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11 Dicembre 2020 7 Commenti Samuele Mannini
genere: Aor
anno: 1988
etichetta: Metal Mind 2010
ristampe: Metal Mind 2010
A volte le storie d’amore più belle nascono così per caso senza ce minimamente te lo aspetti, ed è così che è successo tra me i Boulevard, un cd forato a 3900 lire da Sweet Music per fare numero ed ammortizzare le spese di spedizione. Che tempi magnifici quando con due soldi potevi rischiare un acquisto, e in quello sterminato catalogo devo dire di aver pescato ottime cose ed anche quelle più così così hanno comunque contribuito ad arricchire il mio bagaglio culturale a modico prezzo…. nostalgia canaglia.
i Boulevard ad oggi hanno rilasciato tre dischi in studio l’ultimo e bellissimo Luminescence è stato trattato nella sezione recensioni, il secondo Into The Street è dai più considerato un classico e per tanto verrà trattato nella sezione apposita al più presto, questo primo Blvd. invece è stato secondo me ingiustamente sottovalutato ai suoi tempi e siccome, a mio parere non ha niente da invidiare ai dischi capisaldi del genere, ho deciso di proporne la trattazione nelle gemme sepolte per dare la possibilità a chi eventualmente non lo conoscesse di poterlo finalmente scoprire.
Le parole classe ed atmosfera pervadono questo disco dall’inizio alla fine , in ogni traccia possiamo infatti trovare quella melodia che forse solo i canadesi sanno rielaborare in maniera così scintillante , riuscendo a galleggiare in quel labile confine tra il pop più impegnato ed il rock Usa da classifica riuscendo a miscelarne le qualità in qualcosa di unico e magico, la perfetta sintesi della definizione Aor.
Prendiamo l’ opener Dream On , ovvero la perfetta Aor anthem song melodica e passionale , ma con un ottimo tiro perfetta nel suo genere. La seguente eterea Far From Over col suo intermezzo di sax è una deliziosa dimostrazione di come camminare sul sottile confine rock/pop, mentre la seguente Western Skies è più canonica nella sua impostazione tastieristica, segue un’altro gioiellino stilistico Never Give Up canzone danzereccia con altro delizioso contrappunto di sax. In The Twilight è una ballata che cresce di pathos anche grazie al suo arrangiamento simil orchestrale del finale, When The Lights Go Down è una ottima ed incalzante hi tech Aor song in stile Tim Feehan e il piedino batte il ritmo che è una meraviglia. Under The Moonlight è un’allegra canzone di matrice pop che grazie a sapienti arrangiamenti riesce a suonare assolutamente leggiadra e non scontata così come la seguente You And I nella quale sento qualche richiamo al Jeff Cannata meno sperimentale, a seguire il gioiellino Missing Persons con marcati accenti Yes dovuti anche alla performance vocale di David Forbes che va a sfidare (con ottimi risultati) Jon Anderson direttamente sul suo territorio, si chiude in bellezza con la ritmata e swingegiante You’re For Me una canzone che fa scuotere il culetto anche dopo averla ascoltata 1500 volte.
A volte mi chiedo come sia possibile 35 e rotti anni dopo cercare di ricreare certe atmosfere tipiche di quegli anni magici, ed infatti a parte casi sporadici spesso si finisce nel grottesco, la musica è anche evoluzione e certe atmosfere sono semplicemente figlie uniche ed irripetibili di quei tempi e poi ci sono talmente tante cose da scoprire o riscoprire che anche ad ascoltatori compulsivi richiederebbero anni, quindi recupero obbligatorio per chi se lo fosse perso (si trova anche a prezzi ragionevoli ) e occasione di riscoperta per chi ai tempi lo prese un po’ troppo sottogamba.
07 Dicembre 2020 20 Commenti Samuele Mannini
genere: Hard Rock/Aor
anno: 1992
etichetta:
ristampe:
Non c’è due senza tre…. ed il quarto verrà da se. Se infatti in queste recensioni dedicate al recupero di album fondamentali per il Genere ci siamo già occupati dei Signal e del solista di Mark Free tocca adesso agli Unruly Child con la promessa di scrivere presto anche dei King Kobra in modo da poter calare definitivamente il poker che Free ha regalato a tutti noi appassionati di rock melodico.
Un gruppo nato per fare il botto, purtroppo uscito fuori tempo massimo perché nel 1992 la festa era sostanzialmente già finita e le label facevano uscire tutto ciò che oramai avevano in cantiere con l’unica intenzione di svuotare i magazzini e riassorbire un po’ le spese avendo già provveduto ad investire altrove le loro risorse, benché dunque fosse ormai tardi il 1992 è stato comunque un anno che ha regalato meraviglie, una sorta di ultima raffica di fuochi d’artificio prima del buio.
Il Gruppo era formato oltre che da un Mark Free ancora sfavillante , dal duo Bruce Gowdy e Guy Allison di provenienza World Trade dal batterista Jay Shellen , anche lui ha suonato su Euphoria dei World Trade e dal bassista Larry Antonino un session man di lungo corso impegnato anche nella scena jazz, e anche coadiuvato dalla eccelsa produzione( non rifarò l’ennesimo pippone sulla importanza dei produttori) di Beau Hill da vita ad un platter di 12 canzoni che per anni è stato oggetto di culto tra gli appassionati, ecco, penso sia finalmente ora di poterlo definire classico a tutti gli effetti perché presenta al suo interno diverse pietre miliari dell’ Hard/Aor a stelle e strisce.
In questo disco è difficile trovare un filler forse solo Take Me Down Nasty è un po’ più debole, ma diciamo che la collocazione in scaletta non la favorisce proprio in mezzo all’ opener On The Rise scintillante hard rock con arrangiamenti sicuramente non comuni dove la voce di Mark free si avventa come un falco sulla preda e la seguente Who Cries Now un Aor di potente fattura e con un pathos leggendario. Che faccio vado avanti? To Be Your Everithing è una power ballad che va a strizzare l’occhio ai Giant, e Tunnel Of Love è un mid tempo super catchy , ma assolutamente non banale e basta ascoltare le ritmiche per capirlo e poi Booom! un’altra pietra miliare assoluta When Love Is Gone, dove Free si trova a meraviglia interpretando questi testi che trattano di storie d’amore sofferte. Il brutto di scrivere di questi dischi è che si rischia di sprecare parole inutili quando ne basterebbe una sola…. Capolavoro, ma ormai finiamo la lista delle canzoni, sia mai che qualcuna sia evaporata dalla memoria e sarebbe un peccato perché Lay Down Your Arms è un bell’ hard rock potente di matrice Winger (altro disco da ripescare….) , e non crediate di potere sfuggire dal super lento sventola accendini perché Is It Over è li che aspetta per fare lacrimare i nostri cuori melodici, niente paura però, Wind Me Up rialza subito i giri del motore, mentre Let’s Talk About Love è un lento semiacustico semplice, efficace ed orecchiabile con quegli arrangiamenti di Tangeriana memoria, e si chiude il match per KO con un uno-due micidiale l’ anathemic rock Criminal e la zeppeliniana Long Hair Woman e giù al tappeto…
Dopo questo disco il gruppo si scioglierà e dopo l’operazione che porterà Mark a diventare Marcie uscirà nel 1995 Tormented che idealmente è la prosecuzione di questo disco , nel 1998 invece uscirà Waiting For The Sun ( bellissimo a mio parere) con Kelly Hansen alla voce e poi via via fino alla reunion e con Marcie nuovamente alla voce la storia è arrivata fino ai giorni nostri.
Se non esiste la perfezione , qui siamo talmente vicini da poterla quasi toccare, un disco segnante da avere assolutamente.
04 Dicembre 2020 4 Commenti Samuele Mannini
genere: Hard rock
anno: 1990
etichetta: Wounded Bird 2008 / Bad Reputation 2020
ristampe: Wounded Bird 2008 / Bad Reputation 2020
In una giornata un po’ così…. per tirare un po’ su i giri, poso la puntina sul vinile e con la copertina in mano i ricordi , ormai trentennali , di quando lo cantavo a squarciagola alla fermata mentre aspettavo l’ autobus per andare a scuola, tornano impetuosi.
Questo per molti è stato un disco di un gruppo usa e getta uscito in un anno dove dopo le magie del 1989 si faceva ciccia , ci sarebbero stati un altro paio di anni prima del buio
dell’hard rock ed i gruppi si bruciavano come le falene su un falò estivo.
Un po’ di storia ; il gruppo nasce in Minnesota avrebbe dovuto chiamarsi Hurricane Alice ma per problemi di similarità con gli Hurricane di Kelly Hansen venne adottato questo nome e, si narra….. che la prima scelta per le vocals fosse David Reece che poi ironia della sorte si ritroverà la sezione ritmica degli Alice nei Bangalore choir. In seguito al rifiuto fu provinato e successivamente assunto Bruce Neumann, che adesso è l’unico membro superstite, del membro fondatore nonché chitarrista Danny Gill si sono perse le tracce in ambito music biz e pare invece molto attivo nella didattica musicale , mentre la sezione ritmica composta da Ian Mayo e Jackie Ramos girerà mezzo mondo militando nei sopra citati Bangalore choir nei Bad Moon Rising ed altri che momentaneamente mi sfuggono.
Un disco si diceva passato in sordina e in gran parte sottovalutato , ma che secondo me è una gemma grezza del genere hard / sleaze / hair metal o come cavolo lo vogliamo
definire…. chitarre taglienti, ritmiche potenti, voce acuta a tratti miagolante ( non alla salty dog , ma insomma in questi casi ci stà ) pezzi tirati che live avrebbero tirato giù il palco ed infine un paio di ballatone sofferte e magistralmente interpretate.
Il solco musicale è quello dove si muovono gli Slaughter i Bullet Boys e molti altri in quello specifico filone e se qualcuno noterà similarità tra i modi di cantare , beh mi trova abbastanza concorde. Tracce quali Wild young and Crazy, la glameggiante Bad to love , Tear the house down e Shake shake shout, propongono tutti i classici stilemi del genere senza però peccare di plagio , semplicemente questo genere si suona così e le canzoni sono così , se non vi piace dito medio e passare oltre.
I pezzi lenti sono la romantica e dall’interpretazione commovente Dream girl che cattura con un ritornello semplice, ma efficacissimo, Too late non è da meno guidata com’è da un giro di chitarra magistrale e la conclusiva Walk alone si basa su un giro di basso leggermente funkeggiante per poi esplodere in pathos nel ritornello.
Sì nota che adoro questo disco? Beh magari ascoltato senza pregiudizio lo adorerete anche voi.
Se ….e dico se…. non lo possedeste, la recentissima ristampa della Bad Reputation potrebbe essere una ottima occasione per farlo finalmente vostro.
P.s se vi piacevano all’epoca state lontani dal come back che pare stia per uscire, dai due pezzi ascoltati su YouTube…. sarebbe un peccato intaccare un così bel ricordo.
01 Dicembre 2020 6 Commenti Samuele Mannini
genere: Hard rock
anno: 1990
etichetta:
ristampe:
English Do It Better?
Dal 1987 al 1990 c’è stato forse l’ultimo e più grande tentativo di invasione degli Usa da parte dell’ hard and heavy proveniente dalla perfida Albione , gruppi come : Fm , Strangeways, Little Angels , Thunder , Dare e molti altri . Risultato? Respinti con perdite, solo gli Whitesnake del secondo ciclo riuscirono a passare perché oramai erano più americani degli americani stessi . Tutto ciò non dipende certamente dalla qualità delle proposte inglesi , ma semmai dalla atavica puzza sotto il naso della audience di allora che spesso dimenticava che nel campo rock tutto ciò che veniva proposto negli Usa era stato partorito anni prima in Inghilterra…. dal progressive , all’ hard rock fino al metal. Il merito degli americani è stato quello di prendere ciò che veniva da oltreoceano rielaborarlo e proporlo poi su vasta scala, sia ben chiaro questo non vuol certo sminuire il panorama americano , serve solo per dare alla Regina ciò che è della Regina. Gli inglesi lo fanno dunque meglio? Non necessariamente , ma spesso lo fanno prima e con un tocco tutto loro che è inimitabile per gli altri popoli.
Tutta questa pappardella per giustificare il fatto che questo disco sia sicuramente annoverabile tra i classici, ci troviamo di fronte infatti al primo disco di quella che , tra numerosi stop and go, sarà comunque una carriera di tutto rispetto e seppur relegata ad una popolarità principalmente europea, ha comunque dato alla luce numerosi dischi tra cui il prossimo in uscita a marzo 2021.
Ma il disco com’è ? Bello e dannatamente British , si riconosce a miglia di distanza, sarà per la pronuncia, sarà per il sound , ma anche ad un ascolto distratto si percepisce. Prendiamo l’opener She’s So Fine 20 secondi e siamo già nella City di fronte al Big Ben a battere il piede pensando ai Bad Company, la matrice è la stessa anche per Dirty Love solo accelerata di qualche battuta e con un ritornello super catchy, poi arriva la blues ballad Don’t Wait For Me sofferta , mai melensa e poi cantata con quel vocione un po’ roco e sensuale…..beh 10 e lode. Higher Ground è il classico brano d’impatto che live fa battere le mani ed attizzare il pubblico, Until My Dying Day ha invece una partenza acustica Zeppelin per poi articolarsi in chiave più elettrica in crescendo. La title track è invece un solido RnR che poi però a mio avviso si perde un attimo in se stessa con una struttura un po’ confusionaria, ma niente paura la seguente Love Walked In vi farà tirar fuori l’accendino per aumentare l’atmosfera romantica , ma attenzione non c’è solo sdolcinatezza dopotutto…. sono inglesi. Infatti la seguente Englishman On Holiday è sfacciatamente seventies e parla delle abitudini vacanziere degli hooligans una sorta di lato oscuro della Englishman in New York di Sting…. Girl’s Going Out Of Her Head è un hard rock bello tirato a cui segue l’ennesima versione di Gimme Some Loving resa celebre dai Blues Brothers che è si fatta bene, ma in fin dei conti se ne poteva fare a meno. Si chiude con la bonus track solo per la versione cd intitolata Distant Thunder , traccia ritmata ed easy listening , ma comunque gradevole.
La produzione di Andy Taylor (si…. proprio l’ex Duran Duran) e Mike Fraser è ancora molto attuale e ben curata e il disco sparato a manetta sull’ hi fi anche a distanza di trenta anni fa ancora la sua porca figura, Insomma un disco che non deve assolutamente mancare nella discografia di un vero amante del genere , accattatevillo.
30 Novembre 2020 7 Commenti Samuele Mannini
genere: Prog. Rock
anno: 1989
etichetta:
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Questa volta l’invito a scoprire o ri-scoprire ha come obbiettivo un genere di confine al rock melodico che viene abitualmente trattato su queste pagine e che tante volte ha visto tentativi più o meno riusciti di fusione o di sconfinamento reciproco. Essendo di formazione neo prog. diciamo che nel 1985 e cioè a dodici anni mi cantavo allegramente Kayleigh, Lavender e Bitter Suite, ho sempre visto con favore i tentativi di unione dei miei due amori musicali in una sorta di best of both worlds. Intendiamoci subito; qui di Aor c’è pochino, giusto qualche arrangiamento e qualche smussatura di buon gusto che la coppia Gowdy/Allison (che non a caso troveremo negli Unruly Child) attua ad un sound di preminente matrice Yes con qualche contrappunto di Rush. Oddio con una voce come quella di Billy Sherwood le somiglianze vengono spontanee e mi son sempre chiesto se non ci fosse qualche gene condiviso con Jon Anderson perchè le similitudini sono impressionanti, e se lo deve essere chiesto anche Chris Squire che lo contattò per sostituire proprio Anderson nella sua reincarnazione degli Yes, ma qui si rischia di finire nel racconto della telenovela che ha caratterizzato quella band, quindi torniamo in rotta.
In questa recensione rischierò il plagio perchè ho ancora in mente la descrizione che ne fece Beppe Riva su Metal shock e che mi indusse a mettermi alla ricerca di questo disco e cito a memoria: ” Custodite questo disco con cura e riservatene l’ ascolto ai vostri momenti più riflessivi”, mai consiglio fu più azzeccato , ma d’altra parte il Maestro sbaglia di rado.
27 Novembre 2020 6 Commenti Samuele Mannini
genere: Hi tech/Aor
anno: 1990
etichetta:
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Non ricordo dove lessi la recensione di questo disco se Flash o Metal Shock e a dire il vero nemmeno troppo la recensione in se stessa , ma insomma son passati 30 anni sarò scusato , stavo cominciando a coltivare di nascosto il mio lato mollaccione , mentre in pubblico mi davo ancora all’ heavy duro e puro o almeno hard rock con chitarre a manetta, il mio animo si stava volgendo pian piano alla melodia e tempo un paio di anni avrei fatto anche qualche proselito , ma vabbè insomma frega poco a chi leggerà.
Come lo vogliamo definire…hi tech AoR? Ok tanto si fa per intendersi, comunque a quei tempi non riuscii a digerirlo del tutto, mi mancava il background culturale melodico, ma tra me e tre canzoni sbocciò l’amore e che Dio benedica l’analogico che più o meno ti forzava a mettere su cassetta tutto il disco e per ascoltare quelle canzoni , ho finito , un po’ per volta , per approfondire ed apprezzare l’intero lavoro.
continua
26 Novembre 2020 18 Commenti Samuele Mannini
genere: Hard rock
anno: 1989
etichetta: Rock Candy 2010
ristampe: Rock Candy 2010
Oggi vinco facile , questo disco è strabello e stranoto , ma ha avuto un picco di notorietà soprattutto dopo la morte di Ray Gillen che contribuisce in maniera un po’ macabra alla caccia alla reliquia anche da parte di chi ai tempi se li era cagati il giusto.
Comunque ricordo perfettamente che mentre passeggiavo con il numero appena comprato di Metal Shock in mano dove c’era la recensione di questo disco , entrai in un negozio di dischi con la ferma intenzione di comprarlo e lo chiesi al negoziante che guardandomi di sbieco mi porse un disco nero con un enorme pipistrello sopra …. Beh una volta chiarito che non avevo il minimo interesse per la bat dance …. montai sul primo autobus direzione Firenze centro e alla fine riuscì ad appropiarmi di questo gioiello.
Questo che all’epoca fu definito super gruppo che vedeva il chitarrista Jake E Lee , già
apprezzato con Ozzy e il Singer già citato Ray Gillen , eterno incompiuto , a tal proposito , ho scoperto girellando sul web che Ray avrebbe dovuto prendere parte al progetto Blue Murder, e cavolo mi è venuto un brivido lungo la schiena a pensare a quel disco cantato da lui… Completano il quartetto il bass player Gregg Chaisson già con i Keel ed il batterista Eric Singer che ha prestato il suo servizio a praticamente chiunque in ambito hard rock usa.
Il disco ci riporta alle atmosfere anni 70 con un hard blues di chiarissima ed inequivocabile matrice Zeppelin con tocchi dei primi Whitesnake più blues , ma con un sound più Usa con chitarre più taglienti ed una atmosfera ” polverosa ” che sarà in parte ripresa successivamente dai Riverdogs, tanto per citare un nome.
High wire apre le danze con un hard blues torrido e veloce, Dreams in the dark deve un po’ di più ai primi Whitesnake , mentre Jade’s Song è una piccola introduzione strumentale a Winter’s call che và talmente vicina agli Zep dove nessun Lenny Wolf era mai giunto prima.
Dancing on the Edge è marmoreo hard rock , mentre Streets cry Freedom mostra la sonorità del lato selvaggio degli Usa.
Il lato b parte con Hard Driver che a me in certi tratti richiama alla mente quelle sonorità che ritroveremo successivamente nel debutto dei Damn Yankees, Rumblin’ train è un hard blues di pura matrice USA , Devil’s stomp invece si basa su un arpeggio countryeggiante mentre il buon Ray si mette a guardare dritto negli occhi Plant così come nella conclusiva Seasons che più Zeppelin di così sei gli Zeppelin.
Concludendo operazione nostalgia modalità on, per un disco che è un classico a
prescindere dalle disgrazie che colpirono i suoi membri.
07 Novembre 2020 13 Commenti Samuele Mannini
genere: Aor
anno: 1993
etichetta: Frontiers 1998
ristampe: Frontiers 1998
Nell’ Olimpo dei classici del genere AoR non può non trovare un posto d’onore questo disco che per molti versi rappresenta una definizione quasi enciclopedica del genere rock melodico.
È difficile scrivere di Long Way From Love perché le parole vengono sopraffatte dalle emozioni che sgorgano ad ogni nota suonata in questo capolavoro dove Mark Free ( non mi addentrerò nelle sue vicissitudini personali qui era Mark e così lo chiamerò) funge da interprete magistrale , mentre in numerose altre occasioni si è cimentato anche nel songwriting sfornando comunque pezzi di tutto rispetto. Ad ogni modo stavo dicendo che anche se le canzoni sono pressoché tutte firmate da Judith e Robin Randall sembrano scritte appositamente per essere cantate da Mark che fornisce, forse come mai, una prova interpretativa così profonda ed emozionale che fa presa subito nel profondo dell’animo umano.
continua
06 Novembre 2020 19 Commenti Samuele Mannini
genere: Aor
anno: 1993
etichetta: Now & Then 1994
ristampe: Now & Then 1994
Questo è uno dei classici dischi che ogni tanto è propedeutico rimettere nel lettore per farlo suonare a manetta , ci troviamo di fronte ad un disco che rappresenta un classico del genere per quanto riguarda la caratura delle composizioni e una gemma sepolta per quanto riguarda la reperibilità.
Quando Luigi Pestelli , che all’epoca lo recensì su Flash, me ne parlò, dovetti aspettare un po’ per metterci le mani sopra e nello specifico sulla stampa della Now & Then , perché all’inizio la stampa giapponese era difficilmente reperibile.
Quello che è proposto in questo gioiellino è puro hard A.o.r di stampo tastieristico molto vicino ai primi due House of Lords con punte molto ruffiane di derivazione Foreigner e con dei ritornelli veramente fulminanti , che negli anni d’oro del genere avrebbero fatto furore nelle classifiche.
continua
23 Ottobre 2020 12 Commenti Samuele Mannini
genere: Hard rock
anno: 1992
etichetta: Bad reputation
ristampe: Bad reputation
Per la serie conosciuti , ma non troppo I Tora Tora attirarono l’attenzione già per l’eccellente Surprise Attack del quale magari parlerò un’ altra volta.
Con questo Wild America raggiungono l’apice limando certe punte di “grezzitudine” e maturando anche grazie alla produzione più raffinata firmata da sir Arthur Payson…..e ragazzi quando dico che la produzione è metá dell’opera nn vado lontano dalla verità.
Comunque estetica a parte la musica c’è ed è di qualità superiore , un hard rock stradaiolo con atmosfere a la Georgia satellite condite con una elettricità Tesliana e una voce al vetriolo ci portano immediatamente allo sculettio impetuoso e il piede batte che sembra in preda alla Taranta…