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The Struts – Pretty Vicious – Recensione

13 Dicembre 2023 5 Commenti Francesco Donato

genere: Rock
anno: 2023
etichetta: Universal

A tre anni di distanza dal precedente “Strange Days” i britannici The Struts tornano a farci battere il piedino con un nuovo album.
Di fatto questo “Pretty Viciuos” è il quarto lavoro in studio per la band di Luke Spiller e Adam Slack, un lavoro maturo e concepito con perizia che si colloca ai fasti dell’ottimo esordio “Everybody Wants”.
Se la ricerca di melodie ben congegnate volte a togliere la polvere da quel rock di matrice britannica che lentamente andava scomparendo è stata sempre una prerogativa dei The Struts, in questo ultimo lavoro questo attaccamento alle loro origini musicali si manifesta con incondizionata devozione, senza mai sembrare eccessivamente derivativo.

Si parte con la briosa “Too Good At Raising Hell”, pezzo divertente e ballabile che si presenta come un onesto bigliettino da visita della band.
“Pretty Vicious” è certamente una delle prove più riuscite dell’album, con il suo fascino quasi radiofonico e la sua semi incursione nel pop rock tipico di band come i primi Kent.
Ma è la terza traccia “I Won’t Run” che per quanto mi riguarda si conquista gran parte delle attenzioni di questo lavoro.
Insomma, bello carico nel refrain, divertente, melodico: Difficile che il pezzo non vi si inchiodi in testa già al secondo ascolto.
Altra prova superba è “Hands On Me”, pezzo che parte con il piglio delle più delicate pop ballad per poi crescere velocemente in intensità.
Per chi ama i The Struts più rocknrolleggianti arriva “Do What You Want” dalla chiara matrice rollingstoniana, mentre la successiva “Rockstar” affonda con entrambi i piedi tra punk e Slade.
“Remember The Name” è un altro pezzo sporco e vizioso che ci riporta indietro alle sessioni di Beggars Banquet degli Stones.
I toni si fanno lenti e caldi su “Bad Decisions” altra prova di classe del quartetto inglese.
Si parla ancora la lingua degli Stones su “Better Love” e sulla splendida “Gimme Some Blood”, pezzi comunque resi freschi dall’interpretazione vocale di Luke.
Chiude l’album la superba dolcezza di “Somebody Someday”.

Un album, che a parer mio,  si piazza con classe e di diritto tra le migliori uscite di quest’anno.

Bad Touch – Bittersweet Satisfaction – Recensione

12 Dicembre 2023 1 Commento Samuele Mannini

genere: Hard Rock
anno: 2023
etichetta: MARSHALL RECORDS

Ed anche quest’anno Dicembre mi porta la consueta sorpresa di fine anno destinata ad entrare nella mia personalissima Top Ten. Io sinceramente questi Bad Touch non li conoscevo per niente (eppure sono già al quinto album in studio più un ep) , ma già il fatto di essere inglesi depone per me a loro favore. Appena ascoltate due tracce del promo, ho deciso immediatamente di accaparrarmi la recensione. L’hard rock blueseggiante che i Bad Touch propongono è infatti molto nelle mie corde e dopo essermi occupato dei Vandemberg ed avendo ascoltato con piacere anche i Blindstone, mi è sembrato giusto proseguire con questo mood sonoro.

Devo dire che il titolo del disco è ampiamente profetico, il contrasto tra il dolce ed amaro è infatti una buona sintesi del loro sound. Radici ben piantate nei seventies e nello spirito hard blues, con rimandi ai Led Zeppelin, ma anche al serpente bianco più settantiano e viscerale con, perché no, rimandi anche al sound dei Quireboys d’annata. Quello che però stupisce di più è l’energia e la freschezza delle esecuzioni che ricorda una band moderna e molto in voga quale i Dirty Honey e sono sicuro che un loro live possa essere una grande esperienza.

Già l’opener Slip Away, martellante ed acida con echi di Spiritual Beggars segna la via, mentre la seguente This life è più canonica e simil Ac/Dc. Il contrasto continua col pop rock moderno e quasi teen oriented di Spend My Days e l’anthemica e ‘sculettante’ title track. Altri brani di assoluto livello sono: la classic rock Nothing Wrong With That, la pimpante e funkeggiante Taste This e la ballad Come Back Again.

Spero di avervi incuriosito e che vi venga dunque la voglia di assaggiare questo contrasto di sapori Dolce/Amaro che potrà intrattenervi con classe e leggerezza per lungo tempo senza mai annoiare. Per quanto mi riguarda, ho già scelto il mio autoregalo di Natale.

ZeroK – Killing Our Past -Recensione

11 Dicembre 2023 0 Commenti Giorgio Barbieri

genere: Rock
anno: 2023
etichetta: Self Released

Gli ZeroK sono un gruppo bolognese formatosi nel 2018 quando la cantante Marika Vitelli, il chitarrista Giulio De Gaetano e il batterista Ivan Mazzoni si sono incontrati e hanno deciso di scrivere dei pezzi loro , dopo aver trascorso un fisiologico periodo ad eseguire covers, così sono arrivati ad assemblare ben quattordici canzoni che poi sono quelle finite su questo ‘Killing our past’; il gruppo è stato poi completato dal tastierista Danilo Ribichini e dal bassista Claudio Prandin, anche se l’album è stato registrato dai tre componenti iniziali, laddove Giulio si è occupato, oltre che delle chitarre, anche di basso e tastiere.

Come dice la stessa band, i testi sono ispirati da scrittori contemporanei tipo Philip Roth e Don DeLillo, segnatamente quest’ultimo ha dato anche il là per il nome del gruppo stesso, ‘ZeroK’ è infatti il titolo del romanzo di DeLillo, pubblicato nel 2016 e che ho avuto la fortuna di leggere, dato il tema molto interessante della criogenesi e della ipotetica conservazione della coscienza dopo l’applicazione di questa pseudotecnica, ma non sto qui a tediarvi con tutta la trama del romanzo che invece vi invito a leggere, anche perché qui dobbiamo parlare di musica e, vi avviso subito in ‘Killing our past’ non troverete una stilla di quella che viene trattata principalmente su questa pagina, per cui chi vive solo di aor, di hard melodico o chi pensa che il mondo sia finito il 31 Dicembre 1989, può tranquillamente saltare questa recensione a piè pari, perché gli ZeroK trattano una materia molto più vicina a certo rock novantiano che sviscera la materia melodica sotto un aspetto diverso, con quella malinconia di fondo che è ispirata da argomenti più cupi, ma dimenticatevi il temuto (non da me) Seattle sound, piuttosto il riferimento è più centrato se si parla del cosiddetto rock italiano, quello di Timoria, Karma, primi Negrita e non per nulla il mio pezzo preferito è la conclusiva “Ioxme” o se si va all’estero, mi vengono in mente Collective Soul e Live.

Fino al terzo pezzo non si assiste a particolari scossoni in un sound piuttosto lineare e omogeneo, nel quale anche la voce di Marika, una sorta di versione femminile di Edda dei Ritmo Tribale, tanto per rimanere in tema, resta su un profilo basso, ma dalla semiacustica “Road to nowhere” il tiro si alza e la varietà si fa interessante, certo, niente che faccia gridare al miracolo, ma ricordatevi che la band si autoproduce e apparentemente non ha profili social, per cui bisogna tener conto della scelta di tenere questo profilo basso, poi che abbiano ragione loro o meno, non sta a me dirlo, io al limite posso consigliare a loro di aprire almeno una pagine di un qualsiasi social, se voglio no raggiungere un pubblico più ampio.

Dal punto di vista musicale i ragazzi non si abbandonano a virtuosismi di sorta, anche perché non ce n’è bisogno, ma è degna di nota la prova di Giulio, poliedrico polistrumentista che usa le chitarre, sia elettriche che acustiche, in modo abbastanza fantasioso, dal punto di vista della produzione siamo a livelli molto scarni e purtroppo il suono della chitarra elettrica è decisamente amatoriale, ma ricordiamoci sempre del discorso di cui sopra e del fatto che questo è il primo album e che quindi gli ZeroK hanno tutto il tempo per rimediare a questi inconvenienti, cosa che si potrà fare, eventualmente, con l’appoggio di un produttore e di un’etichetta, perché le idee ci sono.

Cassidy Paris – New Sensation – Recensione

06 Dicembre 2023 4 Commenti Vittorio Mortara

genere: AOR
anno: 2023
etichetta: Frontiers

Diverse sono state, ultimamente, le uscite di band capitanate da esponenti del gentil sesso, spesso ispirate a colleghe dal glorioso passato. Ricordo con piacere, ad esempio, l’esordio un anno fa dei tedeschi Violet, squisitamente retrò, impreziositi dalla wilsoniana voce della appena maggiorenne Jamie Beckham. Senza parlare delle gesta della ormai celebre Chez Kane. Ed oggi siamo qui a disquisire sul debutto dell’australiana Cassidy Paris. Coadiuvata da un manipolo di musicisti, fra i quali l’onnipresente Del Vecchio, e sponsorizzata da mr. Paul Laine (che canticchia anche nei cori), la ventenne cangurina è stata messa sotto contratto dalla (solita) Frontiers e portata a questo esordio discografico.

Che, diciamolo subito, non è niente di esaltante. Anzi… Cominciamo parlando di un songwriting banalotto, al limite dello scontato, come si può evincere già dal singolo “Danger” e dalla noiosissima seconda traccia “R’N’R hearts”. Vengono scimmiottate le Vixen del primo e secondo disco, senza la freschezza e l’incisività che caratterizzava le quattro ragazze americane. Sbadigli a non finire sul lento “Here I am”. Forse è proprio la voce piuttosto monocorde di Cassidy che non riesce a dare forza ed espressività ai pezzi. Qualche spunto positivo si trova in “Walking on fire” che ha un retrogusto tanto Romeo’s Daughter. Raggiungono appena la sufficienza anche le pop rock/pop punk “On the bright side” e “Song for a broken hearted”. “Searching for a hero” ha una linea vocale trita e ritrita. “Like I never loved you” è un pelo più hard della media ma non riesce a decollare. “Stand” gioca la carta modernista e, a tratti, risulta piacevole. Carino, invece, il rock’n’roll in your face di “Addicted” che fa da preludio alla tastierosa “Midnight desire” che, cantata con una voce diversa, forse avrebbe potuto chiudere col botto.

Insomma, poco da dire su quest’album. Poca personalità, poche buone idee, produzione così così… Sicuramente non andrà a rivoluzionare le top ten di fine anno di nessuno. Se volete sapere come si compone e si suona un pezzo che spacca con voce femminile ascoltatevi “Red” delle nuove Vixen.

Fifth Note – Here We Are – Recensione

06 Dicembre 2023 0 Commenti Alberto Rozza

genere: Hard Rock
anno: 2023
etichetta: Frontiers

Il mondo dell’hard rock è veramente sconfinato: dall’India in arrivo l’album di debutto dei Fifth Note, progetto targato Frontiers dal sapore interessante ed esotico.

Apriamo le danze con “Rider”: il classico brano che non ti aspetti, dalla ritmica travolgente, dalla voce acida e tagliente, perfetto per rompere il ghiaccio e introdurci nell’universo dei Fifth Note. Archi maestosi ci introducono nella suadente “Always With You”, sempre impeccabile a livello di suoni e dagli spunti strumentali molto interessanti, nonostante alcuni passaggi armonici “consueti”. “Dreamer” torna a carburare, nel classico stile hard rock blueseggiante, capace di dare il giusto spazio alla tecnica individuale dei componenti della band. Le atmosfere si incupiscono: “Fantasy” si fa introspettiva, oscura e ritmicamente martellante, svelando nuove sfaccettature dello stile del quintetto indiano. “I Won’t Give Up” entra nella pletora delle power ballads in stile anni ‘80, intensa, caldissima e coinvolgente, senza stupire né deludere nel suo complesso. Arriviamo alla potentissima title track “Here We Are”, vero e proprio manifesto dello stile dei Fifth Note, ovvero ritmiche serrate e corpose, capacità individuali tecniche notevoli e una pasta musicale complessivamente molto convincente. “Misfortune” presenta sonorità e ambienti molto contemporanei, uscendo dagli schemi canonici dell’hard rock, per sfociare su qualcosa di maggiormente heavy, sempre mantenendo altra la qualità e l’interesse verso l’ascoltatore, alla stessa maniera della corposissima e sfaccetatissima “Falling Apart”, che a tratti attinge pienamente dal panorama prog. “Confused Trauma” ci riporta su orizzonti malinconici, sempre intervallati da ritmiche potentissime e concettualmente ben pensate, non banali e che nel complesso stanno insieme veramente bene, facendoci andare con la memoria (e con le dovute distanze) a qualcosa di vicino ai Dream Theater. Voce e piano per la dolcissima “Drifted”, convincete e scalda – cuori. Arriviamo, dopo aver ascoltato “End Time’s” e il suo riff scellerato e tagliente, alla conclusione di questo lavoro: a livello compositivo ci troviamo davanti a qualcosa di molto interessante, capace di mischiare in modo eccellente varie correnti del mondo rock/metal; a livello esecutivo la resa complessiva è mastodontica, vocalmente acutissimo, ritmicamente compatto e virtuoso il giusto a livello solista; la soddisfazione è tanta e inaspettata, ora sarà interessante vedere se la resa dal vivo corrisponderà a quella su disco.

Silent Tiger – Twist Of Fate – Recensione

05 Dicembre 2023 0 Commenti Giulio B.

genere: Melodic Rock
anno: 2023
etichetta: pride & joy

I Silent Tinger nascono nel 2018 dal chitarrista Jean Funes e dal batterista Joel Mejia dell’Honduras, e l’aggiunta del cantante David Cagle (USA), con il desiderio di creare musica hard rock melodica con influenze come Europe, Bon Jovi, RATT, Survivor e Scorpions.

Il trio d’oltre oceano ritorna dunque con la seconda release, “Twist Of Fate”, che presenta un sound melodico, con l’aiuto del potente mix di Mats Ericsson (Degreed) e delle tastiere atmosferiche di Mikael Blanc (Degreed), sempre con il bassista Andreas Passmark come ospite. Nulla di diverso dall’esordio discografico del 2020, intitolato “Ready for attack”, sia per l’artwork, che cambia solo di “stagione” visiva, e sia perché il singolo “Chasing the wind” assomiglia, nell’innesco al ritornello, a “Twist of fate”, title-track del nuovo album. Già con le presenti premesse, non parto con grandi aspettative verso la nuova release. Effettivamente l’album, seppure condito da qualche idea strumentale interessante, non sfocia mai in canzoni su cui poi soffermarsi a lungo. I ritornelli ricordano o provano a ricordare qualcosa, ma fanno fatica a decollare (nel primo album, che preferisco, ho apprezzato la canzone “Dream come true”.). Una delle migliori canzoni del lotto è il singolo “Another Destination”, corredata da un buon video. Sul resto lascio a voi i commenti.

Overland – S.I.X. – Recensione

05 Dicembre 2023 9 Commenti Paolo Paganini

genere: Aor
anno: 2023
etichetta: Escape

Com’è facile intuire dal titolo questo disco rappresenta il sesto capitolo della storia degli Overland band fondata dal cantante Steve Overland più conosciuto per essere il singer dei britannici FM. Tra i tanti progetti paralleli del buon Steve questo sembra il combo più credibile sia per continuità che per qualità delle uscite. Non fa eccezione questo S.I.X. che grazie alla splendida amalgama creata tre i musicisti, le ottime composizioni proposte ed un produzione di notevole livello ci delizia con una dozzina di ottimi brani di puro AOR magistralmente interpretate dall’inossidabile cantante inglese. Dopo la rockeggiante One Touch in cui si svela il lato più graffiante della band si passa alla spensierata Disconnected che grazie al suo accattivante ritornello si assimila fin dal primo ascolto. Si torna a pestare sull’acceleratore e Togheter Alone sembra il perfetto compromesso tra chitarre robuste e melodia anni 80. I Toto fanno capolino tra le note di How Does It Feel mentre con il singolo I Hear Your Voice torniamo sulle coordinate degli FM di Tough It Out. Last Breath è il pezzo più duro dell’album seguito quasi per controbilanciare la situazione dalla power ballad Really Makes You Wonder su cui la voce di Overland va letteralmente a nozze. Station To Station è bypassabile mentre la seguente Things Will Never Be The Same acquista valore solo grazie ad una prestazione magnifica di Steve in quanto di per se il brano non è certo una delle migliori ballate mai scritte.

Manca un pizzico di personalità nella parte finale del cd e a conti fatti forse un paio di tracce potevano anche essere eliminate. S.I.X. rimane comunque un album dego di nota che sfrutta al massimo le potenzialità dei musicisti coinvolti e che potrebbe facilmente finire della top ten delle uscite di questo 2023.

Revlin Project – Beyond The Dreams – Recensione

16 Novembre 2023 1 Commento Alberto Rozza

genere: Melodic Hard Rock
anno: 2023
etichetta: Lions Pride

Un’ altra uscita sudamericana, stavolta per Lions Pride Music: ecco i peruviani Revlin Project, capitanati dal poliedrico Nilver Perez, che propongono un rock melodico/AOR di stampo molto statunitense.

Partiamo con “Harder, Faster”, molto canonica ma comunque di grande impatto, soprattutto nella verve del ritornello e nell’uso dell’effettistica. Passiamo a “Fighters, Dreamers!”, intensa e contemplativa, classica cavalcata dalla voce poderosa, che sfocia in “World Beyond Your Eyes”, che non si discosta molto, anzi, si mantiene sulla stessa lunghezza d’onda, dove risaltano ottimi fraseggi chitarristici. Ci addolciamo con “Where Are You Now”, che come da tradizione ci porta nel genere lentone: stilemi ben conosciuti, intenzione molto ben definita, per un pezzo classico della cultura hard rock. “From This Moment On” presenta suoni non propriamente coinvolgenti, come del resto il brano, che si presenta un po’ scarico e non proprio originale. Saliamo lievemente di intensità con “Led By Love”, dal ritornello particolare, dall’ottimo intreccio vocale, che non supera di molto la media qualitativa del lavoro. Grande messaggio con “The Poor Of The Earth Unite”, grintosa e quadrata, non brilla nel suo complesso, e si dirige velocemente verso la successiva “Doubts”, tagliente e martellante, ma che non esce dallo schema classico del genere. Elementi elettronici ci introducono in nella title track “Beyond The Dreams”, spaziale ed eterea, curata e fresca, una sorpresa all’interno di questo album non proprio sorprendente. Concluso l’ascolto della sdolcinata “This Love”, tiriamo le somme su questo lavoro, che certamente pecca talvolta di originalità ed in alcuni casi nella cura dei suoni: ma si sa, i dettagli fanno la differenza ed in questo caso si poteva probabilmente fare qualcosa di meglio per confezionare il prodotto.

Care Of Night – Reconnected – Recensione

16 Novembre 2023 3 Commenti Giulio B.

genere: Melodic Rock
anno: 2023
etichetta: Frontiers

Sono già passati ben cinque anni dal precedente “Love equals war”, album che seguiva l’eccellente esordio del 2015 intitolato “Connected” a cui, oggi, i Care of Night idealmente si “Re-collegano”, dopo un periodo di fermo produttivo.
Passata da Aor Heaven a Frontiers Music, la band svedese continua ad offrire un rock melodico tipico degli Eighties con un piglio moderno e un tocco leggermente prog.
Si parte correndo con “Street runner”, primo singolo rilasciato dall’etichetta partenopea, seguito a brevissima distanza dalla seconda traccia e singolo “Tonight”; entrambi ripercorrono le strade che hanno già cavalcato nelle precedenti uscite discografiche, ricche di melodie ficcanti e tastiere in primissimo piano. A mia personale opinione, ci sono alcune canzoni che sarebbero state più idonee per la palma di singolo apripista; in tal senso io avrei optato per la pomposa “Stay with me”, infarcita di keys sino al midollo e da un suggestivo outro corale, la briosa “Melanie” o la strutturata “End of a chapter”, meno convenzionale rispetto alle prime due tracce.
Le vere perle di questa nuova uscita discografica sono i lenti in cui Calle Schönberg trova le perfette coordinate di navigazione canora.
“Half of my heart”, “No One Saves The World Alone”, “Wrong” e “You´ve Been Right Here All Along” sono canzoni in cui la voce di Calle trova la sua comfort zone ideale. La prima preferita è “Half of my heart”, una power ballad dagli intarsi compositivi che svariano dai lenti vocalizzi inziali alle parti marziali presenti del bridge e che sfociano in una coralità da brividi. Più composta nel format, ma sempre suggestiva, la seconda traccia elencata, mentre “Wrong”, dopo un intro di tastiere, ha un piglio più carico; conclude il lotto l’ultima canzone in scaletta che torna a fluire in maniera più delicata ma con un inaspettato, e crescente, finale strumentale.
“Caught feelings” scorre leggiadra come “Follow through”, le più convenzionali nello stile della band svedese.
“Reconnected” è un album di ripartenza e di ricollegamento con alcune grandi canzoni che ci hanno consegnato i Care of Night in passato. Non arriva ai livelli compositivi del suo quasi omonimo debutto, ma ci consegna comunque un lavoro di qualità.

DGM – Life – Recensione

15 Novembre 2023 2 Commenti Paolo Paganini

genere: Progressive Rock
anno: 2023
etichetta: Frontiers Music Srl

Undicesimo album in studio per i veterani DGM una delle più brillanti realtà in campo progressive non solo italiano ma anche internazionale. Il gruppo nato nel lontano 1994 come trio strumentale composto da Diego Reali alla chitarra, Maurizio Pariotti alle tastiere e Gianfranco Tassella alla batteria (da qui il nome DGM ossia le iniziali dei tre componenti) giunge oggi attraverso una miriade di cambi di formazione a quella che è l’attuale line up con Marco Basile alla voce e Simone Mularoni alle chitarre. Dichiara la band come Life rappresenti appieno il loro stato d’animo attuale maturato attraverso le esperienze vissute negli ultimi anni. Il risultato sono queste dieci tracce di puro godimento per gli appassionati del genere.

Per capire meglio la proposta dei DGM immaginate di mettete insieme una cascata di chitarre, una batteria potente e precisa, un tappeto di tastiere, una voce perfetta ed un lotto di composizioni che già al primo ascolto fanno breccia nell’ascoltatore, amalgamate il tutto con una produzione scintillante ed avrete confezionato uno dei migliori album di prog rock (e non solo!) dell’ultimo decennio. In questo disco tutto gira alla perfezione e lo splendido artwork curato da Travis Smith (Opeth, Devin Townsend, Nevermore) rappresenta la classica ciliegina sulla torta. Si parte subito con un brano da 10 e lode come Unravel The Sorrow (non a caso scelto come primo estratto) in cui alla magistrale tecnica dei musicisti si unisce un’innata vocazione per melodie accattivanti e di grande apertura che ci accompagnerà lungo l’intero cd senza abbandonarci mai. Le dirompenti To The Core e The Calling con la sezione ritmica composta da Andrea Arcangeli al basso e Fabio Costantino alla batteria in grande evidenza, ci rivelano il lato più duro del combo italiano mentre la granitica Second Chance torna a puntare su cori stellari di grande effetto. Find Your Way ammicca ai Dream Theater di Images & Words mentre Dominate si rifà ad un certo hard rock contemporaneo. La strumentale Eve introduce al gran finale in cui svetta la conclusiva Neuromancer (menzione speciale per l’onnipresente Emanuele Casali alle tastiere) che grazie alla propria atmosfera dark ci fa conoscere l’ennesima sfaccettatura di questo stupendo lavoro, capace di avvicinare anche i melomani più intransigenti ad un genere così complesso come il prog rock.