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Classici

Heavens Edge
Heavens Edge

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Heavens Edge – Heavens Edge – Gemma Sepolta

27 Febbraio 2021 10 Commenti Samuele Mannini

genere: Hard rock / Class Metal
anno: 1990
etichetta: Rock Candy 2010
ristampe: Rock Candy 2010

Per la rubrica , cosa diavolo è andato storto?  Ecco a voi gli Heavens Edge.

Il disco è uscito all’inizio del 1990 quindi in epoca non ancora di declino, etichetta CBS e dunque una Major… il disco è prodotto benissimo da Neil kernon , quindi non proprio al risparmio. La musica è un ibrido tra hard rock e class metal,  con chitarre taglienti e scintillanti Dokken style e una voce perfetta per il genere, pezzi spacca cervicale a go go ed almeno un lento strappamutande, un disco che nel complesso poteva piacere ai metallers più ortodossi e ai ” mollaccioni” più avvezzi alla melodia. Invece tutto quello che ne è suguito è una uscita fatta dopo vent’anni con gli scarti del primo e due tre Song che dovevano uscire sul successivo…. cosa è andato storto?

Le canzoni sono veramente valide basti pensare a Play Dirty, tagliente ma catchy , energica  ma melodica, tutti i giusti ingredienti. Skin to Skin non è molto distante dallo stile Skid Row che spopolava in quel periodo, Find Another Way è una squisita power ballad con un robusto guitar work addolcito a tratti da precisi inserti di tastiera. Up Against The Wall è un hard rock veloce e danzereccio al quale segue un vero e proprio gioiellino Hold On To Tonight, ballad si passionale , ma assolutamente non melensa che abilmente riesce a muoversi a cavallo tra melodia ed energia. Can’t Catch Me è un hard martellante con una ritmica serrata,  Bad Reputation parte piano per poi svilupparsi in un class metal che a tratti ricorda i Fifth Angel più melodici , così come il serrato e quasi metal riff che sorregge Daddy’s Little Girl. Is That All You Want ?, è invece un blues distorto che è fatto apposta per l’esecuzione live , seguito dalla gradevolissima e radio friendly Come Play The Game. Chiusura per quello che forse il pezzo più debole ovvero Don’t Stop, Don’t Go un hard rock tirato , ma tutto sommato confusionario.

Tirando le somme abbiamo un disco con 10 pezzi di alto livello, che grazie alla produzione di Kernon suonano divinamente, ma che è passato inosservato ai più. Probabilmente il più grande problema di quegli anni era proprio la sovrabbondanza di uscite e la noncuranza della promozione delle case discografiche che lanciavano nella mischia frotte di gruppi che, per la maggior parte, erano destinati a sparire nell’oblio. Sono stati bruciati così molti artisti e dischi di valore fino ad un paio di anni dopo , quando le camicie a quadri di flanella presero definitivamente la scena e fu veramente il declino.

Vista la ristampa Rock Candy penso che non sia né difficile né particolarmente dispendioso recuperarlo, fateci un pensierino.

Boulevard
Into The Streets

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Boulevard – Into The Street – Classico

20 Febbraio 2021 11 Commenti Samuele Mannini

genere: Aor
anno: 1990
etichetta: Metal Mind 2010
ristampe: Metal Mind 2010

Dopo aver trattato del primo Blvd nelle gemme sepolte (leggi qui), ed avere recensito ( recensione di Iacopo Mezzano) il più recente IV Luminescence (leggi qui), credo sia venuto il momento di chiudere il cerchio e parlare anche di quello che i dai più viene considerato il loro classico, ovvero Into The Street.

Il disco è uscito a due anni dal precedente e vede due cambi di line up alla sezione ritmica con l’ingresso di Tom Christiansen e Randall Stoll, mentre la produzione viene affidata a John Punter, noto per aver prodotto artisti come Brian Ferry, Nazareth , Roxy Music etc… Dalle nostre parti il disco è rimasto in semiclandestinità ; mentre il primo lo si trovava tra i cd forati e nei vari mailorder te lo tiravano dietro a poche lire, su questo Into The Street era calato il mito della irreperibiltà, che aveva relegato a pochi eletti la possibilità di godere di questo gioiello. Per fortuna grazie ai vari portali di vendita on line e successivamente anche alla ristampa della polacca Metal Mind, reperire questa chicca non è più impresa improba. Resterebbe sempre da chiedersi perché le major ( e la MCA è stata maestra in questo) spendessero fior di quattrini per produrre e stampare opere per poi lasciarle in balia delle onde senza un minimo di promozione, ma questa è tutta un’altra storia.

Passiamo al materiale contenuto nell’ lp. I fans più accaniti avranno subito notato la presenza di Rainy Day In London, ballata nostalgica ed espressiva. Questa canzone è stata il vero e proprio esordio discografico dei Boulevard nel 1984 (anche se con un altro cantante)  ed ebbe anche un discreto riscontro mitteleuropeo. Viene qui reincisa e riproposta in chiave Aor amalgamandola così al resto del materiale. Questo disco , rispetto al predecessore, mostra una chiave più definitamente adult orientated, “indurendo” alcuni arrangiamenti che nell’esordio volgevano più marcatamente al pop/rock. Esempi lampanti di questo affinamento sonoro sono l’opener Talk To Me, con il riff di chitarra ben in evidenza, non soffocato, ma anzi supportato dalle tastiere, ed anche la splendida ballad Where Is The Love,  si erge matura e di classe seguendo il registro Aor per definizione. Una dinamica comune ad altri gruppi del filone canadese che adora galleggiare tra le linee tra pop/rock ed aor, come ad esempio i Glass Tiger, tanto per citare un nome. Lead Me On ondeggia di più sul lato Pop grazie all’uso dei synth ed al ritornello molto catchy, così come Eye Of The Hurricane che occhieggia con malizia ai Loverboy ed evidenzia la parte rockeggiante con il  solo di chitarra centrale. Light Of A Day mostra una struttura che rimanda ad un mix tra Stan Bush e Tim Feehan, ritmica sostenuta su base fortemente keybord oriented, suadente ed energica. Crazy Life poggia su un giro di basso ritmato e ballabile, mentre di Rainy Day In London ho già accennato in precedenza quindi non resta che gustarsi la sua melodia ed il solo finale di sax. Ritmata e sopraffina è Where Are You Now dove ad una splendida trama melodica si uniscono arrangiamenti veramente lussuosi. Need You Tonight è un brillanteAor giocato sull’equilibrio tra i contrappunti chitarristici e gli incroci di sax. Chiude Eye To Eye con le sue venature soul ed i fiati in evidenza.

Insomma un album di buon vecchio Aor a tutto tondo, che esplora il genere in tutte le sue sfumature con la collaudata ricetta canadese, sempre piena di buon gusto. Se sia più bello questo o il primo disco è un dibattito puramente filosofico guidato dai gusti e dalla sensibilità personale, quello che invece è certo è che siamo in presenza di un disco che ogni appassionato di melodia dovrebbe fare suo.

Whitesnake
1987

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Whitesnake – 1987 – Classico

06 Febbraio 2021 43 Commenti Samuele Mannini

genere: Hard rock
anno: 1987
etichetta:
ristampe:

Mettetevi pure comodi, qui non ce la sbrigheremo certo in cinque minuti. Parlare di 1987, uno degli album più iconici dell’hard rock anni 80 richiederà infatti un po’ di impegno e di ricostruzione storica.

Il Deus Ex Machina del Serpente Bianco è sempre stato David Coverdale , fino dalla fondazione del gruppo nel 1977 , ha sempre fatto e disfatto a seconda del capriccio e dell’ ispirazione del momento. Già con l’album Slide It In del 1984 l’idea della conquista del mercato americano, storicamente sempre freddino verso l’hard rock made in europe, stava infatti prendendo forma nello smisurato ego di David. Fomentato dalla Geffen , che curava la distribuzione americana degli Whitesnake, ed avendo già in effetti sciolto la formazione che registrò Slide It In, fu affiancato dall’ex Thin Lizzy John Sykes nella stesura, e dallo storico bass player Neil Murray negli arrangiamenti, di quello che diverrà poi il più grande successo firmato Serpente bianco ovvero, 1987. Superati anche i problemi di salute di Coverdale , che avrebbero potuto metterne a rischio la carriera, l’ album vede finalmente la luce. Sarà un vero e proprio crack planetario (12.000.000 di copie vendute) ed uscirà con tre titoli diversi (1987, Whitesnake ,Serpens Albus) per i mercati europeo , americano e giapponese. Dulcis in fundo, i video promozionali ed il tour saranno fatti con una formazione totalmente diversa ( Vandemberg-Campbell alle chitarre , Sarzo al Basso , Aldridge alla batteria) da quella che registrò in studio, proprio per i dissidi tra il gruppo ed il buon David, con inevitabile querelle legale con Sykes, co-autore di buona parte del disco.

Chiusa dunque a grandi linee la parte storica e di cronaca, veniamo a parlare di ciò che ha rappresentato musicalmente questo disco. Come vendite e successo è stato sicuramente uno di quei platter che ha segnato un’ epoca, ma… musicalmente? Per i vecchi fan fu sicuramente un mezzo colpo al cuore. L’abbandono così repentino delle radici più marcatamente blues, non è stato così facilmente digerito da chi seguiva il Serpente bianco dagli esordi, quando Coverdale uscito dai Deep Purple cominciò a tracciare una rotta ben precisa fatta di Blues e Hammond. E’ oggettivamente vero però che per quelli della mia generazione, 1987 è servito come trampolino di lancio per andare indietro e scoprire, e come nel mio caso adorare,  i vecchi Whitesnake che camminavano nell’ombra del blues. Un disco che i detrattori all’epoca definirono, in maniera superficiale, mollo e commerciale per via del successo della super hit Is This Love, salvo restare atterriti davanti ai riff potenti e roventi di Still Of The Night. Userò queste righe per esprimere il mio personalissimo parere su quest’opera; vale a dire che l’unico difetto potrebbe essere proprio il fatto che in realtà non ha difetti. Mi spiego meglio, il disco è costruito per avere successo, ha la tecnica, le canzoni giuste, gli arrangiamenti killer ed una produzione de luxe, e se questi vogliamo considerali difetti…. allora ce’ poco da chiacchierare, va bene che sui gusti non si discute, ma qui è stato fatto tutto a regola d’arte e ne è uscita una vera e propria pietra angolare dell’ hard rock, che ha tracciato un solco indelebile per molti gruppi, anche negli anni a venire. Prendiamo la già citata Still Of The Night , ed i suoi riferimenti Zeppelin con tanto di chitarra che nel video viene suonata con l’archetto del violino, è semplicemente magnifica, dura ed audace, ma suadente e catchy allo stesso tempo. Bad Boys è un up tempo a presa super rapida ed estremamente ben rifinito. Give Me All Your Love, è quel brano che mira spudoratamente alla classifica e che non puoi fare a meno di cantare a squarciagola mentre guidi la macchina. Looking For Love è il primo lento del disco e consente a Coverdale di dare prova di tutta la sua suadenza vocale. Crying In The Rain è il primo dei due remake tratti da Saints And Sinners, ovvero la plastica dimostrazione che una grande canzone, seppur privata della parte più blues, ma dotata di più ritmo ed energia, resta sempre magnifica. Poi….beh poi…c’è “LA” ballad quasi per antonomasia ovvero Is This Love, canzone che Coverdale aveva scritto per farla interpretare da Tina Turner, ma senza nulla togliere, sono estremamente contento che l’abbia tenuta per se. Segue Straight For The Heart, e se non ha avuto molto risalto, è perchè nell’album ci sono cinque hit single ed altri cinque che avrebbero potuto diventarlo, in un qualsiasi altro contesto avrebbe fatto furore. Don’t Turn Away è malinconica ed appassionata e ci introduce all’hard rock potente ed elettrico di Children Of The Night, che farebbe ballare anche un cadavere. Secondo ripescaggio da Saints And Sinners, ovvero Here I Go Again , che era già splendida e che qui poggia sul tappeto tastieristico steso da Don Airey. Si chiude infine con l’ energetico hard rock di You’re Gonna Break My Heart Again.

Insomma; interpreti eccezionali, produzione stellare, canzoni memorabili, per un disco che anche oggi, a quasi trentacinque anni di distanza, resta un fondamento dell’hard rock, che ciclicamente bisogna ascoltare per ricordarsi da dove siamo venuti. Da possedere ad ogni costo.

 

Prophet
Cycle Of The Moon

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Prophet – Cycle Of The Moon – Classico

29 Gennaio 2021 15 Commenti Samuele Mannini

genere: Hard rock
anno: 1988
etichetta: Z-records 2001 Wounded Bird 2009
ristampe: Z-records 2001 Wounded Bird 2009

Questo disco ai suoi tempi generò una discreta battaglia tra gli aficionados di etichettatura , ho letto veramente di tutto,  hard pomp melodic space rock e chi più ne ha più ne metta , ora io capisco che dare una etichetta ad un disco sia utile per fornire a chi stà leggendo una indicazione di massima sulla direzione sonora dell’opera in questione  ma,  come in tutte le cose, quando si cerca di andare troppo in profondità con le definizioni si rischia di perdere il quadro d’ insieme e si finisce per perdersi in una infinita battaglia filosofica fatta da fuffa e controfuffa.

In realtà , a mio modesto avviso , questo disco è puro hard rock a 360 gradi che non disdegna affatto gettare un’ occhiata curiosa su arrangiamenti tastieristici al limite del progressive e ritmiche tambureggianti al limite del metal, il tutto legato da una irresistibile vena melodica raffinata e di buon gusto.

Prophet, ma chi sono costoro? Fondati nel New Jersey nei primi anni 80 nella prima formazione stabile (Dean Fasano – lead and backing vocals ,Ken Dubman – guitars ,Joe Zujkowski – keyboards ,Scott Metaxas – bass, backing and lead vocals, acoustic guitar,Ted Poley – drums, backing and lead vocals) dettero alla luce nel 1985 all’omonimo debutto un notevole disco di cristallina melodia hard/Aor, successivamente dopo l’uscita di Fasano e Poley e l’ingresso alla batteria di Michael Sterlacci e Russell Arcara come cantante, riuscirono ad accaparrarsi un contratto con la Megaforce/Atlantic( altro mistero del music biz. visto che la Megaforce si occupava principalmente di Thrash) , che comunque li scaricò dopo Cycle of the moon ; successivamente uscì un altro discreto disco intitolato Recycled datato 1991.

Veniamo alle canzoni che compongono questo eclettico gioiello. La title track si muove intorno ad un sincopato giro di basso certamente non usuale in ambito melodico e sicuramente si resta spiazzati quando si passa alla successiva Can’t hide love, pregevole mid tempo dallo scintillante ritornello catchy e dalle ripetute punteggiature tastieristiche, alternanze e tempi dispari, cori filtrati, assoli taglienti ed intermezzi di matrice rush tutto mixato insieme. On the run invece è un pezzo che semplicemente non si può etichettare , ma solo adorare. Sound of a Breaking heart è una power ballad deliziosa e sognante a cui segue un class metal quasi dokkeniano con inserti di tastiere molto seventies intotalato Asylum.  Poi fermi tutti e giù il cappello davanti a Tomorrow Never Comes, un lento struggente che gira su un magistrale arpeggio semi acustico contrappuntata da archi e tastiere, con tanto di coretto ‘rubato’ ai Kansas, che personalmente entra nelle 50 più belle canzoni del genere in assoluto. Frontline è una canzone notturna ed urbana, molto eighties, con la sua nervosa ed ammiccante elettricità . Registro più heavy e ritornello che scuoterebbe anche i cadaveri, caratterizzano invece Hands of time, seguito poi da un pezzo che non ti aspetti e che secondo me ha ingannato parecchi all’epoca ovvero Hyperspace, quasi tre minuti di strumentale sperimentale di concezione progressiva che mostra la tecnica sopraffina dei nostri eroi che vanno  a concludere con Red Line Rider, martellante hard rock con chitarre al vetriolo.

Insomma si potrebbero scrivere parole a fiumi , ma il rischio di non rendere l’idea di cosa sia in realtà questo disco è concreto , c’è stato  un’altro disco che mi fece questo effetto, anche se le affinità di genere sono solo marginali , ed è When day and dream unite,  ovvero l’esordio dei Dream Theater , ci ho intravisto lo stesso genio e voglia di far saltare gli schemi che però  non hanno portato la stessa fortuna ai Prophet.

Viste anche le ristampe uscite successivamente alcune anche con bonus track , se non lo conoscete ascoltatelo e lo adorerete, se invece lo conoscete già è un’ottima occasione per metterlo sul piatto o nel cd e rinfrescare nuovamente il ricordo di un disco geniale.

Kiss Of The Gypsy
Kiss Of The Gypsy

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Kiss Of The Gypsy – Kiss Of The Gypsy – Gemma sepolta

20 Gennaio 2021 6 Commenti Samuele Mannini

genere: Hard rock
anno: 1992
etichetta:
ristampe:

Ecco, questo disco potrebbe essere il perfetto prototipo della gemma sepolta, quasi una sua definizione enciclopedica, disco bellissimo (almeno per il sottoscritto) , periodo di uscita pessimo , nel 1992 anche i topi stavano abbandonando la nave hard rock che affondava, e dulcis in fundo una band inglese che voleva fare l’americana…. e tra le cose che agli yankees da fastidio beh…. diciamo che questa è una delle prime. Aggiungiamoci pure  l’inesistente supporto della casa discografica ad un progetto nel quale oramai il mercato mainstream non credeva più ed abbiamo il perfetto caso di cronaca di una morte annunciata.

Del quintetto del Lancashire l’elemento più famoso e probabilmente l’unico ancora attivo in ambito rock melodico è senza dubbio il cantante chitarrista Tony Mitchell , che tra l’altro è uscito con un disco nel 2020 che troverete nelle recensioni.

Quello che il gruppo proponeva è un hard rock di stampo blues, che più che rifarsi alla matrice di marca zeppeliniana della madre patria, va a pescare a piene mani nelle sonorità  più prettamente USA  andando anche, almeno a tratti , a sfociare sul versante southern , miscelando il tutto però con il buon gusto e la compostezza tipicamente British.

Dieci canzoni di ottima fattura intrise di feeling quali la ritmata opener Whatever It Takes e la seguente Blind For Love. Spumeggiante hard blues è Easy Does It, dal ritornello catchy e dal ritmo ballabile , passionale è invece la ballad Take This Old Heart veramente molto coinvolgente. Segue poi Infatuation con le caratteristiche tipiche del singolo che qualche anno prima avrebbe avuto tutte le caratteristiche per sfondare, grazie alla facile struttura e cori azzeccatissimi tanto di moda al tempo. From The Dirt è sempre Usa blues con andatura boogie che a tratti mi ricorda certi passaggi dei Georgia Satellite, così come la seguente tagliente ed efficace Keep Your Distance. Adorabile per la sua atmosfera polverosa e struggente è No Prize For The Loser, con tanto di coretti soul ,una vera chicca. Sì torna a scuotere le natiche con Comin’ Back, efficace mid tempo che ricorda un po’ i Cinderella più blues per chiudere poi con l’emozionante Promised Land, più di 7 minuti di viaggio sulle higway e per le mie orecchie è  una  vera goduria.

USA blues made in England…. chi lo avrebbe mai detto?…. Insomma qui non si inventa nulla , ma c’è talmente tanto buon gusto e passione che mi sento caldamente di consigliare la riscoperta di questo disco agli amanti del genere, perché nel marasma di quegli anni caotici potrebbe essere sfuggito.

Cinderella
Long Cold Winter

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Cinderella – Long Cold Winter – Classico

15 Gennaio 2021 7 Commenti Samuele Mannini

genere: Hard rock
anno: 1988
etichetta:
ristampe:

Mi rendo benissimo conto che parlare di questo disco potrebbe risultare superfluo, vista la fama e la diffusione che ha avuto, ma in una rubrica dei classici , direi che è un obbligo morale.

La mia storia con questo disco comincia un annetto dopo la sua uscita, ovvero fine giugno 1989, scuole finite, stereo nuovo appena regalato e via in giro per il mondo ad acquistare dischi. Questo appunto fu il mio quarto vinile acquistato, ed il ricordo dello scartabellare tra gli scaffali di un universo quasi del tutto inesplorato , è ancora vivido ed emozionale. Il fascino di rigirare in mano le copertine, guardare e riguardare ed infine le corse a casa per svelare il tesoro appena comprato, sensazioni che oggi giorno sono sconosciute ai giovani fruitori digitali, e francamente, mi dispiace per loro.

Cinderella uno dei pochi gruppi glam ( almeno il primo disco in parte lo è ) che anche i thrasher incalliti evitavano di denigrare, un gruppo che ha saputo evolversi e con soli quattro dischi ha segnato un’ era, anche grazie alla partecipazione al Moscow Music Peace Festival, spettacolo che apri la cortina di ferro alla musica rock alla fine dell’epoca sovietica, e che li ha fatti conoscere a tutto il mondo.

Long Cold Winter, il disco perfetto di passaggio tra l’hard rock con richiami glamour dell’ esordio e il blues sempre più presente e viscerale che ne marcherà il prosieguo della carriera, un disco che già dalla copertina , che più semplice non si può, già ti attira ( beh l’abbinamento di viola e bianco su un fiorentino hanno sempre un certo appeal  ) .
Una partenza hard blues che ti fa drizzare i peletti sulle braccia con l’intro Bad Seamstess Blues che lancia la graffiante Fallin’ Apart at the seems, seguita dalla catchy gypsy Road e da una delle 10 ballad più strafiche ever, ovvero Don’t know What you Got ( Till It’s Gone). Si scorre così tra energia, melodia e affondi blues un po’ per tutta la durata dell’opera, il tutto sempre trainato dalla voce quasi unica del buon Tom Keifer , sempre pronto a trascinarci ora , con le energiche If you Don’t Like It , Second Wind ,Fire & Ice e Take Me Back, poi a sedurci con le melodie di The Last Mile , le delizie acustiche di Coming Home ed il monumentale e passionale lento blues di Long Cold Winter. Tutto rasenta la perfezione in questo disco, sia le canzoni dove partecipano strumentisti di livello assoluto ( curiosità: le parti di batteria sul disco sono incise da Danny Carmassi e Cozy Powell , sembra a causa della scarsa affidabilità in studio di Fred Coury), sia la produzione, affidata a veri giganti dell’epoca quali, la coppia Thompson & Barbiero ed Andy Johns.

Insomma un disco che ha fatto epoca ed è obbligatorio possedere per chiunque voglia fregiarsi del titolo di appassionato di rock e che a distanza di 33 anni brilla ancora vivido nel firmamento delle nostre collezioni.

Steve Stevens
Atomic Playboys

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Steve Stevens – Atomic Playboys – Gemma Sepolta

07 Gennaio 2021 11 Commenti Samuele Mannini

genere: Hard Rock
anno: 1989
etichetta: Rock Candy 2013
ristampe: Rock Candy 2013

Steve Stevens gran personaggio,un vero animale da palco che  ho avuto la fortuna di ammirare nel 2015 con Billy Idol .  Noto ai più grazie alla sua collaborazione con miriadi di artisti rock , nonchè autore dell’ anthem del film Top Gun, ha sfornato anche tre dischi solisti di cui questo è il primo e direi il più attinente all’ambiente hard rock melodico.

In questo disco lo vediamo affiancato dal talentuoso singer Perry McCarty(ex Warrior) ritornato sulle scene nel 2017 con i Radiation’s Romeo (nome tratto proprio dalla canzone Atomic Playboys) su Frontiers.

Questo è stato un disco talmente eclettico da essere concettualmente avanti anni rispetto alle uscite medie del 1989, si notano infatti innesti di effetti elettronici , ritmiche funkeggianti (portate poi alla gloria dai Bang Tango e non solo), chitarra al fulmicotone tutto al servizio di melodie assassine e tremendamente easy listening, ovvero una sorta di hard rock sofisticato , ma dall’incommensurabile appeal commerciale…. c’è infatti molto più di quel che appare ad un ascolto distratto.

Esempio lampante di tutto ciò la prima e title track, Atomic Playboys, tirata ritmicamente con quel riff graffiante ,  che ti scatena subito al primo ascolto e ti ricordi per anni.  Seguono la funky oriented Power Of Suggestion (finita nella Colonna sonora di Ace Ventura) ed Action, cover degli Sweet e sono convinto che questa sia una delle migliori versioni mai riproposte. Poi quando meno te lo aspetti, ecco  Desperate Heart, mega ballad struggente  melodica e sofferta. Si rialzano prepotentemente i ritmi con Soul On Ice , fino a giungere con la seguente Crackdown alle tipiche atmosfere Idoliane dove McCarty gioca con classe a fare il Billy della situazione . Pet Hot Kitty è uno street ruffiano e accattivante , mentre Evening Eye è un altro funk d’atmosfera veramente crepuscolare e fuori dall’ordinario. Woman of a 1000 Years è un blusettone catchy dove Stevens si misura anche alla voce, Run Across The Desert  è l’unico strumentale del disco dove il Ns. eroe si misura con atmosfere spagnolegianti  dando libero sfogo a tutto il suo estro. Si chiude tornando in carreggiata con l’hard rock elettrico e catchy di Slipping Into Friction.

Insomma un disco vario ed ispirato che a distanza di 31 anni non annoia e coinvolge ancora restando moderno anche nelle sonorità proposte, e non è cosa da tutti. Impeccabile la produzione di Beau Hill che dona quel piccolo tocco di eleganza  patinata che nei giorni moderni possiamo solo ricordare con meraviglia.

Data anche la ristampa dell’immancabile Rock Candy non dovrebbe essere un problema procurarsi questi Playboy Atomici.

Michael Thompson Band
How Long

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Michael Thompson Band – How Long – Classico

31 Dicembre 2020 8 Commenti Samuele Mannini

genere: Aor
anno: 1989
etichetta: Frontiers 2007
ristampe: Frontiers 2007

Uno due tre…… Capolavoro e potremmo anche chiudere qui la recensione.

D’altra parte era l’anno magico 1989 l’apice aureo del melodic rock e visto i nomi coinvolti non poteva essere altrimenti, tutto il gotha della melodia made in Usa ha partecipato o al songwriting o ha prestato la sua opera come musicista e corista su questo disco.
Lo si potrebbe definire una sorta di manuale di ciò che rappresenta l’AOR una definizione enciclopedica : suadenti melodie, voce passionale , chitarra tecnica ed atmosfere sensuali che pervadono l’opera dalla prima all’ultima nota .
Notevole la prova alla voce di Moon Calhoun in grado di rivaleggiare con tutti i maestri del genere ed è una altra caratteristica che aggiunge valore a questo disco.
Michael Thompson è un vero guru ed ha prestato la sua opera a chiunque spaziando per ogni genere musicale, dotato di tecnica sopraffina e di un feeling non comune, per averne la riprova basta ascoltare i quasi tre minuti di assolo nel finale di Give Love a Chance dove mette mostra tutta la sua maestria.
Nessun Brano di questo disco è fuori posto , a cominciare dall’opener Secret Information ammiccante e suadente, la sognante 1000 Nights, la più intima ed emotivamente coinvolgente Wasteland, un po’ di atmosfera westcoast pervade invece Never Stop Falling e vogliamo non citare la funkeggiante Can’t miss ? Classe allo stato puro. Gloria sarebbe potuta essere una hit Toto style se solo ci avessero puntato con forza, Stranger è invece un rock che ricorda un po’ i Survivor . Via altro giro altra corsa, o altra gemma melodica alias Baby Come Back col suo giro di basso che provoca sculettamento automatico, si chiude con la riflessiva title track piena di piccoli inserti di piano che insieme alla interpretazione di Calhoun sono pura magia.

Pensare che l’ AOR viene a volte definito commerciale e pieno di testi banali mi fa semplicemente piegare in due dalle risate pensando a cosa è contenuto in certi dischi di cui questo è un fulgido esempio. Ci sono canzoni magistrali, interpreti fenomenali , testi profondi il tutto condito da una produzione scintillante che ai giorni nostri possiamo solo sognare.

Un paio di curiosità sulla ristampa del 2007 targata Frontiers:  la versione di Secret
Information è diversa dalla versione originale ( che secondo me è migliore) da me posseduta in vinile , viene quindi da chiedersi se il master usato per la riedizione sia esattamente lo stesso del 1989 , anche se nelle restanti canzoni ad orecchio non ho notato differenze sostanziali se non dovute alla compressione dinamica attuata per aumentare i volumi, male questo comune a tutte le operazioni di remastering moderne. Infine sono presenti tre bonus track di buona fattura anche se non seguono proprio il filone originale dell’opera , ma comunque arricchiscono il piatto e non fanno mai male.

Sicuramente uno dei dischi top AOR di sempre, che se già non avete vi costringerà a frugarvi le tasche per rimediare all’errore.

The Quest
Change

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The Quest – Change – Gemma Sepolta

28 Dicembre 2020 10 Commenti Samuele Mannini

genere: Progressive rock
anno: 1996
etichetta:
ristampe:

La seconda e ultima opera dei britannici The Quest è un disco che come sonorità si muove  in un territorio di derivazione neo prog che lambisce da un lato, certe atmosfere AoReggianti e dall’altro va vicino a quanto proposto dai  primi Dream Theater , quindi  vicino a sonorità più metallizzate che  nel primo e già buon esordio erano sicuramente meno accennate, si nota dunque una certa evoluzione che a mio avviso esalta ancora di più l’opera.

Trovare tracce biografiche su questa band è estremamente difficile ed all’infuori dei due album non ho notizie di altri lavori(anche se esiste una pagina Fb ufficiale dove si vocifera di cose nuove in programma), ed è un grande peccato, perché siamo al cospetto di qualità sopraffina.
Guidati questa volta dal dotatissimo singer Steve Murray , che a me in alcuni tratti ricorda in maniera impressionante il Dennis de Young Styx era, i nostri si muovono sapientemente tra atmosfere tastieristiche alla Keith Emerson con riff chitarristici e stacchi di batteria che rimandano ai Dream di Images and Words… Ascoltare Do you Believe per esempio ti dà quella sensazione di genio e melodia allo stesso tempo, mentre la iniziale Change paga forse dazio alle atmosfere del supergruppo Three di Emerson . La successiva Inner Room è un esempio meraviglioso di intimismo progressive che si libera in tutta la sua emotività in un solo di chitarra che trasuda passione. Turn  Away è dolce e suadente ,To Breath e Afterlife II con il suo magico sax, fungono da introduzione a Stand , inquieta e progressiva a tratti dura con cambi di ritmo repentini una delizia prog. cui segue un’ altro intermezzo, Afterlife I dove la voce di Murray quasi a cappella ci mostra la sua classe e il suo timbro vocale passionale.  Do You Believe è un altro tripudio di ecletticità con le chitarre affilate ben in evidenza nei quasi nove minuti di trip melodic, epic, progressive, Beyond The Brave è invece più intima , ma anch’essa in linea con la tradizione neo prog, chiude il minuto di Epitaph che serve a chiudere il concept dell’album che vi invito caldamente a scoprire.

Mi rendo perfettamente conto che non è un disco facile da descrivere a parole e anche io, leggendo quello che ho scritto , capisco che probabilmente non sono riuscito a rendere perfettamente l’idea , quindi cercherò di usare una immagine: se in un giorno di pioggia vi sentite l’anima in subbuglio per qualsiasi motivo, premete play sul CD guardate la pioggia dalla finestra e capirete di più su voi stessi.

Insomma bando alle ciance indipendentemente dai vari riferimenti musicali , se per caso non li aveste mai ascoltati i 10 pezzi di Change  potrebbero veramente cambiare i vostri punti di vista.

P.s. essendo il disco difficile da trovare ho messo il link all’intero album che è presente su YouTube, per dare la possibilità a tutti di poter capire meglio ed eventualmente avventurarsi nella ricerca del formato fisico.

The Law
The Law

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The Law – The Law – Gemma Sepolta

21 Dicembre 2020 5 Commenti Samuele Mannini

genere: Aor
anno: 1991
etichetta:
ristampe:

Probabilmente questo recupero farà discutere, già ai tempi della sua uscita il disco non scaldò tanto i cuori degli appassionati di Mr.Rodgers che, se dobbiamo dire la verità, già mugugnavano dopo i due album dei The Firm con Jimmy Page , ma a quei tempi l’abbondanza era tanta che era facile fare gli snob, uscisse oggi a quasi 30 anni di distanza ci strapperemmo le vesti ringraziando gli Dei.

Per quanto riguarda il sottoscritto questo è un classico esempio di quanto un disco possa
risultare gradevole e spensierato pur senza nessuna pretesa di essere un capolavoro e di
quanto ciclicamente finisca come per magia sul piatto o nel lettore CD (si perché siccome mi piace poco ce l’ho in doppia versione).

Progetto nato dopo la fine dei già menzionati The Firm , oltre a Rodgers sono coinvolti in fase di incisione il batterista Kenney Jones ( ex Small Faces e The Who) più vari session man e ospiti personalizzati per ogni Song tra i quali Bryan Adams , Dave Gilmour e Chris Rea.
Per quanto riguarda il songwriting tre pezzi sono firmati Rodgers mentre negli altri otto figurano Mark Mangold , Phil Collen , Bryan Adams, Jim Vallance, Chris Rea…. più qualcuno che sicuramente mi son dimenticato.
Ora, pensare che una pletora di semi divinità del genere possa avere dato vita ad un disco brutto è un concetto che la mia mente non considera e per quanto mi riguarda,  già l’opener For a Little Ride spazza via i timori con il suo incedere RnR e quel testo pieno di doppi sensi di whitesnakiana memoria.
Altri pezzi più che degni sono il raffinato lento AoR oriented Miss You in a Heartbeat, la
Bluesegiante Stone Cold ed l’ ibrido Toto/Journey di Come Save Me (Julianne) mentre in Layng Down The Law si sentono i lontani echi di foggia Bad Company.
Nature of the Beast è un altro rockettone danzereccio, mentre Stone è un lento bluesy con venature soul, molto emozionale ed etereo, dove la voce suadente Rodgers risalta sui delicati tocchi di chitarra di Chris Rea.

Ho sempre considerato questo, un disco da ascoltare in viaggio, dove a finestrini aperti e capelli al vento ci si può immaginare di guidare su una solitaria highway USA e sarà forse per questo che a tanti anni di distanza riesce ancora a coinvolgermi nella sua semplicità.

Piccola curiosità per i fanatici delle note tecniche, questo è uno dei rarissimi casi (almeno per quei tempi ) anche per quanto riguarda l’incisione Vinilica, di registrazione Digitale masterizzatore digitale , ma con Mixaggio analogico se vi ricordate le sigle sui primi CD …. questo sarebbe un DAD quasi un unicum e non so se è per questo che anche in vinile abbia ancora una impronta così moderna e suoni ad un volume veramente notevole per il supporto.