano pratiche di editing selvaggio tipiche della loudness war, obbligando i produttori a mitigare tendenze che poco hanno a che fare con la corretta riproduzione del suono. Ecco dunque che una registrazione corretta e di qualità può essere goduta in maniera splendida su entrambi i formati. Senza contare che anche il supporto digitale ha le sue magagne come il jitter e la correzione degli errori. Altrimenti non si spiegherebbero tutte queste differenze sonore utilizzando un DAC invece di un altro, ma questa è una storia che prima o poi tratterò a parte in un futuro speciale sul supporto CD.
Ehm… non è proprio così, o almeno non nei termini che uno potrebbe pensare.
Una delle critiche più frequenti ai dischi in vinile riguarda la loro presunta fragilità e il rischio di usura dovuto al contatto fisico tra la puntina del giradischi e il solco del disco. Tuttavia, uno studio condotto dal canale YouTube “VWestlife” dimostra che, con una gestione adeguata, l’usura è molto meno preoccupante di quanto si creda.
L’esperimento, tre giradischi a confronto:
Per verificare l’impatto della riproduzione sul vinile, il video esamina tre giradischi rappresentativi di diverse fasce di prezzo:
Il metodo:
Quattro copie identiche di un disco sono state utilizzate per il test: tre riprodotte 50 volte ciascuna su ognuno dei giradischi, mentre la quarta è rimasta intatta come controllo. L’esperimento si è svolto nell’arco di due mesi, con una riproduzione giornaliera durante la settimana e doppia nei fine settimana. Al termine, i dischi riprodotti sono stati confrontati con quello di controllo sia con un’analisi uditiva sia attraverso la comparazione delle forme d’onda digitalizzate.
I risultati:
Sorprendentemente, non è emersa alcuna differenza udibile tra i dischi, nemmeno per quello riprodotto 50 volte sul giradischi Quasar, che applica la maggiore pressione sul solco. L’analisi digitale delle forme d’onda ha rilevato una differenza misurabile solo per il disco riprodotto sul Quasar, ma tale differenza era così minima da risultare irrilevante per l’ascolto.
Un ulteriore test ha indagato se la riproduzione intensiva senza pause potesse aumentare l’usura. In questo caso, riproducendo 50 volte consecutive la stessa traccia sul disco già usurato ed usando il giradischi meno performante, si è osservata una maggiore usura del solco. Tuttavia, anche in questo scenario estremo, la qualità audio è rimasta accettabile.
Conclusioni:
Questo esperimento dimostra che l’usura del vinile è meno significativa di quanto si pensi, purché si adottino pratiche corrette:
In sintesi, i dischi in vinile, se curati adeguatamente, possono garantire una lunga durata anche con riproduzioni frequenti. La magia del vinile, dunque, non è solo nella sua qualità sonora, ma anche nella sua sorprendente resistenza.
Questo è un altro falso mito da sfatare.
Sebbene molti audiofili associno il vinile all’audio analogico, le evidenze storiche dimostrano che il mastering digitale è una pratica consolidata da decenni. Già negli anni ’80, numerosi album di musica pop e rock furono registrati, mixati o masterizzati digitalmente, e nel 1982 un articolo evidenziava come il digitale fosse ormai la tecnologia destinata a diventare predominante per quasi tutte le nuove registrazioni. L’introduzione nel 1979 di un sistema di mastering digitale, che includeva un sistema Ampex a 16 bit per il tornio di taglio, ha ulteriormente facilitato la produzione di dischi in vinile, rendendo possibile la masterizzazione indipendentemente dal fatto che le registrazioni fossero analogiche o digitali. In effetti, pur rimanendo un supporto analogico, gran parte della musica che ascoltiamo su vinile oggi ha subito una fase di elaborazione digitale. Tuttavia, questo non implica che la qualità del suono ne risenta; anzi, l’uso del digitale può migliorare la resa sonora del vinile, ottimizzandone l’audio per i limiti fisici del formato stesso, senza alterarne l’esperienza d’ascolto finale.
E perché dovrebbe?
La grammatura di un disco in vinile non influisce positivamente sulla qualità del suono. Anzi, potrebbe rappresentare un problema se la macchina stampatrice non è regolata correttamente per gestire il peso e la temperatura necessari ad imprimere i solchi su una quantità maggiore di materiale. In pratica, le presunte stampe “audiophile” possono essere realizzate tranquillamente anche sulla grammatura standard di 140 g. L’unico vantaggio reale di un disco più pesante è la minore tendenza a deformarsi, grazie alla sua maggiore robustezza.
E chi lo ha detto?
Se per stampa s’intendono le prime copie di una tiratura, in genere le migliori non sono proprio le primissime, ma piuttosto quelle che si trovano dalla decima fino a metà della tiratura massima possibile con uno stamper. In questo intervallo, la macchina è a regime di temperatura e pressione e lo stamper non presenta ancora degrado d’uso. Va detto che, con le macchine più moderne, il degrado è molto minore rispetto al passato.
Se invece, come è più comune pensare, per stampa si intende un’edizione di un disco, la faccenda si complica assai. In passato, le stampe venivano localizzate in diversi paesi del mondo e, all’interno dello stesso paese (come gli USA), affidate a molteplici fabbriche. Questo avveniva sia per le prime edizioni sia per le successive ristampe o riedizioni. Come è facile intuire, la differenza è fatta dalla qualità dell’impianto con le sue macchine e i suoi processi produttivi. In genere, paesi come il Giappone e la Germania sono molto rinomati per la stampa, mentre, parlando a titolo personale, trovo le stampe italiane generalmente di qualità più scadente. Tuttavia, ovviamente, dipende da caso a caso e una generalizzazione non può essere fatta.
Per concludere la discussione sul vinile e offrire una panoramica imparziale sui vari formati audio, vorrei proporre un test emblematico che ho seguito su YouTube. Questo test evidenzia aspetti chiave legati al concetto di riproduzione sonora.
Dom Sigalas, produttore musicale, compositore per il cinema, sound designer e musicologo londinese, ha condotto un’analisi approfondita delle variazioni di qualità del suono tra diversi formati audio, utilizzando il suo singolo “Home” come riferimento. Con una carriera prestigiosa che include collaborazioni con Universal Music, StudioCanal, Sony Pictures Home Entertainment e National Geographic, oltre al ruolo di Head Producer/Mixing and Mastering Engineer presso DoctorMix.com per sette anni, Sigalas ha le credenziali per offrire una valutazione autorevole sui miti riguardanti la presunta superiorità di un formato audio rispetto a un altro. Grazie alla sua esperienza, certificata dal titolo di Apple Digital Mastering Engineer, ha guidato un’indagine rigorosa e tecnicamente accurata sulle caratteristiche sonore di formati come vinile, nastro bobina, audiocassetta, Apple Music lossless e streaming su Spotify alla massima qualità.
Per garantire un confronto equo, tutti i campioni audio sono stati normalizzati a -14 LUFS (un’unità di misura del volume che rappresenta uno dei metodi più precisi per misurare il volume dell’audio riprodotto dai servizi di streaming, dai film e dalla TV) e riprodotti con apparecchiature consumer di livello medio: un Audio Technica Sound Burger per il vinile, un Technics RS BX 404 per le audiocassette e un Akai 4000DS Mark II per il nastro bobina a bobina. I risultati hanno rivelato le peculiarità di ciascun formato. Il nastro bobina a bobina si è distinto per un suono “setoso” e aperto, con una gamma media particolarmente espressiva, mentre il vinile ha offerto una tonalità calda, bassi ricchi e alti morbidi ed una dinamica meno compressa, confermandosi il preferito di molti ascoltatori. Le cassette, pur evocando nostalgia, hanno evidenziato una compressione marcata e una riduzione dei transienti, che ne limitano la fedeltà sonora rispetto ad altri formati. Sul fronte digitale, Apple Music lossless ha mostrato una maggiore fedeltà al master originale rispetto a Spotify, pur evidenziando una larghezza stereo leggermente inferiore e un roll-off negli alti.
Tutte le forme d’onda analizzate presentavano differenze significative rispetto al master digitale originale. Grazie alla sua doppia prospettiva di tecnico certificato e artista creativo, Sigalas ha messo in luce come ogni formato offra un’esperienza unica: l’analogico, con le sue imperfezioni, conferisce calore e carattere, mentre il digitale, specialmente nei formati lossless, pur preservando con maggiore fedeltà il master originale, finisce comunque per alterarlo in qualche modo.
Nel ringraziare chi ha voluto seguirmi in questo lungo viaggio, vorrei sottolineare, che tutto ciò dimostra come l’audio e le preferenze sulla modalità di ascolto siano un fatto puramente personale. Ogni formato, sia esso fisico o digitale, porta con sé pregi e limiti. Poiché i nostri apparati uditivi sono unici, non può esistere un vincitore assoluto. La preferenza personale, dunque, fa tutta la differenza del mondo, ed è bello che sia così.
22 Dicembre 2024 15 Commenti Redazione MelodicRock.it

Anno strano il 2024, con tantissime uscite. Questo ormai è un trend da diversi anni, ma con un differenziale qualitativo notevole tra i migliori e i peggiori. Come sempre, abbiamo cercato di offrire un quadro dell’annata il più omogeneo possibile, scartando ciò che non ci sembrava rilevante e dedicando il nostro tempo, che si fa sempre più scarso, a ciò che ci è sembrato meritevole di essere recensito. Siamo andati a cercare uscite indipendenti, tralasciando anche alcune proposte delle etichette maggiori e ripescando, per quanto possibile, anche ciò che non ci è stato fatto pervenire come promo. Noi siamo volontari e mandiamo avanti il sito con passione, a prescindere da chi ci considera più o meno. Sappiamo di avere una base solida di lettori che ci apprezzano e cerchiamo sempre di offrire il nostro punto di vista e confrontarci amabilmente con chi ci segue da tanti anni. Noterete magari che la nostra media voto si è abbassata notevolmente, perché abbiamo tentato di cambiare un po’ approccio e valutare i dischi in maniera più analitica e meno emozionale. Noterete altresì che quest’anno ci sono state un sacco di uscite Made in Italy di livello assoluto, il che naturalmente non può che farci piacere.
Insomma, con circa 130 recensioni tra novità e classici e con le nostre news sempre aggiornate, ci apprestiamo a riassumervi il nostro 2024 che, tra l’altro, ci vede anche sponsor di un evento che gli appassionati aspettavano da anni, ovvero il Frontiers Rock Festival 2025. Speriamo che tutto questo sia di buon auspicio per il melodic rock e tutta la scena anche nel prossimo anno!
Samuele Mannini:
Come sapete, oltre all’AOR, il mio orizzonte musicale spazia spesso dal progressive a sonorità più moderne e contaminate. Quest’anno ho trovato un perfetto equilibrio tra l’AOR più classico, rappresentato dal magnifico disco di Steve Emm, e l’esordio splendido dei Night Pleasure Hotel del sorprendente Alex Mari. Quest’ultimo, dopo aver prestato la voce (stupefacente) ai Barock Project, si cimenta ora in campo più tipicamente AOR. voglio assolutamente citare anche l’eccellente performance dei Nightblaze con alla voce Damiano Libianchi, che a mio avviso è uno dei migliori cantanti del genere (e non solo in Italia). Per quanto riguarda il lato più prog, i già citati Barock Project hanno sbaragliato la concorrenza, piazzando una gemma destinata a durare nel tempo, mentre i Caligula’s Horse sono ormai una certezza di questo genere.
Noterete che ho menzionato un sacco di artisti italiani, e oltre a quelli in classifica ce ne sarebbero molti altri a testimoniare che è stata davvero un’annata eccezionale, ma non mancano certo gli artisti internazionali e la vecchia guardia del genere è certamente ben rappresentata dai Magnum (e come non celebrare Tony Clarkin) e dai DAD, mi ha inoltre sorpreso positivamente la svolta più easy dei Myrath ed ho apprezzato anche la modernità sonora del disco dei Silvera. Inoltre, a chiusura dell’anno, la Svezia ha piazzato un vero colpo da maestro con l’hard rock a tutto tondo dei 7th Crystal. Vorrei menzionare anche un disco che, pur essendo fuori dal contesto del sito, mi ha davvero colpito: l’Ep d’esordio di Aursjoen, che consiglio vivamente di ascoltare.
Insomma, un anno decisamente proficuo!

Yuri Picasso:
Impegnativa e lacunare. Se dovessi descrivere la lista sottostante in totale onestà, questi sarebbero i primi due aggettivi. È impossibile dedicare l’attenzione necessaria e trovare il tempo di ascoltare tutto. Tuttavia, possiamo garantirvi il nostro impegno e la nostra dedizione alla causa. Tra i lavori ascoltati (e assorbiti a dovere), noto una leggera risalita in termini di qualità, anche se persistono i soliti deficit in fase di produzione e originalità (su cui si potrebbe lavorare di più). Come amante del supporto fisico, non posso fare a meno di riportarlo. Eccovi, dunque, i 10 dischi da avere (CD/LP a vostra discrezione) in ordine casuale, esplorando il nostro genere a 360°, con buona pace di alcuni lavori esclusi ma meritevoli di menzione, se non altro per la loro carriera: vedi Stryper, Newman, FM, Russell (RIP) Guns.

Paolo Paganini:
Dicembre è tempo di bilanci anche per noi redattori di Melodicrock. Il 2024 non è stato un anno esaltante per la qualità delle uscite, ma ci ha comunque regalato alcuni lavori davvero degni di nota.
Lionville ha stravinto la classifica di fine anno con il loro album “Supernatural”. È un disco di altissima qualità, da ascoltare dal primo all’ultimo minuto. Revolution Saints, con “Against The Winds”, ha offerto un’ottima conferma, grazie a un Dean Castronovo in grande spolvero che ha rinnovato la formazione producendo un disco ad alto tasso melodico. Eclipse, con “Megalomanium II”, ha fatto centro ancora una volta. Erik Mårtensson & Co. hanno creato un album pieno di energia che abbiamo apprezzato anche dal vivo al Ferrara Summer Festival. Myles Kennedy, con “The Art Of Letting Go”, ha mostrato il suo talento assoluto, sfoggiando le mille sfumature della propria incredibile voce in veste solista. Una vera sorpresa dell’anno è stato il disco dei 7th Crystal, energico e capace di mischiare con grande gusto il classico hard rock a sonorità moderne. I DGM si sono riconfermati come i fuoriclasse del prog rock italiano con “Endless”, mantenendo livelli di eccellenza assoluta anche nel 2024. Tommy Denander, polistrumentista, è tornato in grande stile con Radioactive e l’album “Reset”, circondato da una miriade di illustri ospiti. FM, con “Old Habits Die Hard”, non ha deluso: i vecchi leoni britannici sono sempre una garanzia. Non vediamo l’ora di vederli dal vivo al prossimo Frontiers Rock Festival ad aprile 2025. La quota rosa è stata rappresentata dalla talentuosa Issa con “Another World”, grazie alla collaborazione con il marito James Martin (Nitrate). Infine, Robby LeBlanc e Daniel Flores hanno riportato in alto la loro creatura Find Me con l’album “Nightbound”, un buon lavoro di AOR Weastcoastiano.

Giulio Burato:
Il 2024 è stato un anno da dimenticare sotto molti punti di vista, sia musicali che personali. Dal punto di vista musicale, è stato uno degli anni peggiori degli ultimi dieci. Poche uscite di qualità e tante band, o presunte tali, che hanno prodotto CD piatti e privi di originalità. Forse sarebbe meglio pubblicare meno uscite, ma con maggiore qualità e con investimenti migliori nella produzione? Purtroppo, temo che questa rimanga solo una mia utopia. Nonostante tutto, ci sono state alcune sorprese piacevoli. I Scarlet Rebels sono stati una rivelazione, con singoli di assoluto livello come “Streets of Fire” e “It Was Beautiful”. Un’altra piacevole sorpresa sono stati i Fighter V che, nonostante il cambio forzato di cantante, hanno prodotto un album di grande qualità con “Heart of the Young”, arricchito da tastiere e sassofono. In terza posizione simbolica troviamo una contesa tra gli storici Honeymoon Suite con il loro album “Alive” e la rivelazione AOR dell’anno, il duo Rydholm/Safsund. L’album “Alive” ha una delle copertine più eleganti dell’anno e rappresenta il ritorno in studio della band dopo sedici anni. Altri ritorni degni di nota sono quelli degli Atlantic, con la loro iconica “Power of Me”, e dei Cats in Space, che hanno prodotto un grande album a livello compositivo. Anche i Nestor e gli Eclipse si sono confermati, con il secondo capitolo di “Megalomanium” che hanno mostrato la loro energia contagiosa, in sede live (Ferrara Summer Festival). Infine, i sorprendenti Remedy, che si distinguono per la loro proposta musicale riconoscibile, ed i teutonici Kissin’ Dynamyte chiudono il quadro delle uscite degne di nota. Segnalo anche l’ultimo album di Storace, molto orientato verso il sound di AC/DC e Krokus.
Concludo dedicando un pensiero affettuoso a mio padre e sperando che il 2025 sia un anno migliore per tutti noi e per il nostro amato Melodic Rock.

Alberto Rozza:
Eccovi un veloce riassunto di quello che più ho graditi in questo 2024 comunque ricco di proposte musical:
Rydholm Safsund: Grandissimo impatto, suonato benissimo; di certo la miglior sorpresa dell’anno.
DGM: Impressionante a dir poco, pura poesia che fa venire l’acquolina in bocca in vista delle date dal vivo.
Vanden Plas: Bellissima perla del 2024, da assaporare e contemplare in continuazione.
Black Country Communion: Un lavoro interessante grazie alla spontaneità nell’esecuzione, globalmente piacevole.
Lazarus Dream: Primo ascolto dell’anno che ha aperto in modo molto positivo le danze per un 2024 un po’altalenante a livello qualitativo.
Mystery Moon: Pfeffer non mi delude davvero mai.
Altri dischi meritevoli di menzione, perché comunque si sono distinti dalla media delle uscite ed entrano dunque in classifica sono:
Seelcity, JD Miller, 7H Crystal e Steve Emm.
Speriamo che il 2025 ci porti tanta buona musica!

Giorgio Barbieri:
Nella top ten del 2023 mi auspicavo un’annata migliore dal 2024 ed in effetti qualcosa di meglio è successo, ma siamo sempre risicati e, per quanto mi riguarda, devo ancora andare a scomodare i mostri sacri (Deep Purple, Saxon, Judas Priest), oppure rivolgermi a semi off topic (Lucifer, My Darkest Red) per riuscire a mettere assieme dieci titoli che rappresentino gli highlights di quest’anno. Come per il 2023, sono rimasti fuori di un nonnulla alcuni dischi (DGM,Anims,Social Disorder) e sono invece entrate piacevolmente alcune sorprese (Nubian Rose, Tessilgar), oltre ad alcuni “porti sicuri” (Blind Golem, Storace),e siccome siamo pur sempre su MelodicRock.it, il disco di Steve Emm entra in classifica perchè nel suo genere non ha niente da invidiare a nomi stranieri che generano molto più hype. Sicuramente c’è qualcos’altro che, da qui a sei mesi, potrebbe farmi cambiare idea, ma questa è una classifica di fine anno, non di mezza stagione e quindi… eccola qui!

Vittorio Mortara:
Dieci albums per il 2024. Vediamo un po… Beh, numero uno i Kissin’ Dynamite: un altro pianeta per professionalità, tecnica, capacità compositive ed attitudine tamarra. Podio per il rock oltre i generi degli Scarlet Rebel e per la raggiunta maturità degli estrosi Fans of the Dark. Poi cito alla rinfusa il gran bel ritorno degli Honeymoon Suite, la nuova incarnazione degli Atlantic, il solito bel disco del “giovane vecchio” Steve Emm, l’energia a profusione dei veterani Danger Zone, il variegato e pretenzioso nuovo album dei 7th Crystal del talentuoso Kristian Fyhr, l’attitudine darkeggiante dei miei beniamini Reach e il caleidoscopico e tecnicissimo album di Rudholm Sasfund. Ma, oltre a questi dieci, quest’anno di lavori ben fatti ne abbiamo ascoltati parecchi. Possiamo ritenerci assolutamente soddisfatti. Buone feste miei melodici e rocchettari amici! Ci vedremo sicuramente sotto un palco ai festival estivi del 2025!

Francesco Donato:
Anno che certamente chiude in positivo il bilancio rispetto alla scorsa annata, supportato da ritorni importanti e da esordi interessantissimi. Eccovi dunque il mio elenco in ordine di preferenza:
1 VAIN – Disintegrate Together :Il ritorno in scena dei leggendari sleaze rockers americani per quanto mi riguarda si aggiudica l’oro sul podio.
Un disco che alla lunga risulta uno tra i migliori della band. 2 NESTOR – Teenage Rebel : Era difficile ripetersi, ma superarsi era quasi improponibile. Invece i Nestor, mescolando sapientemente le carte dello stile, sfornano un album ruffiano ma altamente performante. 3 PALACE – Reckless Heart: Terzo album che riscatta alla grande la debolezza dell’album precedente. Atmosfere ottantine a go-go e melodie che si stampano in testa. 4 ECLIPSE Megalomanium II: Se gli svedesi avessero tirato fuori un solo capitolo da questo doppio album uscito in due annate differenti avremmo gridato al capolavoro. Qualche filler lo perdoniamo, ma il podio sfugge. 5 NATIONWIDE Echoes: Esordio dell’anno. Disco forgiato con maestria e accurata cura melodica. 6 FANS OF THE DARK: Non mi hanno mai appassionato, ma non posso non riconoscere la validità di questa uscita ricca di potenziali hits da classifica. 7 THE TREATMENT Wake Up The Neighbourhood: Energico, melodico e ben arrangiato. Una band che conferma il suo stato di grazia. 8 ACE FREHLEY 10.000 Volts: Disco che non passa di certo inosservato! Un ulteriore vittoria di Ace… 9 SEBASTIAN BACH Child Within The Man: Semplicemente uno dei migliori dischi solisti del buon Seb! 10 HYDRA ReHydration Secondo album della band svedese che conferma la bontà del progetto.

Denis Abello:
Diciamolo subito, così a orecchio sembra essere andata nettamente meglio dello scorso anno! Se a questo aggiungiamo che un sacco di roba (veramente) buona è pure uscita dalle nostre Italiche latitudini (Steve Emm, Mike Della Bella Project, Night Pleasure Hotel, Nightblaze, Danger Zone) allora non possiamo che ritenerci, se non pienamente soddisfatti, almeno tranquilli che sembra essere tornati su una strada, musicalmente parlando, meno impervia rispetto agli scorsi anni.
Difficile (soprattutto per me!) quindi alla fine racchiudere in soli 10 album quanto di meglio, a mio parere e per gusto personale, uscito in ambito Melodic Rock / Hard Rock e AOR quest’anno… ma ci proviamo! Difficile inoltre stare dietro a tutte le uscite e quindi come sempre la mia lista si basa sugli album che più ho ascoltato e mi hanno colpito in questo 2024!
Di seguito quindi troverete i 10 album, assolutamente in ordine sparso, che per me bisogna assolutamente ascoltare almeno una volta in questo 2024!
Nestor – Teenage Rebel , At 1980 – Forget To Remember, Steve Emm – Framework, Mike Della Bella Project – The Man With The Red Shoes, Black Diamonds – Destination Paradise, Kissin’ Dynamite – Back With A Bang, Night Pleasure Hotel – Portraits, Danger Zone – Shut Up!, Fans of The Dark – Video, Lionville – Supernatural.
P.s.: come al solito e da mia tradizione aggiungo qualche “menzione” particolare a fine lista… 🙂
Nightblaze – Nightblaze, Remedy – Pleasure Beats The Pain, Palace – Reckless Heart, Honeymoon Suite – Alive, Revolution Saints – Against The Winds, Rydholm Säfsund – Kaleidoscope, Fighter V – Heart Of The Young, 7Th Crystal – Entity.

27 Dicembre 2023 15 Commenti Redazione MelodicRock.it

E come tutti gli anni cerchiamo di continuare la tradizione di condensare in 10 dischi un anno di musica e nonostante numericamente sia stato un anno ricco di uscite, ad occhio sembra che la qualità media sia tutto sommato in lieve discesa rispetto agli anni precedenti, eppure ci sono stati dischi di valore assoluto ed anche nuovi nomi interessanti che si sono affacciati alla ribalta. Eccovi dunque un sunto dei nostri recensori liberi di esprimere in forme diverse il loro punti di vista… vediamo se sarete d’accordo con noi…
La redazione di MelodicRock.it
Samuele Mannini:
Chi legge le mie recensioni oramai dovrebbe aver capito che il mio gusto ondeggia spesso verso le derive più prog del rock/hard rock melodico ed ovviamente i dischi che prediligo spesso hanno questo tipo di influenza sonora, perché al di là dei vari gruppi clone quello che mi intriga di più è la passione e la voglia di inventare e trasmettere qualcosa. Anche quest’anno qualcosa di buono si è visto, vediamo se la mia lista vi incuriosisce…

Denis Abello:
Una cosa ormai è chiara dal mio punto di vista, sono in un periodo di stanca da “progetti” studiati a tavolino che ormai viaggiano a mio parere senza anima e definizione.
Così nella mia classifica personale, che come al solito ricalca quelli che sono stati gli album che più ho ascoltato durante l’anno, ritrovo praticamente solo band o artisti con una propria identità definita, unica eccezione per gli Heroes & Monsters che però portano con se un’alchimia da band che va oltre il semplice progetto.
Da qui troviamo poi qualche “vecchio” volpone che non tradisce (Ronnie Atkins, Secret, Edge of Forever, Perfect View, Mitch Malloy), qualche conferma in anni recenti (Stardust, Degreed, Creye, Care of Night) ed una serie di band e artisti relativamente freschi (Boys From Heaven, Steve Emm, Lebrock, Martin Miller) che in tutto salvano baracca e burattini.
In chiusura menzione per due EP che meritano un ascolto, il sinth pop/rock dei Lebrock e l’eccezionale colpo da maestro regalato da Martin Miller!

Altri Album meritevoli dell’anno:
Streetlight – Ignition
Mitch Malloy – The Last Song
Heroes And Monsters – Heroes And Monsters
Steve Emm – Dangerous Goods
Care of Night – Reconnected
Martin Miller – Maze Of My Mind (EP)
Lebrock – Gone (EP)
Giorgio Barbieri:
E’ stata un’annata un po’ sottotono rispetto a quella precedente, ma tutto sommato sono riuscito a trovare delle ottime cose anche quest’anno e anche se alcuni album che ho inserito in questa top ten non sono passati sotto alle mie spazzole, non posso fare a meno di citarli perché lo meritano. Di un’inezia sono rimasti fuori gli Extreme, comunque i grandi nomi ci sono, assieme a realtà meno prominenti, ma non per questo meno interessanti, quali Blindstone, Visione Inversa, Bad Touch e gli stupendi Perfect View. Sperando che il 2024 ci porti un po’ più di vigore, vi esorto a fare vostro il “mio” motto, Open minds will dominate!

Alberto Rozza:
Barbabas Sky: Vera sorpresa dell’anno: un album che non stanca mai.
Vambo: Non ci avrei scommesso, ma oggettivamente un grande album.
Star Gazer: Album chiaro, deciso e maturo.
Fifth Note: Ultimo ascolto del 2023, ultima sorpresa del 2023.
Mats Karlsson: Album maturo con alcuni spunti originali, ottimo ascolto estivo.
Sergeant Steel: Ascolto leggero e piacevole, non poteva mancare nella top 10 del 2023.
Paul Gilbert: Paul Gilbert che reinterpreta i brani di Dio: non c’è nulla da aggiungere.
Joel Hoekstra’s 13: Lavoro ben inquadrato nel genere hard rock, adatto per gli amanti del chitarrismo.
Czakan: Non eccezionalmente originale, ma pestato e tosto quanto basta per piacere.
Arctic Rain: Chiudo con un album di buonissima fattura e dai suoni eleganti.

Yuri Picasso:
365 giorni Spesi ad ascoltare musica, in circostanze e situazioni diverse. Classici dal passato, lost gems di proprietà sepolte nei ricordi e ancora improbabili ma possibili nuove ri(scoperte).
Come tutti voi amici lettori abbiamo dedicato tempo di ascolto alle annuali uscite discografiche, crogiolandoci il giusto in tempi che mai torneranno. Personalmente ritengo il 2023 similare al 2022, laddove i vecchi leoni del rock (Winger, Lukater, Vandeberg, Overland) riescono a prevalere rispetto i debutti e generalmente le nuove leve, queste ultime desiderose di primeggiare ma carenti nella riuscita di tali intenti. Manca oggi più che mai la figura del produttore esperto, al fine di renderizzare al meglio il risultato finale. Lo sappiamo, il mercato discografico è stato stravolto, nulla tornerà come prima.
Ad ogni modo, ecco dieci titoli da comprare, ascoltare, e riascoltare in futuro, in ordine assolutamente casuale:

Giulio Burato:
Anno 2023, tante, tantissime uscite ma nella realtà dei fatti quante ne ricorderemo?
A pelle, poche, ed io, scremando e scremando ancora, ho selezionato la decina di album che spero di portarmi appresso negli anni.
Le metto in ordine di preferenza personale.
1) Extreme – Six: album che mi ha spiazzato e che mi ha preso, da subito, un sacco per potenza e varietà di idee (peccato che ho mancato il concerto a Milano) e poi con una copertina del genere, non posso che assecondare il gorilla incazzato! 2) Tempt – Tempt: sorpresona dell’anno? a mio avviso, sì. L’omonimo album della band americana sprizza freschezza musicale. Contagioso! 3) Heroes and Monsters S/N: non gli davo molto credito a inizio 2023 finché non ho assaporato la band dal vivo (a Desenzano del Garda). Potente e fatto da dei veri artisti. 4) Bad Touch – Bittersweet Satisfaction: uscito a fine anno e ascoltato pochissimo ma ragazzi, che qualità! un hard blues con i fiocchi (di Natale). 5) The Struts – Pretty Vicious: a pari merito dei Bad Touch, pure questo album è uscito da poche settimane, più pop-oriented, ma di valore assoluto. 6) Degreed – Public Address: poco conosciuti e soprattutto poco pubblicizzati (seppure con già diversi album in cascina) ma originali e con molte frecce al loro arco. 7) Winger – Seven: un album intitolato Seven in quale posizione poteva piazzarsi? nella mia classifica personale do “un ben tornati Winger” con questo album solido, magai senza il pugno da ko, ma fatto con sagacia. 8) Nitrate – Feel the heat: l’avvento dei fratelli Martin ha reso molto “VEGAna” la proposta melodica dei Nitrate; con l’ugola Strandell, questo album si sposa alla perfezione con l’idea per cui nacque il nostro sito. Diverse canzoni ad alto contenuto melodico. 9) Boys from Heaven – The Descendant: particolari e fuori dalla monotonia delle ripetitive uscite in ambito melodic rock. Semplicemente bravi ed interessanti. 10) Roxanne – Stereo Typical: classe innata per questa band, “Stereo Typical” è un bell’album, seppure non al livello del precedente “Radio Silence”.
NB non lo dovrei scrivere, a rischio di essere cacciato dal sito 😊, ma vorrei fare un plauso a due uscite discografiche che, per motivi molto diversi tra loro, mi hanno comunque sorpreso e che apprezzo all’ascolto. Gli album in questione sono quelli dei Rolling Stones (pop-rock supremo) e Blink 182 (ricordi di infanzia). Aiuto!

Lorenzo Pietra:
In un anno sicuramente particolare come il 2023 che non ha visto molte vette artistiche, qualche nome nuovo si fa comunque largo nel sempre affollato mondo del rock melodico ed affini, vediamo in sintesi cosa mi ha più esaltato in questa annata musicale:

Paolo Paganini:
Come da tradizione anche quest’anno arriva l’immancabile e attesissimo (?!?!) (molto attesissimo! 🙂 NdR) appuntamento con la top ten dei redattori di Melodicrock. Un anno che si è rivelato complessivamente ricco di buone uscite anche se magari è mancato il disco che svetta su tutti gli altri con il movimento scandinavo particolarmente attivo (come accade ormai da qualche anno a questa parte) e che troverete inevitabilmente anche nella mia lista tra i dominatori del 2023.
1) DEGREED – Public Address Credo che parlare di sorpresa per questa band sia ormai fuori luogo. I ragazzi hanno già al loro attivo 7 dischi e quest’album segna la loro definitiva consacrazione. 2) NITRATE – Feel The Heat Una vera sorpresa per il sottoscritto. Una band che avevo fino ad oggi sottovalutato ma che complice un lotto di canzoni molto radio friendly ha fatto breccia nel mio cuore 3) CREYE – Weightless Mi aspettavo molto da questo nuovo lavoro ed ero convinto che si sarebbe piazzato facilmente in vetta alle mie preferenze. Il disco è ottimo ma i precedenti erano più diretti. Il podio comunque non glielo toglie nessuno. 4) DGM – Life Ai piedi del podio ma non per questo molto distanti dalla vetta gli italianissimi DGM con un album di prog rock immediato e orecchiabilissimo. Anche loro ormai una garanzia. 5) BLACK STONE CHERRY – Screamin’ At The Sky Anche in questo caso una prova del valore assoluto di questa band dal tipico sapore Southern Rock divenuti ormai un caposaldo nel panorama alternative, post grunge o come volete definirlo. 6) OVERLAND – S.I.X. E anche questa volta il buon Steve non delude i fan dell’AOR made in U.K. Un disco di gran classe che punta tutto o quasi sulla superba voce del singer inglese. 7) H.E.A.T. – Extra Force In attesa di un vero e proprio nuovo lavoro gli H.E.A.T. scaldano i propri fan con due inediti che valgono da soli la settima posizione in classifica. Se le basi del prossimo disco sono queste credo che ne vedremo… oops sentiremo delle belle. 8) ART NATION – Inception Il nuovo prezzemolino del melodic rock Alexander Strandel piazza un altro colpo con la band che più lo rappresenta e che gli ha dato notorietà. 9) PERFECT VIEW – Bushido Un’altra band italiana (e per di più emiliana) in questa speciale classifica segno che anche dalle nostre parti si fa ottima musica. Un progetto ambizioso e ben riuscito questo concept album accolto favorevolmente dalla critica internazionale. 10) FIRST SIGNAL – Face Your Fears In attesa di deliziarci con la band madre (Harem Scarem) il prolifico Harry Hess ci intrattiene con il proprio side project First Signal finalmente all’altezza dopo i non proprio convincenti lavori precedenti.

Vittorio Mortara:
Per questo 2023 innanzitutto un plauso ai nostri Perfect View che con Bushido hanno dimostrato ancora una volta quanto poco abbiano da invidiare ai colleghi nordeuropei. Grazie anche ai Boys From Heaven per averci deliziato con splendide melodie pop/Aor. Ed ai Roxanne per averci portato ancora una volta a spasso per il Sunset Boulevard a bordo di una cabriolet. Un bravo anche a Standrell: nei Nitrate dei fratelli Martin pare aver trovato finalmente la dimensione ideale per le sue doti canore. La bandiera dei tamarri faciloni sventola anche quest’anno grazie ai nuovi Midnite City e The Defiants, una certezza assoluta in materia. Menzione d’onore per i modernisti americani Tempt, per il coraggioso ritorno degli Extreme e per la bella conferma dei canonici Stardust. Infine, ragazzi, un ringraziamento a Hugo Valenti che ha completato la sua metamorfosi musicale e fisica in Steve Perry con un album tributo di canzoni originali. Buon anno a tutti, melodicrockers! E che il 2024 ci porti un nuovo disco degli Stage Dolls!!!!

Francesco Donato:
Non sarà certamente ricordato come un anno cruciale per il nostro genere questo 2023 che volge al termine, anno non di certo avaro di uscite (tra novità, superband e vecchi e graditi ritorni) ma pochissimi album sono riusciti a regalarmi emozioni da “ascolto imperdibile”.
1 – TEN Something Wicked This Way Comes Tra le conferme di quest’anno ci sono sempre loro. Album che non toglie e non aggiunge nulla alle aspettative, ma la classe e la maestria nel manipolare splendide melodie resta immutata, regalandoci un album che si lascia ascoltare dall’inizio alla fine con estremo piacere. 2 – WINGER Seven A distanza di quasi dieci anni tornano loro e anche per loro un album dove la classe fa da padrona. Soddifazione che cresce ascolto dopo ascolto. 3- STREETLIGHT Ignition Sono loro la vera sorpresa dell’anno in merito a nuove leve del genere. Un album che nonostante le numerose influenze suona fresco e con melodie altamente appiccicose. 4 – NITRATE Feel The Heat Band cresciuta tantissimo nell’arco di 4 album, con questo lavoro sicuramente piantano una bella bandierina tra le top band degli ultimi anni. 5- EXTREME Rise Anche qui poco da dire in merito alle referenze, album piacevole e granitico che si eleva rispetto a tutto quello che di simile è uscito durante l’anno. Una solida conferma gli Extreme. 6 – HEROES & MONSTERS Heroes & Monsters Non amo alla follia i progetti nati a tavolino, ma qui si va oltre con tre grandi veterani del rock che realizzano un album ruvido ma estremamente elegante. 7 – THE DEFIANTS Drive Terzo lavoro per la band del buon Paul Laine, e anche in questo caso nulla, si toglie nulla si aggiunge. Ma per chi ama atmosfere sonore alla Danger Danger questo è certamente un album altamente meritevole. 8 – OVERLAND S.I.X. Torna anche Steve Overland e qui la menzione in top sarebbe quasi d’ufficio. Per quanto mi riguarda uno degli album più interessanti di questo progetto! 9 – ECLIPSE Megalomanium Forse ci si aspettava il podio dagli svedesi, lo ammetto, ma pur essendo un album interessante, questo Megalomanium non mi ha regalato emozioni equiparabili ai precedenti lavoti. 10 – EXXOCET Dagger Constellations Sono stato indeciso fino alla fine se inserire i veterani L.A. Guns o i cileni Exxocet. Alla fine messo ai bordi della valutazione il cuore, il disco degli Exxocet prende di slancio il sopravvento con ottimi pezzi, un sound granitico e una produzione veramente importante.
Fuori classifica,ma di un pelo, voglio menzionare i THE STRUTS ed il loro Pretty Vicious, che si confermano una realtà da seguire con attenzione. Pezzi che si inchiodano in testa al primo ascolto favoriti da un sound che invita a sbattere il piedino.

05 Dicembre 2023 2 Commenti Leonardo "Lovechaser" Mezzetti

Per definire il concetto di età dell’oro, mi basta scomodare un frammento delle mie reminiscenze classiche. Cito, quindi, le parole del poeta romano Ovidio: “Fiorì per prima l’età dell’oro; spontaneamente, senza bisogno di giustizieri,senza bisogno di leggi, si onoravano la lealtà e la rettitudine”.
Ebbene, se ci riferiamo ad un certo versante melodico dell’hard rock e dell’hair metal, possiamo individuare la sua golden era nel triennio che andò dal 1985 al 1987. Pur senza intaccare lo spettro melodico, i volumi erano sparati a mille, l’enfasi e l’aggressività erano caricate a dismisura e l’impatto doveva essere strabordante, a differenza degli anni appena precedenti, dove, invece, la cura e l’attenzione erano dedicate maggiormente agli arrangiamenti e alla struttura dei pezzi.
Questo scintillante genere si era improvvisamente fatto interprete del clima godereccio e festaiolo che aveva fatto capolino nella società, soprattutto negli USA.
Indiscutibilmente erano gli anni di Reagan, il presidente che più di tutti seppe cavalcare e lanciare il Sogno Americano. Ottimismo, entusiasmo e sconfinata fiducia nel futuro: tutto ciò di cui avevano bisogno gli yankee. Dopo i tristi e grigi anni settanta, il popolo americano aveva deciso che voleva godersi ogni lusso, in modo assolutamente e spudoratamente egoistico. Reagan riuscì a insufflare negli americani l’idea che la vita fosse una corsa di velocità, dove chi restava indietro era perduto e solo i primi potevano cogliere i frutti proibiti e raggiungere sfarzo e godimento all’ennesima potenza.
Fu così che, in quei gloriosi giorni di tuono, molte band parteciparono a questa eccitante, spasmodica corsa per conquistare un posto tra i lucenti bagliori del sole che illuminava la seconda metà degli Eighties. Perfino molte band di heavy metal rinunciarono al look tutto pelle e borchie e all’aria truce per darsi un’immagine più colorata e spensierata. Tutti capirono che sotto il sole della California, in quella Los Angeles che era diventata la mecca per l’hard rock melodico, non si poteva restare incazzati. Bisognava vivere la vita, godersela fino in fondo, e lo si faceva prendendo d’assalto i nuovi luoghi di culto come Roxy, Troubadour, Gazarri’s, Blue Jay e Cathouse. A parte qualche eccezione, tutta la storia di questo genere si svolgerà lì, nella città degli angeli, tra le sfavillanti ville di Beverly Hills e Bel Air, nel quartiere di Hollywood e tra le boutique di lusso di Rodeo Drive.
Nel desolante panorama del melodic rock di oggi molte band sono abbandonate a se stesse. Magari volenterose e ben dotate nella scrittura dei pezzi, si trovano però senza una guida che sappia donare loro un input tecnico e artistico di alto livello. Nello scenario migliore si affidano ad onesti ingegneri del suono che sanno come ottenere una buona resa sonora, ma senza anima.
In quegli anni gloriosi, invece, le produzioni erano magnificenti, perché di soldi nel melodic rock ne giravano a palate. Geniali produttori mettevano la loro arte e le loro conoscenze al servizio delle band, e i risultati si sentivano. Scegliendo tre esempi illustri, i Bon Jovi sono esplosi quando si affidarono a Bruce Fairbairn, i Ratt trovarono la loro accattivante miscela tra pop e metal grazie a Beau Hill, e come non nominare Mutt Lange che ha praticamente inventato il sound dei Def Leppard?
Tra il 1985 e il 1987 queste band, come anche gli Europe e gli Whitesnake, sconquassarono il mercato discografico e ottennero vendite stratosferiche. Le altre band capirono che la cosa più furba era allinearsi ad un sound ben conosciuto dal grande pubblico e capace di vendere montagne di dischi. Le stesse label preferivano stipulare contratti con qualche clone dei Bon Jovi o dei Def Leppard, piuttosto che rischiare con una band che offrisse un sound diverso. Anche gruppi già consolidati si allinearono a questa tendenza, come i Survivor o i Loverboy.
Nell’arco di questi tre anni, tante altre band, come ad esempio White Lion, Bonfire, Stage Dolls, FM, Treat e Haywire, seppure per tratti di tempo più o meno lunghi, tentarono anche solo di essere accarezzati dal dolce sciabordio della fama e di conquistarsi un posto al sole, alle spalle dei mostri sacri. Erano i magici tempi in cui ognuno di questi gruppi poteva giocarsi la possibilità di conquistare un breve passaggio sulla neonata MTV. I video di AOR o hair metal, infatti, spesso e volentieri uscivano dai loro recinti (il leggendario Headbangers Ball) per sconfinare nella heavy rotation.
Negli anni appena successivi, il biennio 1988/1989 rappresentò un periodo di strana, perversa transizione. Da un lato il melodic rock e l’hair metal vivevano ancora un momento di grande splendore, soprattutto nel mercato nordamericano e giapponese, dall’altro lato le nubi iniziavano ad addensarsi all’orizzonte. Il fango che di lì a poco sarebbe arrivato da Seattle iniziava lentamente ad inquinare le strade di LA e il sole che prima splendeva alto nel cielo si faceva via via sempre più offuscato.
Molti gruppi, come i Danger Danger, i Giant, gli House of Lords, i Bad English o i Signal, avrebbero continuato fino alla fine a regalarci, proprio in quegli ultimi anni, alcune delle opere più spettacolari, forgiando quella che potremmo chiamare una dorata decadenza. Riuscirono a distillare lo spirito del melodic rock, elevandolo ad una interpretazione squisita e sfarzosa. Celebrarono, così, per l’ultima volta le luci rossastre di quello che era un tramonto, ma lo resero splendente, ai limiti dell’accecante.
Ma la festa sarebbe durata ancora poco. Il triste destino che divorò proprio il capolavoro dei Signal simboleggia alla perfezione l’atmosfera cupa e nefasta che, in parte, già nel 1989 aleggiava intorno al melodic rock. La EMI, dopo aver speso Dio solo sa quanto per incidere quella meraviglia di disco (che aveva alle spalle il lavoro di un team stellare, a cominciare dal produttore Kevin Elson), lo ritirò dal mercato dopo aver pubblicato solo una manciata di copie, e finendo addirittura per cancellarlo dai cataloghi. Un pezzo di lucente bellezza come Arms of a Stranger, uscito qualche anno prima, e lanciato da un’attività promozionale adeguata, avrebbe potuto e dovuto sfondare le classifiche.
Al termine di questo biennio, le tenebre di una notte buia e gelida stavano iniziando a calare. Una nebbia triste e tossica soffocava le stesse chitarre che solo qualche anno prima erano sparate in overdrive, e alcune band uscirono veramente troppo tardi, fuori tempo massimo. Fu il caso degli Unruly Child, e della seconda splendida opera dei Bad English. Quando Backlash arrivò nei negozi, i Bad English non esistevano già più. In questi primissimi anni novanta, mi raccontava alcuni giorni fa Paolo Cossali, i negozi riempivano intere ceste di dischi di AOR, hard rock melodico ed hair metal, svendendoli anche a un dollaro, come fosse merce avariata di cui bisognava liberarsi il più presto possibile. Questo “straziante” aneddoto fa capire bene il senso di catastrofe imminente che in quei giorni si riversava sul Santa Monica Boulevard.
Ma, a questo punto, il cuore del mio articolo prende vita facendo un passo indietro. Torniamo all’età dell’oro, torniamo tra il 1985 e il 1987. Ebbene, in quegli anni di splendore non tutti i gruppi di hard rock melodico e hair metal raggiunsero il successo. Nonostante fossero usciti nei tempi giusti, quando ancora le spiagge di Malibu erano accarezzate da tramonti sfavillanti di rosso, alcune band rimasero nell’ombra. E il loro destino si consumò miseramente nell’oblio. Ebbene, se i dischi erano ottimi, se i tempi erano quelli giusti, allora perché questo oblio?
Mi rendo conto che è impossibile trovare una sola risposta valida per tutti. Ogni caso andrebbe valutato nella sua singolarità. All’Università il mio professore di storia contemporanea raccomandava sempre che un’efficace analisi storica, e questa, in fondo, lo è, deve necessariamente avere origine da un accurato e razionale esame del contesto ambientale nel quale si sono svolti i fatti. In questo caso dobbiamo riferirci ai diversi contesti ambientali nei quali le band si formarono e operarono.
Per i gruppi inglesi, ad esempio, vi fu certamente la quasi insormontabile impresa di dover approdare negli USA. Il miracolo dei Def Leppard era destinato a restare unico ed irripetibile. Il mercato principe erano sempre gli USA. L’Europa in quegli anni era abbastanza sorda alle sirene del melodic rock, e le band inglesi che cercavano di lanciarsi trovavano davanti a sé un muro invalicabile. Né la bellezza dei pezzi, né il look giusto. Nulla sembrava poter offrire alle band inglesi la possibilità del successo. Quelli che tentarono con più convinzione furono gli Shy, con il loro capolavoro Excess All Areas, ma i risultati furono alquanto deludenti. La mancanza di una promozione adeguata causò il flop dell’album, e neppure il loro tentativo di cambiare pelle, avvicinandosi allo street/glam metal, nel successivo Misspenth Youth, ottenne risultati apprezzabili, tanto che la RCA pensò bene di stracciare il loro contratto.
Ma la triste parabola degli Shy fu simile a quella di molte altre band americane, che pur essendo nel centro del mercato che contava, finirono travolte da una concorrenza spietata e spesso rafforzata da una promozione molto più strutturata. In ultima analisi, quindi, consapevole dei rischi che ogni generalizzazione può portarsi dietro, possiamo ragionevolmente individuare le due cause principali dell’oblio che divorò alcuni di questi gruppi, a prescindere dalla loro provenienza geografica: una scarsa, o in alcuni casi addirittura assente, attività di promozione da parte delle case discografiche e una sfacciata, strabordante abbondanza di band melodic rock e AOR. Un dedalo di gemme splendenti di fronte al quale spesso il pubblico si ritrovò abbagliato, come un bambino che, circondato dalle innumerevoli e luminescenti giostre di un luna park, si guarda attorno con espressione estasiata, finendo per ignorarne qualcuna. Una posizione altamente invidiabile se consideriamo il disarmante panorama che il melodic rock ci offre quest’oggi.
Ebbene, io ho voluto individuare sei pezzi usciti nella golden era dell’hard e hair metal melodico che, a mio avviso, supportati da una promozione con le palle d’acciaio, avrebbero avuto anima e corpo per sbancare le classifiche di quegli anni ed entrare in heavy rotation su MTV.
Icon – Shot at my Heart
Gli Icon arrivavano da Phoenix e nell’anno Domini 1985 uscirono con il loro secondo album Night of The Crime pubblicato dalla Capitol. Gli Icon erano una prorompente miscela di hard rock melodico con cori solenni e tastiere roboanti e qualche venatura class metal alla Dokken, e in questa seconda opera impreziosirono la proposta con una vena melodica molto più accentuata rispetto all’esordio. Su Billboard il disco andò malissimo e la Capitol strappò il loro contratto prima che il 1985 finisse, anche se proprio a quest’ultima viene unanimemente addossata la colpa per la mancanza di promozione per un album che in altre mani avrebbe sicuramente fatto il botto. C’è altresì chi fa notare che il 1985 non fu un buon anno per il rock melodico nelle classifiche americane, intasate dalle band pop e rock britanniche, grazie al clamore del Live Aid, e si domanda cosa sarebbe successo se il disco fosse uscito solo l’anno dopo.. Mi piace immaginare Night of The Crime come opera simbolo di questo articolo, e Shot at my Heart è una bomba di magnificente melodia, ma altresì forgiata di purissimo acciaio cromato, esattamente come quei tempi pretendevano, e avrebbe dovuto deflagrare in tutte le classifiche.
Rio – Shy Girl
Sempre nell’anno Domini 1985 gli inglesi Rio uscirono con il loro primo album Borderland. A differenza di altre band inglesi come gli Shy o gli FM, i Rio non furono pubblicati da una major ma da una label indipendente come Music For Nations, dotata di mezzi non certamente esagerati. Il loro AOR ultramelodico di matrice canadese fu completamente ignorato. Ma Shy Girl rimane un pezzo mostruoso, con quel coro finale che ti spacca il cuore.
Aviator – Can’t Stop
Nel 1986 uscirono gli Aviator. Il loro caso è veramente strano. A differenza di altri album che cito qui, ignorati fin da subito, gli Aviator furono immediatamente osannati da pubblico e critica. Nonostante questo, il disco finì fuori catalogo e per molto tempo è addirittura scomparso dalla faccia della Terra. Ristampato dalla Escape nel 1997, è sparito nuovamente. La loro Can’t Stop è uno dei pezzi più trascinanti dell’intero genere, con un refrain che ti porta via. Ultimamente i Palace hanno fatto uscire un Ep di cover contenente una versione spettacolare, potentissima, di Can’t Stop.
Urgent – Pain
Nell’anno Domini 1987 gli americani Urgent uscirono con il loro secondo album Thinking Out Loud, e lo fecero con una label tutt’altro che trascurabile. Era la Manhattan Records, che altro non era che una division della Capitol, cioè una label creata in seno alla major per dedicarsi a certi generi musicali e dotata di una certa autonomia. Ebbene, il primo pezzo dell’album era questa Pain, una autentica bomba di cori pazzeschi e melodia dannatamente Eighties, un pezzo che avrebbe meritato di viaggiare in alto in classifica. Ma, dopo questo secondo album, i fratelli Kehr, il nucleo della band, scomparvero nella nebbia.
Outside Edge – Heaven Tonight
Svariate volte, scrivendo i miei articoli per Melodicrock.it, ho avuto occasione di celebrare il mio sconfinato amore per gli inglesi Outside Edge. In questo elenco voglio citare Heaven Tonight, dall’album More Edge del 1987 ma rilasciato solo nel 2000 per problemi di label, come fulgido esempio del loro space hair metal, come mi piace definirlo, fatto di scintillanti scie di tastiere e sognanti atmosfere futuristiche. Ebbene, considero un peccato mortale che i gemelli Tom e David Farmer, le menti degli Outside Edge, non si siano potuti sedere nell’Olimpo dell’hair metal melodico accanto a Joe Elliot.
Preview – Find my Way back to You
Avevo già scritto di questo pezzo in un mio articolo sui pezzi dell’universo AOR mai pubblicati. Find me Way back to You, infatti, è l’unico demo di questo elenco, ma la sua stratosferica bellezza mi ha da sempre stregato. Il coro radioso e sfavillante del pezzo racchiude tutta l’atmosfera che si respirava in quel magico 1987, e mi sanguina il cuore al solo pensiero di non averlo potuto ascoltare con una resa sonora adeguata al capolavoro quale è.
Dunque, signori, non vi resta che una sola cosa da fare. Immaginate di essere ancora in quella magica estate del 1987. Da pochi mesi l’URSS ha lanciato la Soyuz TM 2 con due astronauti a bordo per mettere in funzione una stazione spaziale permanente, mentre da qualche giorno nel Regno Unito un terzo governo è stato affidato ai conservatori di Margaret Thatcher e dalla Casa Bianca Ronald Reagan ha dato ordine di attuare l’operazione Earnest Will, inviando forze navali statunitensi a scortare i convogli delle petroliere neutrali contro i ripetuti attacchi iracheni e iraniani. Se vi guardate attorno, in lontananza potete scorgere chiome platinate, pantaloni di pelle, spandex multicolori, stivali da cowboys e spolverini di seta, e il sole deve ancora tramontare sulle spiagge di Malibu.. E allora alzate il volume al massimo, per un altro giro di giostra, un altro ancora!
24 Febbraio 2023 22 Commenti Samuele Mannini

Riflessioni in libertà sull’hard rock ed il suo ascolto.
Questo articolo vuol essere solo uno spunto per prendere coscienza di un argomento in realtà piuttosto dibattuto nei vari gruppi e forum che si occupano di musica in generale e di rock/hard rock in particolare, ovvero: quale futuro per la fruizione e l’evoluzione di questo genere? Qual è lo stato di salute di questo tipo di musica in mezzo a tutte le rivoluzioni, anche tecnologiche, che caratterizzano l’epoca odierna?
Ha senso per esempio avere 180 uscite l’anno di Hard rock più o meno melodico e Aor? Il numero è probabilmente arrotondato per difetto visto che noi su MelodicRock.it abbiamo fatto 150 recensioni lo scorso anno ed alcune uscite le abbiamo dovute tralasciare (dopotutto siamo umani)… Ha senso inoltre che la qualità media di tali uscite sia diciamo non eccelsa? Ed infine ha senso che gran parte delle produzioni (in senso di qualità sonora) sia abbastanza scadente? Per non parlare dei prezzi che il supporto fisico sta raggiungendo ai nostri giorni…
Per rispondere a questi interrogativi penso sia utile tornare a guardare il periodo in cui questo genere è stato in auge, ovvero gli anni tra il 1987 ed il 1991. In quegli anni infatti il genere hard rock ( in tutte le sue derivazioni, che non starò ad elencare) ha addirittura rischiato di diventare mainstream con camionate di dischi venduti, Whitesnake, Scorpions, Def Leppard, Guns N’ Roses, Bon Jovi, per non citare i Metallica del Black Album erano ascoltati comunemente persino qui in Italia, dove le atmosfere rock non sono mai state commercialmente redditizie. C’erano persino programmi Tv e Radio dedicati al genere nonché riviste specializzate in gran numero. Tutto ciò è stato solo frutto del caso? Oppure le colpe della situazione odierna sono da distribuire su molteplici fattori? C’è rimedio a questa situazione oppure dobbiamo rassegnarci all’ estinzione?
Un fattore sicuramente determinante è stata la politica delle allora major discografiche che hanno sempre inseguito solo il profitto e quasi mai arte e profitto vanno a braccetto (almeno nel lungo periodo). Mi ricordo che anche ai tempi ci lamentavamo delle tante uscite e dei tanti gruppi lanciati allo sbaraglio, ma è altresì vero che dal calderone della selezione naturale e selvaggia sono usciti poi gruppi che sono arrivati anche ai giorni nostri, e parlando di numeri, veniva considerato un flop un disco che vendeva 250000 copie, mentre oggi venderne 5000 è un successo.
Sicuramente l’avvento del digitale e tutta la faccenda Napster ha segnato un punto di svolta in negativo per tutto il music business, ma il modo in cui è stato gestito dalle etichette discografiche ha del paradossale e del suicida. Mentre all’inizio il fenomeno è stato combattuto con le più assurde tecniche di protezione digitale dei contenuti (vi ricordate i cd copy protected e la famosa copia legale?), successivamente il mezzo di diffusione digitale in formato mp3 ha fatto pensare alle etichette ad un facile guadagno tanto da far nascere i primi embrioni dei servizi di streaming… risultato? Molte case discografiche con i bilanci traballanti sono sparite dal mercato acquisite dalle più grandi ed alcune assorbite dagli stessi servizi di streaming con tutto il loro patrimonio di opere in catalogo. Questo diminuire di giro di affari alla lunga non solo ha distratto capitali da investire nella ricerca e promozione di nuove band e scene musicali, ma ha anche costretto le etichette a giocare sul sicuro con i soli grossi nomi che comunque garantissero un ritorno economico certo, il tutto in un circolo vizioso dove anche numerosi artisti si sono trovati fuori dal mercato o in ambiti estremamente ristretti con conseguente riduzione del giro d’affari complessivo.
Il cambiamento tecnologico ha infine ulteriormente portato ad un mutamento delle abitudini degli ascoltatori. Il rendere fruibile la musica su ogni genere di device tecnologico di basso livello ha fatto abbassare lo standard qualitativo delle produzioni rendendole tutte omologate e fatte apposta per essere ascoltate su un cellulare con le cuffiette o su You Tube dagli speaker del pc. Per chi come me è cresciuto con le produzioni stellari dei mid-eighties, fatte da produttori con i controcoglioni ( Alan Parsons, Beau Hill, Richie Zito… e l’elenco è sterminato) e magari abituato ad ascoltare la musica su un impianto hi-fi, è un vero e proprio trauma ascoltare certi pastrocchi moderni.
Siamo infine sicuri che l’aver trasformato gli ascoltatori in semplici fruitori a noleggio abbia giovato alla musica come forma d’arte? Prendiamo qualche dato economico: quanto è l’introito per una band che oggigiorno si appresta a rilasciare un disco? E quanto può essere il giro d’affari di una etichetta discografica che decide di investire dei capitali in un determinato artista? Crollando le strutture distributive delle major, anche la distribuzione delle copie fisiche ha subito una profonda ristrutturazione e col calo dei fatturati ( il famoso cane che si morde la coda). Sono poi aumentati i passaggi diminuendo così il margine operativo per le etichette e gli artisti, se prima infatti per esempio una Emi Records curava tutto dalla registrazione, stampa e distribuzione, il cambio verso realtà più piccole ha costretto ad affidarsi a distributori locali, aumentando i passaggi e diminuendo di conseguenza la catena del valore, oltretutto a scapito del prezzo dei supporti. Qualche numero per chiarire: se nel 1989 un disco stampato da una major al netto del costo garantiva un margine per l’etichetta di circa il 40/50%( da spartire poi con l’artista in base al proprio contratto) per copia venduta oggigiorno questo margine, soprattutto per le realtà medio piccole, si aggira se va bene al 20/25%. Esemplifichiamo: per una tiratura diciamo piccola/media (che però nel nostro genere ed al giorno d’oggi è praticamente uno standard) di 1000 copie e contando tutti i canali di distribuzione fisica ovvero, vendita diretta sul proprio sito, vendita coperta tramite distribuzione diretta e vendita in territori coperti da un distributore locale, a spanna il margine medio per un etichetta è di 4,5/5 euro a copia, mentre quello riconosciuto all’artista è 1/1,20 a copia, fate pure il conto di che cifre ridicole vengono fuori… (naturalmente poi ci sono le tasse, ma questa è un’altra storia). Ma lo streaming? Mi direte voi? Oggi lo streaming è il futuro ed è lì che si concentrano i guadagni… Beh fino ad un certo punto… Considerato che mediamente una piattaforma di streaming paga 0,005 Eur per brano, per fare 10 euro servono 2000 streaming ed anche qui l’introito va diviso tra etichetta ed artista, quindi tolta la percentuale che va al distributore digitale restano 4,5 euro a testa tra etichetta ed artista… ( anche da qui van tolte le tasse). Ergo, se per un artista dai grandi numeri che so una Shakira o una Rhianna non è un problema sbarcare il lunario, per una band del nostro genere oserei dire che l’apporto della musica liquida è in molti casi nulla più che un rinforzino ed ha più la valenza di farsi conoscere che un riscontro economico. Potrei aprire una piccola parentesi sul ritorno del Vinile, che come oggetto da collezione potrebbe garantire un piccolo margine in più sotto il profilo della remunerazione economica visti i prezzi di vendita, ma ad occhio e croce anche qui sembra che le grandi etichette si siano gettate sulla preda come squali affamati con il solo intento di mungere gli acquirenti senza realmente creare valore aggiunto per gli artisti.
Eccoci dunque al punto: al giorno d’oggi siamo diventati noleggiatori digitali di una musica creata da operai cottimisti, costretti dai numeri a fare dischi a ripetizione che suonano tutti uguali e che saturano un mercato sempre più piccolo. Questa è almeno la strada che io vedo percorrere da chi oggi gestisce il music business e viene da chiedersi se sia la strada giusta, oppure se sia necessario un radicale cambio di visione. Naturalmente le mie sono solo elucubrazioni di un ascoltatore e quindi ampiamente opinabili, ma viene da pensare che forse si dovrebbe puntare più sulla qualità che sulla quantità per sopravvivere in un ambito così di nicchia, fare magari meno uscite, puntare di più su gruppi artisticamente validi che siano in grado di abbracciare audience più vaste e destinare più risorse per promuoverli in vari ambiti, forse ci vorrebbe anche una maggiore coesione tra le varie realtà discografiche del genere che dovrebbero avere più coraggio, collaborare di più ed unire gli sforzi invece di promuovere una guerra tra poveri che, temo, in poco tempo ci porterà alla inevitabile fine. Anche noi fruitori infine potremmo con i nostri comportamenti indirizzarci verso le forme che consentano ad una etichetta ed una band di avere più margine orientando i nostri acquisti verso la qualità e cominciando a ri-considerare la musica un bene tangibile e prezioso invece di un sottofondo da avere mentre passiamo l’aspirapolvere.
Trovo svilente che la musica sia oramai considerata qualcosa di gratuito di cui fruire in qualità infima su YouTube o che pagando 9,90 al mese ci sentiamo con la coscienza pulita perché… beh insomma io ho pagato. Io penso che una volta quando avevamo comprato un disco, solo per il fatto di averlo pagato caro, gli dedicavamo una attenzione molto superiore e non limitandoci a dare giudizi solo per aver ascoltato 30 secondi di ogni brano; in poche parole avere a portata lo scibile umano non necessariamente ci porta ad avere una cultura più vasta e, personalmente, preferisco conoscere un disco nota per nota che ascoltarne 50 a pezzetti per poi poter sciorinare giudizi divini e paventare conoscenza enciclopedica.
Per concludere questo mio scomposto fluire di riflessioni vorrei dire che i dati numerici che ho citato sono un conto fatto a spanna e quindi (anche se mi sono documentato a proposito) devono essere presi come ordine di grandezza che naturalmente può variare da etichetta ad etichetta da paese a paese ed anche per artista coinvolto; servono solo a dare un quadro d’insieme per eventualmente stimolare una discussione ed una riflessione che necessariamente dovrà essere personale.