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Lukather – Bridges – Recensione

16 Giugno 2023 2 Commenti Nico D'andrea

genere: Rock
anno: 2023
etichetta: The Players Club/ Mascot

Cosa si nasconde dietro il sorprendente cambio di monicker di uno fra i più grandi chitarristi del mondo ? Forse un atto di coerenza verso il marchio Toto che con il definitivo ritiro dalle scene di David Paich non ha più motivo di esistere.

Così a distanza di un anno dalla sua pubblicazione il Live “Toto With A Little Help From My Friends” suona oggi come un (pregevole) epitaffio.
“Luke” preannuncia così questo “Bridges” come una sorta di ponte tra il Toto sound e la (moderata) sperimentazione dei lavori a nome Steve Lukather.
Alla prova dell’ascolto l’album mantiene in parte quanto promesso e si snoda con buona disinvoltura tra reminiscenze Toto (When I See You Again) , sonorità più moderne (Someone) e qualche (al sottoscritto poco gradita) concessione Beatlesiana…frutto magari delle recenti frequentazioni con l’amico Ringo Starr.
Il pre-chorus nel coinvolgente shuffle di “Not My Kind Of People” ne è un esempio lampante.
La scintilla non sempre si innesca ma con “All Forevers Must End” Steve Lukather ricorda a tutti cosa significhi scrivere una grande ballata…per ripetersi poi con “Take My Love”, un pezzo dove esce la viscerale anima blues del chitarrista americano.
“Burning Bridges” e “I’ll Never Know” sono le altre vette del disco.
Il denominatore comune che sposta decisamente l’asticella verso l’alto è però il solito strepitoso Guitar Work che per varietà stilistica vale inequivocabilmente l’acquisto dell’album.
Il tono della chitarra di “Luke” è sempre perfettamente riconoscibile, con gli assoli come assoluti highlights di ogni singolo brano.
A livello compositivo “Bridges” è un passo in avanti rispetto al precedente “I Found The Sun Again” e (per restare in famiglia) non molto distante dal bellissimo “Denizen Tenant” dell’amico Joseph Williams.
Insomma altro centro per la sussidiaria di Mascot “The Players Club” che fa ormai del proprio nome un claim e una garanzia.

Joel Hoekstra’s 13 – Crash Of Life – Recensione

16 Giugno 2023 0 Commenti Alberto Rozza

genere: Hard Rock
anno: 2023
etichetta: Frontiers

Artisti iper celebri che non hanno assolutamente bisogno di presentazioni e un sanissimo hard rock sul nuovo disco dei Joel Hoekstra’s 13, band che prende il proprio nome ed è capitanata dall’attuale chitarrista degli Whitesnake.

Partenza assolutamente potente sulle note di “Everybody Knows Everything”, gagliarda e convincente, strumentalmente un carro armato e dalla resa complessiva convincente. Arriviamo alla title track “Crash Of Life”, corale e decisa, non particolarmente originale e abbagliante, ma interessante dal punto di vista solistico. “Damaged Goods” non delude e si dimostra piacevole e trasportante, dal grande impatto strumentale e vocale. Con “Torn Into Lies” passiamo ad atmosfera più delicate e suadenti, con un brano molto intenso e penetrante, una chicca canonica e ben eseguita. “Far Too Deep” torna a carburare, con la sua ritmica tagliente e una eccezionale parte chitarristica. Eclettico e sonoramente non scontato, “Not Tonight” esce lievemente dal seminato attestandosi come un’ottima sorpresa all’interno di questo lavoro. Torniamo su orizzonti ampi, vaporosi ed emotivi con il lento “Over You”: indirizzato alla parte più sensibile dell’ascoltatore, si dimostra assolutamente azzeccato per enfasi ed esecuzione. “I Would Cry For Love” martella e si avvicina molto al gusto Whitesnake, con apprezzabili fraseggi di chitarra e un sound travolgente, così come la successiva e classica “Don’t Have Words”, dal sapore puramente hard rock. “Find A Way” risulta molto piacevole e dall’ottimo groove, apprezzabile anche per il perfetto cesello tra chitarra e hammond. Sentimentale e caldissima, “You’re Right For Me” è un ottimo pezzone scalda – cuori, dal sapore americanissimo, reso in maniera interessante in tutte le sue parti. Conclusione affidata al lento “Through The Night”, non un pezzo indimenticabile, che abbassa il sipario su un lavoro decisamente ben pensato, ben suonato e ben prodotto, a tratti frizzante anche se complessivamente molto ben inquadrato nel genere; per gli amanti dell’hard rock un ascolto obbligato che può solo lasciare ricordi positivi.

Mystery – Redemption – Recensione

15 Giugno 2023 13 Commenti Samuele Mannini

genere: Prog. Rock
anno: 2023
etichetta: Unicorn Digital

Ehhh… non c’è niente da fare, è sempre difficile conoscere tutto ed avere contatti con le più disparate etichette discografiche, per essere così sempre aggiornati in un panorama musicale ormai estremamente nebulizzato. Ad ogni modo, grazie ai ragazzi di Rock Of Ages, sono venuto a conoscenza dell’uscita di questo disco ed è stato amore a primo ascolto; ho quindi deciso di procurarmelo e seppur con un mese di ritardo sull’uscita, parlarne sulle nostre pagine.

I Mystery sono una band Canadese (e quindi partono già con mezzo punto in più 🙂 ), giunti ormai all’ ottavo album in studio, sono saliti alle cronache degli amanti del prog anche perché il loro precedente cantante, Benoît David, ha avuto una militanza negli Yes prima di dover concludere la sua carriera per dei guai alla laringe. Il mastermind del gruppo è comunque il chitarrista e polistrumentista Michel St-Pere che ha fondato la band nell’ormai lontano 1986.

Come ho detto non conoscevo affatto la band e non riesco quindi a collocare questo Redemption rispetto alle loro precedenti uscite, sgombro quindi da ogni pregiudizio e/o aspettativa posso subito dire che questo ultimo lavoro  è un gran bel disco di progressive rock a tutto tondo, certo si percepisce un certo effetto Rush in sottofondo, forse anche perché la timbrica vocale di Jean Pageau non è poi molto dissimile da quella di Geddy Lee, anche se a mio giudizio è molto più estesa e versatile. Musicalmente parlando oltre alle tracce di Rush, brillano numerose atmosfere Pink Floydiane e nel complesso non ci si vergogna a miscelare momenti tipici del Melodic rock con puntate e stacchi vicini al prog metal, insomma tutti gli ingredienti necessari per colpirmi al cuore.

Io vi consiglio vivamente di metterci le mani sopra preparandovi a gustare canzoni quali: la oscura, introspettiva ed ossessiva Redemption, veramente un pezzo di rara bellezza che colpisce subito il lato malinconico di ognuno. La languida ed introspettiva Every Note, non poi così lontana dalle atmosfere meno contorte proposte talvolta dagli Ecolyn. Molto bella anche la ariosa My Inspiration, che spazzerà via ogni velo di tristezza con il suo incedere epico e solare. Non mi sento di andare avanti col track by track, perché le canzoni sono solo otto, ma il disco dura ben 74 minuti ed è praticamente impossibile descrivere a parole tutta la complessità di ogni composizione rendendone bene gli innumerevoli dettagli, ma ora che vi ho inquadrato il disegno generale, sta a voi avventurarvi in questo universo pieno di epica poesia messa in musica. Buon viaggio!

Extreme – Six – Recensione

15 Giugno 2023 8 Commenti Giulio B.

genere: Hard rock
anno: 2023
etichetta: Earmusic

Dopo ben quindici anni dal non convincente ‘Saudades De Rock’ tornano gli Extreme di Nuno Bettencourt, Gary Cherone e Pat Badger, i tre componenti che nel lontano 1985 fondarono la band, coadiuvati negli anni 2000 dal batterista Kevin Figueiredo.

Discepoli di band come Aerosmith, Queen e soprattutto Van Halen, gli Extreme crearono subito un sound ben riconoscibile e ricco di influenze. “More than words” ha segnato un’epoca e la carriera di questa band, oltre ad essere per me un piccolo slogan per questa recensione, a cui bisognerebbe dedicare molte “più (che) parole” sia nella scrittura che tempo all’ascolto.
Spiazzato dalla ruvidezza dei primi due singoli, in ordine “Rise” dove si apprezza il grande lavoro di Nuno e soci e dal successivo “Banshee”, mi sono posto subito una domanda: “Cosa mi aspetta all’interno di “SIX”?”
La risposta che mi è uscita, osservando e, soprattutto, osservato dallo sguardo truce del gorilla in copertina, è stata: “Un album modernista ed intimista”.

Durante l’ascolto mi ci sono trovato in questa risposta, soprattutto, dal fatto che canzoni come “#Rebel”, la superba “The mask”, le migliori in tal senso, “Save me” e “Thicker than blood” hanno decisamente un taglio moderno con la band che si destreggia egregiamente in territori all’apparenza angusti e con Nuno, vero mattatore. Menzione a parte per la semi-elettronica “X out”, un groviglio di stili all’interno di una stessa canzone che è l’emblema di quanto siano “giovani e innovativi” gli Extreme nel 2023. Dall’altro lato, il tutto va mixato con una parte intimista che abbraccia idealmente lo stile dei Mr.Big con ben cinque canzoni, delicate e ricercate allo stesso tempo, consegnandoci la perizia artistica dei quattro musicisti e portandoli idealmente ad una loro comfort-zone. Dal singolo acustico “Other side of the raimbow” con tanto di video paesaggistico, alla splendida ballata “Small town beautiful” che va a braccetto con l’altro lento “Hurricane”. Le altre due canzoni meritano una citazione più approfondita; ascoltate molto bene, “Beautiful girls”, dal sapore estivo che strizza l’occhio a David Lee Roth e Kid Rock, probabilmente studiata per tentare il botto radiofonico, e ha tutte le carte in regola per riuscirci, con quella base funky-pop caraibica veramente suggestiva, mentre il lento “Here’s To The Losers”, a mio avviso, il migliore del lotto, è ricco di pathos grazie all’innesto dei contro cori nel ritornello, al sapiente lavoro ai Gary dietro al microfono e alla sagacia tecnica di Nuno, il quale ci regala un assolo elettrico bello ed intenso, presente anche in altre canzoni.

Sarà che il “SEI” è il mio numero preferito ma questo “SIX” è un grandioso ritorno degli Extreme, oltre ad essere candidato (da me) a migliore album Hard rock dell’anno.

Sweet & Lynch – Heart & Sacrifice – Recensione

15 Giugno 2023 1 Commento Francesco Donato

genere: Hard Rock
anno: 2023
etichetta: Frontiers

Esce per Frontiers Records il terzo e atteso lavoro della premiata ditta Sweet & Linch, un album robusto e di mestiere che conferma la buona alchimia tra i due storici musicisti.

Per chi non fosse a conoscenza delle origini di questo progetto, dobbiamo risalire al 2015 quando Michael Sweet (noto per la sua carriera negli Stryper) e George Lynch (vero e proprio guitar hero famoso per la sua lunga militanza nei Dokken e nei Lynch Mob) debuttarono in coppia con l’album “Only to Rise”, un disco uscito sempre sotto Frontiers che raccolse felici consensi. Nel 2017 arriva a conferma la bontà della proposta il secondo “Unified”. La line up dei primi due album contava sulla sezione ritmica formata da James Lomenzo (conosciuto ai vecchi hard rockers per la sua lunga militanza nei White Lion) e Brian Tichy (già Whitesnake e Dead Daisies). La prima importante novità in questo Heart & Sacrifice è proprio l’avvicendamento alla sezione ritmica che vede entrare in gioco Jelly Cardarelli alla batteria e il nostro Alessandro Del Vecchio nel ruolo di bassista.

Dal punto di vista stilistico questa terza uscita del progetto non sposta nulla da quanto proposto nei due predecessori: Un succulento e appetitoso calderone dove tutte le più importanti eredità musicali di Sweet e Lynch si miscelano senza sosta. Un susseguirsi continuo di retaggi di Dokken, Stryper, Lynch Mob che non annoia mai, proprio in virtù della maestria e della strepitosa forma dei due nel sapersi integrare senza sovrapporsi in un songwriting che alla lunga risulta tutt’altro che derivativo. L’avvio del disco è concesso alla titletrack, uno degli episodi che risulterà più convincenti, sostenuta da riffs potenti e da un ritmo indiavolato. E’ proprio qui che la voce di Sweet mette subito in chiaro le cose in merito allo stato di forma del vocalist: Insomma, gli anni non sembrano passare per il vecchio Michael. Lavoro di fino per la successiva “Where I Have to Go”, un altro pezzo che alla lunga si farà ricordare piacevolmente. Stavolta è il lavoro elegante di Lynch a colpire. Si susseguono dunque i due piacevolissimi singoli “Miracle” e “Leaving It All Behind”, dove nel secondo la voce di Sweet ci regala un’altra robusta interpretazione di forza. Aperta da un riff granitico e da un possente urlo di Sweet piomba sulle nostre orecchie “You’ll Never Be Alone” quello che reputo il miglior pezzo dell’intero album. I ritmi si abbassano con la successiva “After All I Said and Done”, dai toni quasi blues. Si torna a spingere con la ottantiana “Give Up The Night”, ulteriore conferma della dimestichezza del duo nel sapersi rigenerare a vicenda senza allontanarsi troppo dal passato. “Will It Ever Change” parte dura e pesante per poi cadere a foglia morta sul melodico intercedere delle strofe di Sweet. Altro gran bel pezzo, altro grande assolo di Lynch. La classe non molla la presa per tutti i dodici episodi, e forse solo nella conclusiva “Word Full Of Lies” si assiste ad un leggero calo d’intensità.

In chiusura: Un album che farà la gioia dei fans di Dokken e Stryper su tutti, ma che non deluderà chi si aspetta una convincente prova da due dei più grandi protagonisti del passato di questo genere musicale.

Stardust – Kingdom Of Illusion – Recensione

14 Giugno 2023 10 Commenti Denis Abello

genere: Melodic Rock
anno: 2023
etichetta: Frontiers Music Srl

Ricordo quando anni fa mi capitò di ascoltare, in una solitaria notte d’estate, il brano Shine degli sconosciuti Stardust… che colpo diretto al cuore. Tutto quello che amavo del melodic rock si trovava in quel brano. Voce, calore del suono, melodia e quel piacevole senso di ebrezza che solo il miglior melodic rock sa regalare.

Da allora è stato un crescendo di conferme da parte degli Stardust, e un Amore sempre più forte da parte mia verso questa bella realtà Ungherese! Così, dopo un EP autoprodotto (2016) e soprattutto l’ottimo lavoro a titolo Highway to Heartbreak (2020, qui la recensione), gli Stardust ci riprovano con questo Kingdom of Illusion, sempre edito per la nostrana Frontiers!

A capo della brigata troviamo sempre la bella ugola di Adam Stewart (al secolo Akos Horvath) e si parte così come a voler siglare un taglio con il precedente lavoro con la roboante War. Pezzo dallo stile a la “Last Look at Eden” degli Europe che mostra muscoli e forza con un coro “cattivo” ed una chitarra pesante e tagliente, ma sotto sotto è ben presente lo stile Stardust! Un inizio spiazzante che però ci riporta subito su territori cari alla band con la successiva The Fire. Riuscitissimo brano tutto cori e bruciante passione. Magistrale lavoro sugli arrangiamenti per la successiva Losing Me, pezzo cromato e intriso di ricercata sensualità.
Sacrifice è puro AOR radiofonico anni ’80 mentre Love Sells è un up tempo diretto e vibrante! Fari puntati a questo punto su Heroes e sul suo incipit “epico”. Adam Stewart nettamente in botta e chitarre di primo livello, melodic hard rock cesellato con finezza ed eleganza!

Se la prima parte di questo lavoro ha mostrato un lato nettamente ricercato ed in parte sconosciuto nei precedenti lavori degli Stardust con la seconda parte si entra in un territorio più melodic rock nella sua concezione più classica.
Bellissima così si innesta a questo punto la radiofonica ricercatezza di One First Kiss con quel suo ritornello memorizzabile al primo giro. Nettamente riuscita e di valore anche la classica ballata Make Me Feel Your Love e ancora una volta si torna in puro territorio da airplay e, in un mare di ballate spesso troppo stucchevoli, questa Make Me Feel Your Love brilla di una splendida luce romantica!
Diretta, liscia e vibrante Ain’t No Woman si insinua nelle nostre orecchie per portarci a chiudere idealmente sulle note weastcoast, care ai Toto più ricercati, di Sarah!
Ultima chicca sulle note della cover di Don’t Know What You Got… Till It’s Gone. Ci vuole coraggio, e forse un po’ di sana follia, per pensare di coverizzare un brano dei Cinderella, e soprattutto “questo” brano. Eppure gli Stardust lo fanno, a modo loro, trasformando l’amarezza e lo stuggimento della versione originale in una dolce accettazione in questa loro reinterpretazione… e vi sfido ascoltandola a non pensare ad una versione cantata e suonata dai Foreigner!

Continua la crescita degli Stardust, così se l’EP del 2016 ne è stata l’infanzia, Highway to Heartbreak l’arrapante adolescenza, con questo Kingdom of Illusion entrano nella prima fase della loro maturità! Se restano intatti alcuni tratti legati alla loro giovinezza musicale è innegabile che questo nuovo lavoro faccia un netto passo in avanti con una maggiore consapevolezza della band verso quello che può essere un futuro musicale più complesso, ricercato e ricco di influenze! Bel Colpo Stardust, servono più album come questo nel nostro genere!

The Defiants – Drive – Recensione

09 Giugno 2023 9 Commenti Giulio B.

genere: Hard Rock
anno: 2023
etichetta: Frontiers

“Chi ben inizia è a metà dell’opera”

Con questa citazione apro la mia cento1sima recensione su Melodicrock.it (avevo dimenticato la candelina con l’album “Get it right” degli Heavens Edge); devo infatti candidare la copertina di “Drive”, il biglietto da visita dell’album, come una delle più belle viste nel recente passato e merita indiscutibilmente di essere vista e acquistata nella versione vinile.
Torna, a quattro anni di distanza dall’ottimo “Zokusho”, la versione 2.0 dei D2; questo giro alfa-numerico mi serve per chiarire e dare solo una volta, un riferimento, senza essere ripetitivo: l’album è (in)direttamente marchiato a fuoco col nome Danger Danger.

I primi singoli segnano subito il sentiero che ci “guiderà” verso questo terza uscita discografica. La simil Chevrolet Bel Air raffigurata in copertina, dopo aver sbandato al primo singolo “Hey Life”, dall’incipit che svia verso territori hard rock oriented e dove si apprezza il lavoro di Rob Marcello, va a schiantarsi letteralmente col botto intitolato “19 Summertime”, una vera hit che ci fa strappare capelli e anche patente automobilistica. Tutto infatti funziona alla meraviglia, versi, bridge e ritornello, come avrebbe funzionato in un album tipo “Screw it”; una chicca hair-metal degli anni’80 trasportata nei giorni nostri. “Go Big Or Go Home” è il terzo singolo, sempre carico e vivo come lo slogan che lancia; stesso discorso per “Nothing’s Gonna Stop Me Now”, posta a fine scaletta, con chitarra pompose e tastiere che si intersecano alla perfezione.

Due canzoni che ci rimandano ai Bon Jovi degli anni’80 sono “What Are We Waiting For” e “So good” mentre “Miracle” è una ballata onesta, senza accelerare mai fino in fondo, come le Ferrari viste negli ultimi anni, ma che ci regala un Paul Laine profondo, intenso ed in grande spolvero. L’altra ballata è “Another Time, Another Place” che parla di una storia d’amore finita come non doveva finire. “Love Doesn’t Live Here Anymore” ha chiare sfumature AOR con quel ritornello intenso e profuso di melodia, un mix tra una semi ballata e un mid tempo. La parte più modernista dell’album risiede in “Against the grain” con quella uscita, parlata dall’assolo che merita di essere ascolta e riascoltata. A chiusura di questo gran premio musicale, metto in pista una canzone da rush finale. “The night to remember” ossia il perfetto connubio tra una canzone AOR e una canzone rock condita da un ritornello che sfreccia a tutta velocità verso la bandiera a scacchi.

Boys From Heaven – The Descendant – Recensione

09 Giugno 2023 8 Commenti Samuele Mannini

genere: Pop Rock
anno: 2023
etichetta: TARGET RECORDS

Uno spettro si aggira per l’Europa (in particolar modo in Scandinavia) e oramai da diverso tempo… Ebbene si, è la nostalgia degli anni 80. Effettivamente per me, che gli anni 80 li ho vissuti nel pieno del loro ‘splendore’ musicale, tutta questa serie di imitazioni e reinterpretazioni, fatte con lo stampino ed in buona parte da chi negli anni ottanta forse nemmeno era nato, francamente non entusiasma granché. Anche perché in certi casi sembra di assistere a delle cinesate comprate su Wish. A forza di voler ricercare atmosfere non vissute, ma magari solo conosciute per sentito dire, ci vengono propinate delle versioni estremizzate e quasi caricaturali di una scena musicale che, a 40 anni di distanza, trovo francamente di difficile riproposizione.

Detto questo bisogna ammettere con onestà intellettuale che esistono eccezioni. Ecco, i Boys From Heaven, sono una di quelle più limpide che mi sia capitato di ascoltare. Il sound è perfettamente quello degli anni 80, non ci sono ne artefatti ne forzature,  è esattamente come se il disco fosse stato concepito in quegli anni e mai pubblicato prima. Semmai il problema è che di rock c’è veramente poco o nulla. Il disco si snoda infatti in otto canzoni che vanno a pescare nella più piena tradizione del pop a stelle e strisce, in alcuni tratti si va persino vicino alla disco music di quegli anni e tanto per estremizzare un po’, Lionel Ritchie non avrebbe affatto sfigurato in un paio di queste canzoni.

Chiarito il contesto, il disco nel suo ambito è praticamente impeccabile e basta premere play perché  l’opener Sailing On, dopo un’intro a la From The Fire, ci catapulti subito indietro nel tempo. Make It Right deve qualcosa ai Toto più pop anche se la sua struttura più nervosa contribuisce a renderlo variegato e gradevole. Il terzo brano Sarah, è un up tempo power pop vicino ad ambientazioni hi tech/aor che potrebbe essere tranquillamente estratto da Full Contact di Tim Feehan e non ho dubbi che, ai tempi, avrebbe potuto essere una potenziale hit. Da qui in avanti i riferimenti rock si fanno sempre più rarefatti, tanto che Endless Love è un pop elettronico e raffinato animato dalla voce nasale e quasi Afro di Chris Catton. Last Time è l’esempio di cui vi parlavo prima, un pop quasi dance pieno di ritmiche funkeggianti che servono da sfondo ad una melodia che non potrà fare a meno di farvi sculettare mentre schioccate le dita e rimpiangete i pantaloni a zampa di elefante… Circle si esalta sui vari inserti di sax mentre il pianoforte domina e detta la ritmica, mentre The Dream Is Gone recupera un po’ di assonanze Aoreggianti ed un ritornello veramente gradevole e cantabile. Chiude il soft rock di Too Far Gone, con una impressionante somiglianza con Steve Emm, altro alfiere delle atmosfere ottantiane di qualità ai nostri giorni.

Spero quindi di avervi chiarito l’ambito ed il contesto in cui si muovono i Boys From Heaven, che in questo ambito sono dei mostri assoluti. Se cercate hard rock girate al largo, ma se siete in cerca di nostalgiche emozioni made in Eighties ad ampio spettro intese, questo disco è un must have. Una nota per la produzione di Erik Martensson, che in questa veste, si dimostra raffinato ed attento a ricreare suoni ormai dispersi nel tempo.

Art Nation – Inception – Recensione

08 Giugno 2023 7 Commenti Paolo Paganini

genere: Melodic Rock
anno: 2023
etichetta: Frontiers

Tornano a tre anni di distanza dal precedente Transition gli svedesi Art Nation, band da annoverare ormai tra le migliori rappresentanti della scena hard rock nord europea insieme a H.E.A.T., Degreed, Creye e One Desire. Per l’occasione ricompare in formazione anche il chitarrista Christoffer Borg uno dei membri fondatori insieme al vocalist Alexander Strandell. Si parte subito in quarta con Brutal_Beautiful, un pezzo dai tratti heavy metal dotato di un ritornello esplosivo e che rappresenta in pieno lo stile dei quattro ragazzi di Göteborg.

Questa è l’impronta del gruppo e tutto il resto del disco si snoda attorno a tali sonorità senza avere mai alcun tipo di calo. Se pensate che questo genere non faccia per voi meglio non andare oltre; se invece deciderete di proseguire verrete ripagati da un lotto di brani adrenalinici ma al tempo stesso estremamente melodici. La trascinante Echo fa da prologo al pezzo più pop e ruffiano del lotto che vi farà letteralmente saltare già dal primissimo ascolto. Break Up è una vera e propria hit d’altri tempi con una batteria a doppia cassa ed un coro da cantare a squarciagola. The Legend Reborn più rallentata e dai toni epici ci mostra come gli Art Nation siano in grado di variare (anche se di poco) la propria proposta musicale. Somewhere I Know I Belong è un altro picco di questo album insieme alla seguente Superman di facilissima assimilazione. Powerless chiude alla grande un lavoro compatto e di grande qualità che sicuramente rimarrà tra le migliori uscite dell’anno.

Se siete fanatici dei gruppi sopra menzionati non potete assolutamente farvi scappare questa nuova proposta targata Frontiers Records.

Lace – On your way – Recensione

05 Giugno 2023 0 Commenti Denis Abello

genere: Melodic Hard Rock
anno: 2023
etichetta: Nadir Music

Un Ep di sei pezzi! Una voce, quella di Davide Merletto, in grado di caratterizzare ogni brano! Una moltitudine di ospiti di livello, Stefano Lionetti (Lionville), John Macaluso (Malmsteen, Symphony X), Roland Grapow (Helloween, Masterplan),   Alberto Bof (®Academy Award ®Grammy ®Bafta ®Golden Globe winning “A Star Is Born”),  Francesco La Rosa (Extrema) ed Andrea Torretta (Daedalus, Meganoidi)!

Mettiamo nel calderone anche sei brani curati e arrangiati che senza aggiungere nulla al genere lo impreziosiscono e supportano con classe ed eleganze. Ecco quindi che mescolati questi ingredienti ci troviamo tra le mani esattamente questo On Your Way, primo lavoro “esplorativo” a titolo Lace dietro il cui monicker si nasconde Davide Merletto, già conosciuto ai più per la sua militanza in Planethard e Daedalus.

Partiamo quindi con la titletrack On Your Way, un bel pezzo che si lancia su note di batteria e chitarra taglienti e sostenute per sfociare in un ritornello ultra catchy e melodico! Cavoli se la cosa funziona! Ancora una bella grinta messa in campo per la successiva My Lost Goodbye che mostra un tratto però più radiofonico rispetto al precedente brano anche se in parte ne ripercorre la formula… molto Lionville nello stile del ritornello!

Arriviamo quindi alla prima ballad (ne troveremo due, non poche per un EP di 6 pezzi… ah… ed è una cosa che apprezzo! 🙂 ). Suggestiva, arrangiata benissimo e con Merletto che giostra con maestria sulle note. Chitarra Funky / Rock sulle note della successiva I Give You My Word dall’emozionate ritornello. Ancora una volta si apprezzano gli arrangiamenti di livello.

Si chiude così il giro con la rilassata e suggestiva ballata Dancing Star per sigillare definitivamente questo EP sulle note della radiofonica  Lost in Your Hands!

Un antipasto di quello che speriamo possa essere presto un disco completo. Merita attenzione per la qualità generale del tutto. Bravo Davide!