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Def Leppard – Drastic Symphonies – Recensione

05 Giugno 2023 4 Commenti Paolo Paganini

genere: Hard Rock
anno: 2023
etichetta: Universal

Operazione intrattenimento in attesa di un nuovo album per il leggendario Leopardo Sordo che invece di far uscire l’ennesima inutile raccolta o live tenta la strada ormai già intrapresa da una miriade di altre band rock/metal di proporre in versione orchestrale alcune delle proprie canzoni che meglio si adattano a questo tipo di arrangiamento. Non troverete quindi tutti i pezzi migliori ma soltanto quelli che a loro insindacabile giudizio più si prestavano a questo tipo di versione. Complici di questa nuova avventura la Royal Philarmonic Orchestra di Londra e i mitici Abbey Road Studio’s. Che dire.. impresa riuscita a metà.

Il sound dei Leppard non può suonare che in versione elettrica, tuttalpiù acustica ma sentire brani come Animal senza la batteria di Allen sotto… beh sembra davvero strano. Diverso il discorso per pezzi “alternativi” della loro produzione come Turn Tu Dust o Paper Sun che invece ben si sposano in questa nuova veste. Hysteria si discosta poco dall’originale (e meno male) e anzi gli inserti di archi si addicono al suond etereo ed immortale del brano. Stesso discorso per la monumentale Gods Of War per niente snaturata. When Love & Hate Collide aveva già questo tipo di impostazione quindi risulta il pezzo meno stravolto del lotto. Non male la nuova Have You Even Needed Someone So Bad, peccato che sia riservata alla sola Japanese Edition.

In sintesi possiamo parlare di un album non certo fondamentale per i Def ma che non potrà mancare per chi come il sottoscritto possiede ogni uscita ufficiale, bootleg e rarità della band. Only for fan.

Circus Of Rock – Lost Behind The Mask – Recensione Breve

25 Maggio 2023 0 Commenti Francesco Donato

genere: Hard Rock
anno: 2023
etichetta: Frontiers

Arrivano alla seconda prova per Frontiers Records i Circus Of Rock, progetto portato avanti dal batterista Mirka Rantanen (King Company).
La formula non cambia rispetto al debutto di due anni fa, il buon Mirka si circonda di artisti di un certo calibro che si avvicendano per tutto lo svolgersi del disco. Rispetto al primo lavoro da segnalare fin da subito la costanza nel presentare brani ben suonati e ben arrangiati, forti della collaborazione di un cast di tutto rispetto dove tra i tanti spiccano certamente le prestazioni di Jeff Scott Soto, Mr. Lordi e Girish Pradan.
E’ proprio il vocalist dei Girish and the Chronicles ad aprire le danze con la tirata Alive And Kickin’, seguita a ruota dalla preziosa presenza di Soto che con Keep On Shining ci regala uno dei momenti più convincenti dell’album.

Come ribadito in precedenza, pur non avendo delle vere e proprie hits trainanti, i brani si fanno ascoltare e rendono in termini di piacevolezza, ma laddove è la maestria dei protagonisti ad alzare il livello, è la produzione eccessivamente “plasticosa” a far storcere un po’ il naso.

Tra le canzoni si segnalano anche la delicata All I Need con Pinja alla voce e il singolo apripista Is It Any Wonder interpretata da David Readman.

DeVicious – Code Red – Recensione

25 Maggio 2023 1 Commento Lorenzo Pietra

genere: AoR / Melodic Rock
anno: 2023
etichetta: Metalapolis Record / SPV

I DeVicious si confermano una macchina da dischi, quinto album in cinque anni per il gruppo tedesco che con questo Code Red propone un Aor mischiato al melodic rock più classico.
La band ha sostituito lo storico cantante Antonio Calanna, che ha lasciato il microfono all’ex TNT Baol Bardot Bulsara. I restanti membri rimangono Lars Nippa alla batteria, Denis Kunz alle tastiere, Radivoj Petrovic alla chitarra e il produttore e nonché bassista Alex Frey.

La proposta dei Devicious è un classico Aor contaminato da fiati e dotato di tastiere onnipresenti che forse lasciano poco spazio alla chitarra. Rispetto al precedente Black Heart troviamo un suono più classico e più radio friendly, togliendo qualcosa al lavoro finale almeno sotto l’aspetto della “novità” .

L’album parte forte con la doppietta Are You Ready For Love e Highway to the Stars, la prima con i cori accattivanti, il basso in primo piano e le tastiere che sovrastano, la seconda con i fiati le trombe guidati sempre dalle tastiere di Denis Kunz e l’ottimo ritornello che si stampa subito in testa. Da citare l’ottima prova vocale di Bulsara che sui registri alti da il meglio di se. Si continua conMadhouse col suo basso iniziale lento, per poi cambiare di tempo e sfociare in un ritornello trascinante, finalmente sentiamo un po’ di chitarra con l’assolo rock che da una spinta in più. Con Stuck In Paradise ci immergiamo nel rock melodico, intro super di chitarra riff perfetto e un’ondata di note ci portano al pezzo più riuscito e anche più rock dell’album. Le note del pianoforte aprono le danze a No More Tears, che dopo pochi secondi sfocia nell’AoR più classico, refrain da manuale, ritornello direi non proprio riuscito, anonimo e canzone che non “rimane”…. proprio da questo punto l’album tende ad appiattirsi, con buoni riff e bei giri di tastiere ma dove proprio le canzoni sembrano non funzionare. I cori di Raise Your Life, il bel riff di Not Anymore non riescono a salvare le canzoni dallo “skip” , ritroviamo qualche discreta idea su House Of Cards, dove il ritornello stavolta funziona, ma già da All My Life ritorniamo sul pezzo classico ma senza lasciare il segno. Walk From The Shadows inizia con un synth molto ottantiano ed esplode con un acuto di Bulsara ad una tonalità altissima. La canzone ha un bel refrain accattivante e un bel ritornello, Aor mischiato empre al rock melodico con le tastiere al massimo volume…. si chiude con una reinterpretazione del loro pezzo Penthouse Floor (dall’album Never Say Never del 2018) che a mio avviso perde totalmente la sua bellezza, ma devo ammettere che sui pezzi riarrangiati ho sempre avuto poco feeling….

IN CONCLUSIONE:
I DeVicious propongono un AoR classico, non inventano nulla ma regalano un’ora di buona musica, peccato per la seconda parte dell’album dove il songwriting zoppica un po’.

House Of Shakira – Xit – Recensione

23 Maggio 2023 1 Commento Alberto Rozza

genere: Hard Rock
anno: 2023
etichetta: Frontiers

In uscita il nuovo album degli svedesi House Of Shakira dal titolo “Xit”, per gli amanti del melodic rock canonico e delle sue atmosfere sognanti.

Si parte forte con “Something In The Water”, trascinante e corale, dal sound molto retrò, dalla trama perfettamente cesellata, dove ogni componente strumentale si incasella in modo congeniale. Passiamo alla successiva “No Silver Lining”, particolarmente solare e coinvolgente, dal suono cristallino, che sfocia nella ben più oscura e tonante “Toxic Train”, tagliente e acida, un salto decisamente più heavy. “Your Exit” mantiene queste sensazioni misteriose nella sua atmosfera generali, dando ottimi spunti musicali all’ascoltatore e attestandosi come un ottimo brano melodico. Pomposa e titanica, “Too Much Love” non stupisce per originalità e brillantezza, passando velocemente e senza grandi rimpianti, così come la seguente “The Messenger”, di scarso impatto sotto tutti i punti di vista. Si cambia totalmente attitudine con “Twisted Attitude”: ritmica serrata, sonorità letali, un piccolo gioiello imprevisto e gradito. “Nowhere Bound” impiega in modo interessante l’effettistica e i sintetizzatori, dimostrandosi almeno originale nell’intenzione e nella sonorità. Arriviamo a “Chimera”: sufficientemente aggressiva, non esce però dalla miriade di brani di genere e risulta nel complesso non molto soddisfacente. “Hell Or Heaven” ha il sapore del già sentito, malgrado l’encomiabile resa strumentale e vocale. Chiusura riservata alla title track “Xit”: questa intensa ballata, veramente gradevole e sentita, ci congeda dagli House Of Shakira e dal loro lavoro di studio, complessivamente ben registrato ed eseguito, leggermente monotematico a livello di intenzione e globalmente non molto originale.

Cry Of Dawn – Anthropocene – Recensione

18 Maggio 2023 1 Commento Yuri Picasso

genere: Aor
anno: 2023
etichetta: Frontiers

A distanza di 7 anni dal debutto torna sulla scena il progetto Cry of Dawn, disegnato attorno alla voce carismatica e autorevole di Goran Edman (Brazen Abbott, Glory, Malmsteen, John Norum tra gli altri). Se nell’opera prima il nostro fu coadiuvato da Micheal Palace e Daniel Flores, in questo capitolo a dirigere songwriting e strumenti (la totalità o quasi) vi è quel mostro sacro di Tommy Denander.  Grazie alla sua presenza in cabina di regia, già soltanto dopo un paio di ascolti ne possiamo apprezzare l’eccletticità, la policromia di quanto prodotto, che va oltre il classico AOR scandinavo, negli ultimi anni divenuto occasionalmente ripetitivo e stantio, marchiante il comunque valido disco d’esordio.

“Devils Highway” ricorda i Toto di Isolation e “Memory Lane” gli ultimi lavori a nome del compianto Fergie Frederiksen. AOR ad ampio respiro che si muove con disinvoltura tra le classiche partiture di tastiera tipiche del genere (“Swan Song of Our Love” è ancora Toto/The Seventh One era) a ritmi più movimentati (“Before You Grown Old” porta in dote con se qualcosa dei Signal). Non possono mancare ritmi cadenzati e sognanti; “Edge of Broken Heart” convince nel ricreare il romanticismo del soft rock tanto decantato in queste pagine e che, se scritto e suonato con cuore e cura (l’assolo di Denander è da brividi), non può che avvincere l’ascoltatore di turno. “End Of The World” mischia sapientemente una ritmica rock essenziale a una linea vocale sing-a-long aperta , ala Survivor, immediata ed ispirata. Anche gli episodi meno ficcanti e un poco freddi (“A Million Years of Freedom” non mi entusiasma per quanto voglia riproporre il sound degli Europe di Out of This World, la conclusiva “High And Love” è un semplice filler) valgono un ascolto tra le tonnellate di musica da cui siamo bombardati nell’era dello streaming.

Il tocco del mostro sacro Denander si sente e si apprezza, ben si completa all’ugola di Edman, incrementando il progetto con un titolo che entusiasmerà gli stakanovisti del rock melodico. Consigliato.

Stormburst – III – Recensione

18 Maggio 2023 0 Commenti Yuri Picasso

genere: Melodic Rock
anno: 2023
etichetta: Pride & Joy

Terzo capitolo discografico in arrivo per gli svedesi Stormburst. Le coordinate discografiche rimangono affini a territori cari al sound scandinavo del tempo che fu: Dalton, Da Vinci, qualcosa degli Europe, con un occhio di riguardo al guitar work sempre interessante, volto alla melodia e alla ricerca di armonie da incastrare con tappeti tastieristici sempre vigenti. Il Vs recensore ammette di non ricordare molto del secondo lavoro datato 2020, ‘Highway To Heaven’, ma di aver riascoltato pochi giorni fa con piacere l’esordio del 2017 ‘Raised on Rock’. I Pro di quel disco stavano nella ricerca di soluzioni catchy in grado di catturare l’ascoltatore nei momenti un poco più aggressivi, grazie ad un’abile perizia sostenuta da arrangiamenti accattivanti. I contro erano riconducibili ad alcuni passaggi che sostavano tra il melenso e il già sentito che mal vestivano le buone capacità esecutive del quintetto.

Dopo un paio di ascolti del qui presente ‘III’ (fantasia portami via) posso confermare i pro e i contro del debutto.
I Nostri risultano essere accattivanti quando alzano il tiro del brano sfiorando territori hard, come nell’opener “Get Up On Your Feet” o nella teutonica “When The Worlds Collide”. I fills di chitarra funzionali come i soli sono di discreta fattura e rendono interessante l’ascolto anche di brani di per se ordinari (“Higher Power”). Quando si toccano territori più morbidi, il quintetto di Dalarna suona prevedibile, un poco piatto, come nel caso della ballad “Lost In Paradise”. L’AOR sostenuto di “Rockin’ On The Radio“ (Treat ‘Dreamhunter’ era) è seguito da “Hold On”, menzionabile per il notevole lavoro strumentale e dall’ordinaria “Love That Rock’n Roll”.

Consiglio questo disco a coloro i quali sono alla ricerca continua del sound scandinavo di cui quasi tutto è stato scritto e sentito. Rimanendo un territorio artistico saturo per numero di uscite e di band che lo occupano, ciò non toglie che ‘III’ sia in grado di regalare momenti piacevoli .

Heavens Edge – Get It Right – Recensione

16 Maggio 2023 3 Commenti Giulio B.

genere: Melodic Hard Rock
anno: 2023
etichetta: Frontiers

Correva l’anno 1990 quando mi imbattei nell’acquisto dell’omonimo debut-album degli Heavens Edge; ho scritto volutamente il verbo “imbattersi” in quanto non avevo la minima idea del genere musicale che mi sarei trovato ad ascoltare ma, incredibile ma vero, fui colpito dalla bellissima foto-copertina in mezzo ad una fabbrica dismessa. Mi addentrai dunque in quella fabbrica, scusate, in quell’album e mi trovai spiazzato in quanto, quel class metal, al tempo, era stato da me sfiorato solo ascoltando i Dokken di “Back for the attack”. Subito non mi piacque, devoto come ero ai vari “Hysteria” o “Slippery when wet”, ma a forza di provare a riascoltarlo, negli anni, quell’album divenne una piccola, grande scoperta. Aveva, anzi, ha un suono ben distinguibile dalla massa, arricchito dalla presenza di tastiere che erano una chimera per il genere, con canzoni di alto livello come le potenti “Daddy little’s girl”, “Play Dirty”, “Skin To Skin”, la catchy “Find another way” o il fantastico lento “Hold On To Tonight”. Passarono poi ben otto anni, nel bel mezzo dello tsnunami “grunge”, per rivederli nella seconda uscita discografica che, francamente, non mi destò grande interesse, forse in quanto era meramente una raccolta.

Di anni dal 1998 ne sono passati altri venticinque e ora, nella terza sorprendente uscita discografica, cosa possiamo trovarci di fronte?
Troviamo, in primis, una band nel vero senso della parola, non costruita a tavolino, ma coesa e praticamente quasi intatta come nel 1990, tranne che per il compianto bassista George G.G. Guidott e troviamo sicuramente dei musicisti maturati e con carisma.
Ad inaugurare il come back, nel mese di marzo, è uscito il primo singolo “Had enough”, con quel basso pulsante che assapora molto di Skid Row post “Slave to the grind”, mentre i successivi due singoli sono iniettati di nuova linfa aoreggiante che ci trova parzialmente ma piacevolmente spiazzati; “What Could’ve Been” è un lento raffinato con un ritornello sopraffino mentre “When The Lights Go Down” è un’altra semi ballad che tocca le corde care agli Extreme.

Le canzoni che conquistano la vetta del podio di gradimento sono “Gone, gone, gone” dalla struttura incisiva, “Nothing Left But Goodbye” con chiari richiami ai Tangier dell’album “Stranded” mixati con i Cinderella e la stradaiola “9 Lives”.
Ricollegandomi infine alla mia premessa, nel 2023, se dovessi azzardare l’acquisto di questo “Geti it right” non lo farei certo per la copertina che risulta quanto meno bruttina, ma bensì per un ritorno inaspettato che mi ha fatto idealmente tornare a tanti anni fa. L’album è la rappresentazione di ciò che oggi sono gli Heavens Edge in chiave moderna ma con un occhio rivolto alla matrice del 1990. Piaccia o meno, per me, è un pollice in su.

Nighthawk – Prowler – Recensione

11 Maggio 2023 2 Commenti Vittorio Mortara

genere: Hard Rock/AOR
anno: 2023
etichetta: mighty music

Ad un anno dall’uscita dell’esordio “Midnight hunter”, Robert Majd, ascia di Captain Black Beard, Metalite e Fans Of The Dark, da alle stampe questo nuovo lavoro avvalendosi della collaborazione in pianta stabile del volatore notturno Björn Strid alla voce e nelle composizioni. E l’impronta tardo settantiana unitamente all’attitudine al divertimento del cantante svedese si sente parecchio. Il disco si pone come una sorta di The Night Flight Orchestra  con un pizzico di Fans Of The Dark, decisamente meno variegata. D’altronde le intenzioni dichiarate dai ragazzi erano quelle di creare una sorta di colonna sonora ideale per i divertimenti del weekend… E per dimostrare che non scherzano hanno affittato nientepopodimeno che gli Abbey Road Studios, scritturato un paio di compagni delle rispettive band per completare la formazione e registrato l’intero album in appena due giorni. Te credo! Con quello che costano gli Abbey Road!

L’iniziale “Highest score” mette subito sul piatto tutto il suo flavour tardo settanti ano, ad un ritmo piuttosto sostenuto. Ma è la seguente “Running wild” che gioca le carte migliori dell’album: facilmente memorizzabile e sorniona, aderisce immediatamente al sistema limbico generando gradevoli sensazioni. Si torna a correre con “Action”, zeppa di hammond e poco attraente per il sottoscritto. Meglio “Fire still burns”, grazie a cori perfettamente orchestrati. Tempo di cogliere reminiscenze dei primi Loverboy su “Free your mind” che arrivano due interessanti cover: “God of thunder” resa in modo assai fedele all’originale, compreso lo scimmiottamento della voce di Gene Simmons da parte di Strid, e l’omaggio al boss “Cover me” energizzata a dovere. In mezzo troviamo “Strike like lighting, altro up tempo old fashioned un poco anonimo. “Burn the night” suona parecchio Fans Of The Dark, “Playing the game” paga un alto tributo ai Foreigner dei primi tre album e “See you again” è uno slow poco canonico ed un tantino noioso.

Concludendo, direi che l’album lascia un po’ il tempo che trova. Non è frizzante come un qualsiasi platter dell’Orchestra né “originalmente vecchio” come una produzione dei Fans. A parte il singolo “Running wild”, non ci sono brani particolarmente trascinanti. Sufficienza abbondante ed attendiamo il nuovo The Night Flight Orchestra con trepidazione…

Czakan – Unreal – Recensione

09 Maggio 2023 1 Commento Alberto Rozza

genere: Hard Rock
anno: 2023
etichetta: Pride & Joy

Tornano alla riscossa per un 2023 veramente molto intenso i veterani Czakan, compagine hard rock tedesca dalla grandissima fama e dal sound incredibilmente autentico.

“Free Line” non smentisce le attese: riff decisi e brillanti, voce penetrante e una ritmica martellante ammaliano l’ascoltare sin dal primo secondo. La successiva “Getting Hungry” si presenta come un brano canonico ma dalla grandissima intensità, un concentrato suadente di energia e convinzione. Gradevolissima arriva “Breaking All The Rules”, non particolarmente coinvolgente, ma ugualmente carica di emotività. “Living In A Nightmare” è un pezzo compatto e scandito da una ritmica quadrata, ottimo nella sua spietata semplicità, musicalmente molto corale. Passa lieta e veloce “Get Down”, molto gioiosa e frivola, che si getta nella successiva “Burns Like A Fire”, marziale e crudele nella sua trama oscura. “Under The Gun” prosegue sull’onda stilistica dell’album e della band, mantenendosi su livelli qualitativi molto alti: da segnalarsi la buonissima prova vocale. “City Nights” è il classico pezzone hard rock da strada: coinvolgente, arioso e ritmicamente drammatico, un estratto genuino direttamente dallo stile anni ‘80. Insolita per intenzione, troviamo “Masquerade”, breve e intensa traccia movimentata e rockeggiante al punto giusto. Con “She Is A Woman” entriamo in atmosfere più cupe, dal sapore misterioso e ombroso, al contrario della solare “Winners Don’t Cry”, ottima per verve ed esecuzione globale. Non c’è tregua: “My Sweet Love” è un altro pezzo molto canonico, non particolarmente eccitante o innovativo, ma nella sua totalità godibile e gradevole. Forse la scelta di inserire un numero così elevato di tracce può risultare rischioso: “Locked In A Cage” non aggiunge né toglie nulla al valore del lavoro. Arriviamo alla conclusione sulle poderose note di “Show Me All Your Love”, cavalcata finale per un album interessante, sempre tirato e potente, che a tratti pecca di freschezza, ma che complessivamente risulta tosto e ben eseguito.

Michael Thompson Band – The Love Goes On – Recensione

07 Maggio 2023 11 Commenti Iacopo Mezzano

genere: AOR / Westcoast
anno: 2023
etichetta: Frontiers Music

Come se fosse fuoriuscito da una capsula del tempo nascosta sotto terra dalla fine degli anni ’80 ad oggi, The Love Goes On riporta la Michael Thompson Band direttamente a quel glorioso 1989 che la aveva vista pubblicare How Long, nientemeno che uno dei più bei album della storia del genere AOR.

Complice certamente il ritorno in formazione del cantante originale Moon Calhoun, il clima di questo disco appare infatti incredibilmente inalterato rispetto a quello del lontano debutto, e la lacrimuccia che righerà il nostro viso sarà figlia di una gioia pura, frutto di nostalgie ormai date per sepolte, che cresceranno libere nota dopo nota, canzone dopo canzone di questa spettacolare release.

Scusate il mio trionfalismo immediato, apparentemente eccessivo, ma la bellezza di quest’opera è un fatto reale e difficilmente opinabile. Ascoltate il conubio perfetto tra l’ugola magnifica e intatta di Calhoun e il già confermato genio compositivo e tecnico musicale di Michael Thompson (uniti al fondamentale apporto dato dal tocco del bassista Tom Croucier e dal battito sulle pelli precisissimo e di gran groove di Annas Aliaf) e ditemi davvero che questo non suona come quanto di meglio abbiamo ascoltato negli ultimi anni di produzioni AOR. Fatelo!
E i suoni in studio, di livello altissimo per dinamismo e temperatura di ascolto, come non possono anch’essi contribuire a rendere questo album una vetta e mai una radura?! E la tracklist?! Eccellente, che non presenta neppure la virgola di una canzone riempitiva nonostante l’azzardo di voler figurare quell’ora complessiva di durata che potrebbe sembrare (ma non è affatto!) decisamente abbondante.. E allora dai, diciamolo liberamente: The Love Goes On è un C-A-P-O-L-A-V-O-R-O, fatto e finito. Punto.
continua