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Classici

Outside Edge
Running Hot

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Outside Edge – Running Hot – Gemme Sepolta

31 Gennaio 2017 5 Commenti Leonardo "Lovechaser" Mezzetti

genere: AOR
anno: 1986
etichetta: 2000 versione CD, 2013 - Aor Heaven Classix
ristampe: 2000 versione CD, 2013 - Aor Heaven Classix

Il passato dell’ AOR nasconde perle inesplorate, solo sfiorate, ingiustamente passate sotto silenzio. Il tempo passa con cadenza inesorabile, e la polvere si accumula su alcuni capolavori, che avrebbero invece meritato fama e gloria.
Questa mi è sempre parsa una grande ingiustizia. La mia idea di riscoprire gemme dell’AOR rimaste quasi sconosciute, che ringrazio Denis (direttore di MelodicRock.it) di aver condiviso, nasce proprio da qui: un atto di giustizia.
Mi piace l’idea di iniziare la mia collaborazione con melodicrock.it parlandovi degli Outside Edge.
Il sound di questo gruppo, intriso della più profonda delle anime Eighties, mi è entrato dentro fin dal primo ascolto, ormai più di dieci anni fa, senza andarsene più. Non ho più trovato sonorità simili, se non qua e là, sporadicamente, in particolare, forse, negli White Sister del 1984, e per quanto riguardo lo spettacolo tastieristico, nei Giuffria.
Gli Outside Edge venivano dal Regno Unito e nascevano dalla mente dei gemelli Tom e David Farmer.
Si trattava di AOR, su questo non ci sono dubbi, ma un AOR che dovrei definire “unico”, e uso questa parola non a caso.
Profondamente diverso e molto più d’impatto rispetto all’Hi Tech del tempo, carico di dirompenti scie di tastiere, gli Outside Edge avevano creato un sound dall’atmosfera magica e spaziale, quasi futuristica. Quasi si potrebbe definirlo “space AOR”.
Nel 1986 gli Outside Edge uscirono con Running Hot, che era in realtà il loro secondo lavoro. Il primo omonimo, datato 1984 e dal sound ancora immaturo, era uscito solo in Francia, e distribuito in pochissime copie.
Nel 1987 uscirono con un nuovo disco, dal titolo More Edge, che per problemi contrattuali non vide mai la luce, se non nel 2000 grazie ad una lungimirante reissue. Esiste poi un quarto e ultimo lavoro della band, datato 1990, dal titolo Call me, mai pubblicato su CD. Sia More edge che Call me sono lavori spettacolari ma è giusto considerare Running Hot il lavoro più rappresentativo, e in assoluto il migliore.
Un disco come Running Hot uscito nell’anno del Signore 1986, in piena Golden Era per l’AOR, era nato per sfondare. Eppure Running Hot passò quasi inosservato. Un pazzesco, bellissimo mistero.

L’album è aperto da Heartbeat Away, un mid-tempo tra i più maestosi che io abbia mai ascoltato.
Poi parte Wait, un altro monumentale mid-tempo, spettacolare il bridge che precede il chorus struggente ai massimi livelli. Fu il primo pezzo degli Outside Edge a stamparsi nella mia testa.
Louella offre un’atmosfera un po’ più scanzonata, ancora un altro travolgente bridge, e un solo di sax da pelle d’oca.
Don’t be a Hero esprime il lato duro della band, ed è la sontuosità fatta a canzone, maestosa e futuristica. Sarebbe stata una perfetta colonna sonora per il film Terminator uscito solo due anni prima.
Running Hot è il pezzo più rappresentativo dell’album, e forse di tutto il repertorio degli Outside Edge. Ascoltare Running Hot è come salire su una navicella spaziale, perdersi tra le galassie, tuffarsi in buchi neri e tornare poi a casa carichi come molle!
Don’t leave me tonight è a mio avviso il pezzo più classicamente aor dell’intero album. Un altro mid-tempo con un chorus travolgente, che se fosse comparso in Hysteria dei Def Leppard sarebbe diventato un loro must.
You è la prima ballata dell’album. Grande atmosfera.
Heartbreaker aumenta lentamente il rirmo, esplodendo in un chorus epico.
Hold on è la seconda ballata, altro pezzo di profonda suggestione futuristica.

IN CONCLUSIONE

Potremmo descrivere lo “space AOR” degli Outside Edge come una tempesta di futuristiche melodie, trasportate da un tappeto di fruscianti e roboanti tastiere.
Credo che liberare Running Hot dalla polvere dei decenni, e assurgerlo a nuova vita sia un atto di giustizia per ogni amante dell’AOR.
Basta farsi trasportare dalle ali di queste tastiere, salire sulla navicella spaziale, e correre tra le galassie insieme a loro!

Soleil Moon
Worlds Apart

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Soleil Moon – Worlds Apart – gemme sepolte

21 Giugno 2015 8 Commenti Iacopo Mezzano

genere: Soft AOR / Westcoast
anno: 2000
etichetta:
ristampe:

La storia dei Soleil Moon ha il suoi albori con il primo incontro tra le differenti carriere da turnisti del cantante Larry King e del tastierista John Blasucci, il primo figlio devoto del rock, il secondo del jazz. L’intreccio di questi differenti bagagli stilistici portò nel 1994 alla nascita di un progetto unico nel suo genere, che nell’anno 2000 pubblicò il suo album d’esordio Worlds Apart, molto probabilmente uno dei migliori esempi di perfezione melodica nel campo della musica West Coast AOR / Adult Contemporary.

Ricco di contribuiti esterni di turnisti d’eccellenza quali il celeberrimo chitarrista Michael Thompson, oltre a Kenny Aronoff, Warren Hill, Lenny Castro e la London Symphony Orchestra, il disco fece dei suoi arrangiamenti, del suo songwriting soffice e vellutato, della sua esecuzione, della sua produzione delicata ma bombastica (e stupendamente nitida e definita), oltre che della sua incredibile varietà stilistica (soft AOR, westcoast, pop, smooth jazz sono soltanto alcune delle influenze che permeano queste melodie), un esempio d’eccellenza ad oggi ancora inimitabile. Tanto che non esito in alcun modo a defire Worlds Apart un puro e unico capolavoro assoluto della musica moderna, inimitabile per intensità emotiva, feeling, vocalità, cura del dettaglio, etc, etc.

continua

John Parr
Man with a vision

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John Parr – Man With A Vision – Gemma Sepolta

10 Maggio 2015 18 Commenti Matteo Alidori

genere: Aor
anno: 1992
etichetta:
ristampe:

Dopo l’acclamato omonimo JOHN PARR (1984) protagonista di due singoloni ( NAUGHTY NAUGHTY e ST. ELMO’S FIRE presente solo nella versione per il mercato UK) e il successivo RUNNING THE ENDLESS MILE (1986).
L’artista, inglese di nascita e americano di adozione, sforna un ottimo album che verrà considerato dagli addetti ai lavori come uno dei migliori dei primi anni 90 in ambito AOR. Trattasi di MAN WITH A VISION.

Una certa qualità di composizione, infarcita di classe, fanno di MAN WITH A VISION un album generoso di melodia come dimostrano l’ottima RESTLESS HEART (singolo dell’album nonché brano inserito nella colonna sonora del film “L’implacabile” con A.Schwarzenegger) e IT’S STARTING ALL OVER AGAIN, dal forte appeal radiofonico.
La forza del disco deriva da una miscela di esecuzioni cangianti, ascoltatevi COME OUT FIGHTIN, perfetto sinergisismo di melodie intrecciate da voci fuoricampo, sax e background vocals.
Anche la successiva EVERYTIME non delude l’ascoltatore : qui le tastiere prendono il sopravvento su tutto, fino ad esplodere in un ritornello da cantare e ricantare. GHOST DRIVER rappresenta una delle migliori songs dell’album, ottima resa vocale di John Parr, brano che a mio avviso rimanda a territori esplorati da un certo Mr Wharthon. Stupendo.
Anche nella parte finale l’album non presenta cali ; anzi vede partorire episodi decisamente sopra la media, vedi la ballatona THIS TIME e DIRTY LOVIN in perfetto Foreigner style.

IN CONCLUSIONE

Senza dubbio un ottimo disco per chi è alla ricerca di quelle sonorità tipiche della seconda metà degli anni 80 e anni 90. Armatevi di pazienza, purtroppo non è di facile reperibilità.

CURIOSITA’

John Parr partecipa a numerosi Tour di gruppi e artisti famosi (Journey, Toto, Richard Marx). Suoi brani sono inclusi in diverse colonne sonore di film anni 80-90.
Scrive anche per i TYGERS OF PAN TAG. Collabora con Meat Loaf nell’album BAD ATTITUDE.

 

 

Damn Yankees
Damn Yankees

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Damn Yankees – Damn Yankees – Classico

16 Marzo 2015 8 Commenti Nico D'andrea

genere: Hard Rock
anno: 1990
etichetta: 2014 - Rock Candy
ristampe: 2014 - Rock Candy

L’attuale clamore suscitato dall’unione di tre autorità come Jack Blades, Deen Castronovo e Doug Aldritch sotto l’affascinante nome di Revolution Saints, ci offre l’occasione per celebrare un grande classico della scena hard rock statunitense: L’omonimo fragoroso debutto dei Damn Yankees, All star band fondata proprio da Blades (Night Ranger), Tommy Shaw (Styx) ed il selvaggio “Motor City Madman” Ted Nugent. Come per i Revolution Saints ad incuriosire è la bizzarra combinazione tra entità di così diversa natura. Signori dall’inprinting melodico sopraffino che incrociano vagabondi ed impetuosi “riffeurs”.

Il raffinato fraseggio dell’opener Coming of Age ci ripresenta un Ted Nugent nell’insolita veste simil-AOR già esibita nell’album solista “Penetrator” (1984, Brian Howe alla voce) prima di esplodere in un irresistibile chorus che toglie il fiato. Nemmeno il tempo per riprenderci ed il riff incendiario di Bad Reputation ci mette al tappeto. “I got a bad bad reputation oh yeah” che refrain signori !
D’alta scuola i cori di Blades e Shaw in Runaway. Difficile trovare altrove una simile simbiosi tra le voci ed il successivo hit single High Enough ne è la conferma.
Armonie vocali in stratosfera per una ballata da antologia. Emozionante l’intro acustica di Come Again con Blades e Shaw ancora sugli scudi ed un crescendo elettrico che accellera nello straripante solo finale di Nugent. Il disco non perde d’intensità nemmeno negli episodi più vicini al tradizionale sound del guitar hero di Detroit. Dalla slide del robusto blues semi acustico di Mystified al dirompente inno Rock City. Tell Me How You want It riporta in alta quota la cifra melodica di un’album dal songwriting semplicemente stellare.

IN CONCLUSIONE

Il Songwriting e l’eccezionale livello esecutivo delle parti vocali sono indubbiamente i tratti distintivi di questa leggendaria testimonianza di genuino Hard Rock made in USA.
Per i più attempati di noi un rigenerante tuffo nel passato. Per i più giovani l’occasione per scoprire un pezzo di storia al tramonto di un’epoca che non tornerà più.

Talisman
Talisman

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Talisman – Talisman – Classico

12 Febbraio 2015 15 Commenti Nico D'andrea

genere: AOR, Melodic Hard Rock
anno: 1990
etichetta: 2012 - Sun Hill Production
ristampe: 2012 - Sun Hill Production

Una storia che ha quasi dell’incredibile quella della nascita dei Talisman e del loro primo album omonimo, il figlio che John Norum avrebbe potuto crescere ma che irresponsabilmente respinse.
E’ il 1989 quando il bassista Marcel Jacob (Ex Yngwee Malmsteen Rising Force , già nella band di Norum e coautore di gran parte delle songs del suo esplosivo debutto solista “Total Control” ) presenta all’ex Europe un demo con alcuni brani potenzialmente parte di un loro secondo atteso lavoro. Norum, nonostante l’elevato livello delle composizioni, rifiuta la proposta e licenzia il talentoso bassista.
Jacob non può nemmeno più contare sull’appoggio del vocalist Goran Edman che rimane infatti fedele a Norum.
Convinto della qualità del materiale composto contatta il vocalist Jeff Scott Soto (già con lui nei Rising Force) e con l’aiuto delle affilate asce di Christopher Ståhl (Power) e Mats Lindfors (Norum, Grand Slam) incide il suo primo disco a monicker TALISMAN.
Completato con nuovi pezzi scritti a quattro mani con Soto, Talisman si rivela un’album eccelso, nella miglior tradizione dell’Hard Rock melodico scandinavo.

L’epica cavalcata dell’opener Break The Chains sembra ricondurre all’embrione melodic metal concepito anni prima nei Rising Force ma l’avvolgente passo di Standing On Fire ed i super cori di I’ll Be Waiting (vera e propria chart stormer in Svezia) plasmano da subito la vera matrice sonora del combo svedese.
Un guitar-oriented AOR sui passi dei pluri platinati Europe.
Il sound dei Talisman non è in realtà levigato come quello dei loro più fortunati connazionali ma poggia sulle solide base create da una formazione tecnicamente ineccepibile.
La potente voce di Soto si destreggia con decisione nell’impetuoso amalgama di irresistibili melodie,sferzanti riffs ed il preciso battito della sezione ritmica pilotata dall’incalzante basso di Jacob. Una citazione a parte meritano Christopher Ståhl e Mats Lindfors i cui scintillanti assoli diventano ben presto i momenti più attesi di ogni singolo pezzo. Quale scelta migliore per non far rimpiangere il grande John Norum?

IN CONCLUSIONE

L’assenza di una mega ballad da affiancare alla comunque ottima Just Between Us impedisce forse a questo eccellente lavoro di raggiungere il massimo dei voti, ma Talisman rimane un classico che non può mancare nella discoteca di ogni cultore dell’Hard Rock Melodico made in Europe (e non solo).
Per gli amanti dei “veri” Europe e del primo John Norum un must assoluto.

Dare
Beneath The Shining Water

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Dare – Beneath The Shining Water – Gemma Sepolta

27 Gennaio 2015 9 Commenti Iacopo Mezzano

genere: AOR / Melodic Rock
anno: 2004
etichetta:
ristampe:

« Sono state alcune immagini molto forti a delineare la personalità di questo album. Da un mondo pieno di problemi e conflitti non poteva che nascere un disco dai toni pessimistici, ma con tra le righe un messaggio di speranza. » – Darren Wharton, 2005

Due anni dopo la conclusione del fruttifero tour a supporto dell’album Belief (2001), che vantò anche alcune date suonate a supporto degli Asia, i Dare tornarono in studio (con la consueta calma e attenzione maniacale al dettaglio sonoro) per pubblicare, nel giugno del 2004, il loro nuovo album, intitolato Beneath the Shining Water.

Con un nuovo batterista in formazione (Gavin Mart, sostituto ufficiale di Julien Gardner), il disco non si distaccò, quantomeno concettualmente, dal precedente capitolo, vedendo però scemare definitivamente quelle sfumature celtiche che avevano reso caratteristico, e ben più solare, il sound di Belief. Uno stile, quello di questo nuovo platter, privo di un ampio uso di chitarre elettriche, e che mostra una netta predominanza di tonalità oscure e cupe, talvolta quasi sommesse, che appaiono in netto contrasto con il mood positivo tipico della formazione, che mantiene la sua identità soltanto nelle aperture melodiche e ariose dei ritornelli, ricche di luce e di speranza, che rimangono di fatto il vero punto di unione tra recente e passato. Per una serie di canzoni lente, drammatiche, romantiche, soffuse, sempre altamente emozionali, quasi mai esplosive o determinate, ma composte soavi e poetiche per arrivare dritte al cuore di chi le ascolta.

Forse proprio in virtù di queste caratteristiche atipiche per le sonorità dei Dare, unite, come vedremo tra poco nell’analisi dei brani, anche alla più accentuata semplicità delle strutture compositive, Beneath The Shining Water è citato dai più come un mezzo passo falso della discografia della band di Oldham. Una visione riduttiva, questa, che non tiene conto di come sia qui la potenza dei testi a fare da vero motore di un’opera ricca di sfumature preziose come diamanti, e di messaggi di forza degni, già da soli, della palma di classico (o capolavoro) di un gruppo da sempre capace di mettersi in gioco, con coraggio ed onestà artistica, pubblicazione dopo pubblicazione.

A fare da opener al disco sono gli echi lontani di Sea of Roses, primo singolo di questa pubblicazione, e vera perla della discografia più soft dei Dare, con il suo sound morbido, ma bombastico, che spinge verso un ritornello catchy, e avvolgente come un caldo manto in una notte d’inverno. Ricordi e desideri si muovono in un vortice senza tempo, con la forza dell’amore (sei rimasta con me sotto il fuoco nel cielo / e abbiamo guardato l’alba assieme / resterò con te se anche ci volesse un mare di rose, recita il ritornello) a guidare la potenza di un componimento di per se semplice (lo schema è strofa-ritornello-strofa), ma incredibilmente efficace.

Secondo brano dell’opera è Days Gone By, una canzone già più ricercata della precedente, e capace di ricordare in qualche modo alcuni episodi di Calm Before the Storm, senza tuttavia rivelare mai toni progressivi. Lo stacco netto tra l’incipit e la prima strofa, e, ancora tra strofa e ritornello, porta a una bella alternanza tra momenti più leggeri, e altri più energici, nei quali fanno finalmente capolino gli echi della chitarra di Andrew Moore, che vince la sfida con l’acustica sempre in primo piano di Richard Dews grazie a una serie di assoli davvero notevoli. Il testo, stupendamente cantato da un Darren Wharton sempre sugli scudi, è da antologia, in un viaggio nel tempo sulle ali dei ricordi, che spinge verso la giovinezza perduta e le delusioni d’amore, nel nostro cuore, mai più superate. Lei lasciò la città alla fine dell’estate / correndo veloce con il vento del deserto / chiuse i suoi occhi sotto un milione di stelle / ed era finita, canta la seconda strofa di una canzone struggente, che chiude con la nostalgia della frase, ripetuta: tu non mi hai mai lasciato..

Un balzo, ed eccoci nuovamente in cammino sulle verdi colline che fanno da frequente scenario delle canzoni dei Dare. Silent Hills, colline silenziose, è la terza ballad/mid-tempo intensa ed emozionante del disco, e il primo (e unico) pezzo a creare un leggero collegamento con il precedente Belief grazie agli arrangiamenti di sottofondo, che rimandano alla tradizione celtica inglese. Qui l’amore e il ricordo felice sono visti come cura, oggi come allora, di fronte ai più dolorosi e oscuri attimi della vita: e quando quei cieli oscuri mi circondavano / e perdevo la strada verso quelli che amavo / così tante volte amore mio mi hai portato / in cima alla tua montagna, mentre le acque salivano. Le colline verdi, sulle quali danzare mano nella mano con la amata di fronte alla sera che avanza (che porta con se il buio e le paure), diventano l’isola felice della nostra rettitudine, e l’unico appiglio solido per non impazzire di fronte a un mondo non più a misura d’uomo. Per una canzone non così eclatante musicalmente, ma con un messaggio forte per i nostri cuori.

Il vero capolavoro dell’album, eccola qua, è la title track Beneath The Shining Water. Una composizione ancora non ricercata a livello compositivo, ma di una intensità emotiva fuori dal comune, grazie a melodie ampie e cristalline, profonde e cariche di potenza, che sul finale esplodono e aprono nuovamente al mood immortale di Calm Before the Storm, e alle sue immense chitarre. La magia, la crea ancora una volta il testo e la voce di Wharton, che (come in un concept album) prosegue quanto lasciato in sospeso dalla precedente canzone, arrivando direttamente al superamento della notte e all’arrivo del mattino, con le speranze e le energie rinnovate che espodono in rabbia di fronte alla apparente impossibilità di raggiungere il tanto agongnato sogno di felicità. Nel mio cuore mi domando / se ciò durerà un centinaio di anni / nella speranza che tu possa essere mia per un giorno /  potremmo allontanarci sotto le acque lucenti , è la frase che muove l’intera canzone, e che cambia dal secondo refrain in poi indirizzando la fuga sulle acque verso gli oceani nel mio cuore. Inutile aggiungere altro, testo e melodie parlano da se.

Un monumento alla forza dell’amicizia è The Battles That You’ve Won, quinto brano del disco e forse la traccia più intima e personale tra quelle composte da Darren Wharton. Il testo ci dice che, di fronte ad ogni difficoltà, di fronte ad ogni cedimento e ad ogni crollo di morale e di forze, non c’è solo l’amore a fare da motore per la ripresa, ma che anche la vicinanza di un amico sincero può far diradare ogni nube carica di pioggia di fronte a noi, riportando il sereno. Con un ritmo in continuo divenire, dritto a crescere, vicino al pop ma carico di grinta rock, il pezzo esplode mano a mano di energia, colpendo secco il petto dell’ascoltatore con il crescendo della sua intensità, e l’aumentare dell’adrenalina. Finita la lotta, la discussione, il litigio, forse anche la separazione, tra due persone cosa resta, ci dice Wharton, se non campi di battaglia silenziosi / colpiti dalle parole che non ci siamo mai detti ? E’ li, in quell’istante di calma distruttiva, che arriva l’amico (nel testo, a nome Daniel, ndr): ma quando cado / tu mi aiuti a rialzarmi / come un leone con la criniera / tu eri Daniel e mio amico. Ecco la rivelazione: vidi una lacrime cadere / da qualche parte nel mezzo di queste cose che ho detto? / e ti strinsi tra le mie braccia / non posso affontare questo giorno da solo / non posso costruire questo ponte senza te / tu sei la sabbia e io la roccia. Anche qui, zero spazio all’immaginazione: tutto è perfettamente esplicitato da un altro testo da lode di un album, fino a qui, in continuo crescendo di emozioni.

Dopo qualche canzone (leggermente) più sostenuta, è il turno di una vera e propria slow-tempo con una Allowed to Fall leggera, pop, densa di battiti, totalmente priva di chitarra elettrica. Interpreto personalmente questo brano come una iniziale esortazione di un padre verso un giovane figlio, che muove ricordi e di conseguenza nostalgie. Il genitore, di fronte a un errore del figlio, si ricorda di come, nella sua stessa esperienza di vita (riconobbi me stesso in te / e fui di nuovo giovane), ogni sbaglio giovanile, ogni errore, sia divenuto poi un metodo per imparare, maturare e quindi crescere. Ed esorta quindi il figlio a cadere ancora per rialzarsi, per sognare e riprovarci ancora. E’ un pezzo sussurrato, di una dolcezza infinita nelle melodie e nel testo, basti vedere il ritornello: adesso puoi cadere e puoi sognare / gli errori che farai ti guideranno lungo la tua strada  / e imparerai ad amare, e a vivere la tua vita in libertà / So quello che sta succedendo / ricordo quando queste cose una volta accadevano a me. Da qui, nascono però le riflessioni dell’uomo maturo: se avessi la possibilità di rifare tutto da capo / passerei la mia vita con te, è tutto ciò che posso fare. Scegliete voi come interpretare questa ultima espressione: se come un nuovo accenno ad un amore mai sbocciato, se come una dolce dedica alla compagna di una vita, o come una tenera espressione detta al figlio stesso.

Brano numero sette, I’ll Be The Wind. Altro pezzo melodic rock assolutamente soft, che apre però a un ritornello elettrico e bombastico di grande intensità, con una esplosione di groove caldo non indifferente. E’ un pezzo forse non particolarmente inedito, ma drammatico, che racconta di un ragazzo che legge, fino a consumarla, la commovente lettera di un genitore che ormai non c’è più (forse ucciso da una malattia o, addirittura, suicida). Sarò il vento negli alberi figlio mio – recita il manoscritto – sarò la strada su cui cammini / sarò con te quando me ne sarò andato / e ce la farai. Sicuramente, è la canzone più cupa e drammatica della discografia dei Dare insieme a Silence of Your Head del mai troppo citato Calm Before the Storm, ma ciononostante muove energie positive in ognuna delle parole d’amore scritte nella lettera, e nei suoi insegnamenti: lascia che la strada ti porti dove vorrai andare / e un giorno saprai / che l’orgoglio che arde così lucentemente non muore mai

Alla conclusione di Beneath the Shining Water mancano ormai sole tre canzoni, questo ora più energiche e colme di positività. Non sono forse le più belle del platter, o le più elaborate a livello sentimentale, ma meritano anch’esse di un’attenta analisi per i significati che nascondono. La prima è Where Darkness Ends, un pezzo lucente, arioso, nelle melodie e nel testo, che contrasta nettamente con i precedenti, messo nel punto giusto per farci dimenticare del dolore di I’ll Be The Wind. I suoi quattro minuti e mezzo scivolano via, dopo un iniziale momento di stallo in apertura, veloci e brillanti, ricchi di chitarre e di un bel lavoro alle pelli di Gavin Mart. Anche le liriche sono scritte per infondere gioia e positività. Il peggio è passato: non ho paura di nessuno adesso / mentre scendono le tenebre / ci sono volte che so che cadrò / lungo questa strada oscura e solitaria / ma questo vento di cambiamento mi guiderà a casa / attraverso la notte per ritornare da te. La salvezza è di nuovo lì, tangibile, tra le braccia dell’amata o del migliore amico.

Ancora chitarre, ancora energia, con Storm Wind, un pezzo che in qualche modo anticipa quello che sarà il tratto caratteristico del successivo album Arc of the Dawn (2009). Chitarra acustica e chitarra elettrica duettano alla perfezione, in un brano leggermente meno rapido del precedente, ma comunque abbastanza sostenuto ed esplosivo di buone emozioni. Il testo, eccolo, è scritto di nuovo dal punto di vista del figlio che ripensa alle parole del padre perduto, ed esorta a seguire la fiamma nel proprio cuore, a caccia di sogni:  mi domandai dove mi avrebbe portato questa strada / chiusi gli occhi e pregai di farcela / e tu (dentro di me, ndr) dicesti /  figlio, sta arrivando un vento di tempesta / segui la fiamma nel tuo cuore / e lui disse / figlio là dove soffia il vento di tempesta / segui la fiamma nel tuo cuore

Chiude l’opera Last Train, una canzone melodic rock abbastanza semplice e lineare, priva di particolari sussulti se non di una scossa di energia a partire dal ritornello. E’ una buona catarsi finale, che rilassa e tranquillizza, nelle melodie e nelle parole dell’autore. L’Ultimo Treno è il mezzo, misterioso (nessuno sa quando parte e quando tornerà) per il ritorno a casa, per la pace. Siamo a bordo, quindi ok, sediamoci e aspettiamo..  Presi l’ultimo treno dalla stazione / quando parte non lo sa nessuno / c’è un sorriso nel volto del vecchio qui / nelle sue mani vedo la sua casa / dove le aquile volano sull’acqua (..) Alcuni cercano di dirmi che non è il paradiso / mentre il fumo inizia a diradarsi / un giorno darai luce al cielo con i tuoi diamanti (..) sto tornando a casa con l’ultimo treno

IN CONCLUSIONE

Come definire quindi, in conclusione, Beneath The Shining Water? Beh, forse sì, nonostante il suo stile pop rock e le sue calde melodie, non è questo un disco immediato e di facile assimilazione dopo appena pochi ascolti. E’ però un gigantesco monumento alle capacità poetiche, più che compositive, dei Dare, e fino ad oggi il capitolo massimo della loro discografia per ciò che concerne le liriche. La Natura, protagonista di ogni canzone del nuovo corso di questa band inglese, è qui (per la prima volta in assoluto) non più forza trainante, è questa la maggiore differenza di questo disco rispetto ai precedenti. E’ presente sì, vestita a festa, ma soltanto osserva, guarda da vicino gli uomini affannarsi dietro questo, dietro a quest’altro, dimetichi delle cose fondamentali della loro vita, come gli affetti e le amicizie. E’ l’essere umano il protagonista di questo album (intimo e personalissimo), con tutte le sue debolezze, i suoi difetti, ma anche le sue straordinarie qualità.

Tra nostalgie, ricordi, paure, coraggio e voglia di risollevarsi, Beneath the Shining Water è l’apoteosi perfetta, messa in musica, del detto: l’unione fa la forza. Solo così, uniti e fedeli gli uni agli altri, supereremo anche i momenti più bui. Risolleviamoci!

Bystander
Not so Innocent

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Bystander – Not So Innocent – Gemma Sepolta

14 Gennaio 2015 13 Commenti Matteo Alidori

genere: Aor
anno: 1987
etichetta:
ristampe:

 

Band statunitense formatasi nel 1981 da Andy Kiely alla voce, Bucky Naughton alla chitarra, John Allison, voce e seconda chitarra e Jimmy Callaghan alla batteria.
Questi ultimi due saranno sostituiti in sede di produzione da Mike Weaver e Stanley Steele. La band proveniente dal New Jersey (stesso Stato del BOSS e dei BON JOVI) presenta diverse influenze del periodo, fra le quali spiccano quelle dei KANSAS e dei LOVERBOY.
Esordio che coincide con quel “1987”, anno memorabile di uscite più o meno clamorose.

Il suo sound è caratterizzato da un perfetto stile Aor, posto a metà fra Dakota, Outside edge, Atlantic e Dalton. Di alto livello il lavoro alle tastiere in tutti i brani (andatevi a ri/sentire l’attacco di Out of the night), ritornelli a presa rapida e produzione magistrale.
L’undici di NOT SO INNOCENCE è di altissimo livello. Lo si percepisce già dall’apripista in perfetto Desmond Child style che sintetizza il valore dell’opera. (Quante volte me la sono riascoltata e cantata).
Indimenticabili lo sono anche : RUNNING IN CIRCLES, LET ME IN, SOMEWAY SOMEHOW capaci di regalare all’ascoltatore magici momenti dell’AOR a stelle e strisce.

IN CONCLUSIONE

Il quartetto americano verrà ricordato da tutti gli amanti del genere per questo NOT SO INNOCENT, diventando negli anni un capolavoro indiscutibile.

CURIOSITA’

Esiste anche una versione Japan con tre bonus track : Real world (dance mix), What do all the people know e All the time in the world.
L’album, tuttavia resta di difficile reperibilità.

 

 

Survivor
Vital Signs

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Survivor – Vital Signs – classici

02 Settembre 2014 22 Commenti Denis Abello

genere: AOR
anno: 1984
etichetta: 2010 - Rock Candy Records
ristampe: 2010 - Rock Candy Records

1984, i Survivor arrivavano da un successo planetario regalatogli dal pezzo Eye of The Tiger, multiplatino e colonna sonora del film Rocky III, e dal successivo flop commerciale del loro quarto album Caught in the Game (1983)… e ancora non sapevano che il loro quinto lavoro Vital Signs avrebbe scritto la storia dell’AOR!
Ci sono momenti in cui il Fato, o chi per esso, giocando con le carte del destino porta a segno colpi da maestro come quello di far incontrare nel suo massimo splendore creativo quello che diventerà con il tempo un songwriter ed un artista dal carisma unico, Jim Peterik, con una voce magica ed incomparabile come quella di Jimi Jamison (che arrivava dai Cobra), chiamato a sostiture Dave Bickler, costretto alle dimissioni per problemi alle corde vocali. A chiudere la formazione troveremo poi lo storico Frankie Sullivan alla chitarra, Stephan Ellis al basso e Marc Droubay alla batteria.
L’uscita di Vital Signs e la conseguente definitiva entrata nella band di Jamison verrano anticipate dal pezzo The Moment of Truth (incluso come bonus nella ristampa del 2010 della Rock Candy records) che faceva parte della colonna sonora del film Karate Kid – Per vincere domani

continua

Bad English
Bad English

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Bad English – Bad English – Classico

19 Agosto 2014 28 Commenti Denis Abello

genere: Aor
anno: 1989
etichetta: 2009 - SPV/Audioglobe
ristampe: 2009 - SPV/Audioglobe

Ristampe: Supergruppo, parola che ricorre spesso in questi ultimi anni ma che per l’AOR ha le radici che affondano lontano di più di vent’anni! Nel 1989 si stava per chiudere il decennio d’oro dell’AOR e del Melodic Rock, decennio che ci ha regalato perle preziose e che ci ha lasciato in pegno Artisti di spessore che ancora oggi riescono a farci sognare con la loro musica.

Quasi a consacrazione e sigillo di quanto detto sopra a chiusura degli ’80 arrivò sul mercato un supergruppo che avrebbe segnato più di una generazione di amanti dell’AOR, i Bad English!
Supergruppo nel senso più ampio del termine, perchè oltre ad una formazione realmente stellare che vedeva John Waite alla voce (che arrivava dai The Baby e da una strabiliante carriera solista) coadiuvato per le parti strumentali da Neal Schon (Journey) alle chitarre, Jonathan Cain (Journey, The Babys) alle tastiere, Ricky Phillips (Styx, The Babys) al basso e Deen Castronovo (Journey, Hardline) alla batteria, vedava Richie Zito alla produzione, uno che ha messo le mani su alcuni dei lavori più iconici di questo genere lavorando con nomi quali Mr. Big, White Lion, Tyketto, Cheap Trick…, e Mike Fraser (che ha lavorato con AC/DC, Aerosmith, Metallica) al mixing!
Con simili premesse risultava difficile sbagliare il colpo!

… infatti i Bad English non sbagliarono raggiungendo la vetta delle classifiche con la stupenda ballata e secondo singolo estatto dall’album intitolato When I See You Smile, ad oggi sicuramente il pezzo più conosciuto della band ed il loro maggior successo. Primo singolo fu al tempo Forget Me Not, dall’intro tastieristico su cui si infilavano in successione basso, batteria e chitarra per dare slancio alla voce magistrale di Waite.
Dall’album verranno poi estratti altri quattro singoli nel biennio ’89 / ’90, Best of What I Got dal ritmo trascinante, Price of Love che si gioca lo scettro di ballata strappalacrime con la più nota When i See You Smile, la rocckeggiante Heaven Is a 4 Letter Word e nel ’90 si chiuderà con la dolce e semi acustica Possession.
Notevoli comunque anche alcuni pezzi meno noti di questo lavoro quali l’emozionante ed epica Ghost In Your Heart, il funky rock (si sente il tocco di Neal Schon) di Lay Down, la meno conosciuta semi ballata The Restless Ones impreziosita dai tocchi del piano in perfetta sintonia con voce, chitarra e batteria che esplode in un refrain arioso e trionfante o ancora la prova Maiuscola alla voce di Waite in chiusura di disco sulle note di Don’t Walk Away. continua

Kane Roberts
Saints and Sinners

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Kane Roberts – Saints and Sinners – Classico

13 Agosto 2014 17 Commenti Matteo Alidori

genere: Hard Rock / Aor
anno: 1991
etichetta:
ristampe:

 

Kane Roberts, emblematico chitarrista dal cuore tenero, allo stesso tempo body builder e musicista.
Alla corte di Alice Cooper viene ricordato per le sue collaborazioni come nella colonna sonora SHOCKER, dove la sua voce si sposa con quella di Desmond Child e Paul Stanley nel brano di esordio, nel celeberrimo DISCIPLINE di Desmond Child, e più avanti come vocalist dei Phoenix Dawn.
Diverse analogie in questo Saints and Sinners con TRASH di Mr Cooper anche qui oltre alla stretta collaborazione del solito Child, la chitarra di John McCurry presente in tutto l’album. Un album che, forse al tempo passò inosservato, almeno nel vecchio continente, ma negli anni si è saputo ritagliare una posizione di classico e di difficile reperibilità.

TWISTED, accattivante, rocchettara, sembra uscita direttamente dal cilindro dello zio Alice…. Ricordate il periodo CONSTRICTOR e RAISE YOUR FIST AND YELL?.
Meno acclamate ma pur sempre valide REBEL HEART e YOU ALWAYS WANT IT (quest’ultima ricorda i Winger del periodo Easy come easy go, non a caso Kane e Kip Winger sono stati “compagni di squadra” dal 1986 al 1988 alla corte di Vincent Furnier).
TOO FAR GONE rappresenta a mio avviso il brano più coinvolgente dell’intero album. In particolare richiama l’attenzione l’importanza data alla melodia in questa composizione che, mantiene sempre un filo conduttore, un’atmosfera impossibile da non notare. Difficile dimenticare highlights come DANCE LITTLE SISTER DANCE e FIGHTER dove i cori prendono il sopravvento deliziando l’ascoltatore e convincendolo ad un riascolto immediato.
Chiusura “col botto” con IT’S ONLY OVER FOR. Coinvolgente ballad bon gioviana.

IN CONCLUSIONE

Ho ritrovato pochi giorni fa questo disco e mi sono interpellato riguardo alla qualità delle uscite nel biennio 89-91.
Saints and Sinners ne è un esempio fra tanti. Canzoni come DOES ANYBODY REALLY FALL IN LOVE ANYMORE?, FIGHTER, TOO FAR GONE e IT’S ONLY OVER YOU , solo per citarne alcune , collocano il disco fra le migliori uscite di quel periodo proficuo.

CURIOSITA’

Di questo platter è uscita nel 2012 una versione rimasterizzata in edizione limitata (solo 500 copie) con in aggiunta quattro tracce : HOUSE BURNING DOWN, WAITING FOR YOU, DIRTY BLONDE e WHITE TRASH.