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Journey – Eclipse – Recensione

22 Giugno 2011 8 Commenti Andrea Vizzari

genere: AOR
anno: 2011
etichetta: Frontiers Music

A 3 anni di distanza dal precedente Revelation i Journey si apprestano a inaugurare questo 2011 con Eclipse, nuovo album che ci mostra innanzitutto una band in stato di grazia compositiva nonostante alla fine il risultato non sia proprio quello aspettato. Prodotto da Kevin Shirley (reduce da un deludente lavoro con i Mr.Big) la formazione di questo Eclipse è sempre la stessa e vede Neal Schon alle chitarre (il plurale questa volta è d’obbligo), Jonathan Cain alle tastiere, Ross Valory al basso, Deen Castronovo alla batteria e Arnel Pineda al microfono, ormai perfettamente integrato nella band. Forte di un affinità sempre maggiore col resto del gruppo, il filippino risulta alla fine essere la punta di diamante di questo Eclipse, album a tratti oscuro e pieno di mille sfaccettature quasi anomale per il solito stile Journey. Ebbene si, proprio oscuro, credo che sia l’aggettivo più indicato per descrivere quanto creato da Schon & Cain, che per questo disco hanno pensato bene di abbandonare in linea generale le melodie ariose e gioiose tipiche della loro musica per far spazio ad un enorme lavoro di chitarre, mai così dirette, aggressive e potenti senza quei ritornelli commerciali da stadio. Se da un lato al primo ascolto questo potrà sorprendere e non poco i vecchi fan della band, dall’altro riesce sicuramente a valorizzare meglio il concept sulla vita e sull’esistenza che fa da sfondo a questo disco con canzoni che spesso superano i 6 minuti di durata. A tutti i fan del Neal Schon di “Late Nite” o “Beyond the Horizon”: l’ascolto di Eclipse potrebbe causarvi seri danni in quanto mai come in questo album il chitarrista losangelino sfodera riff serrati e assoli al fulmicotone, aiutato molto spesso da Jonathan Cain sempre più presente come chitarrista ritmico piuttosto che come pianista/tastierista. Ascoltatori avvisati…

Riuscirà l’eclisse a superare la rivelazione? Scopriamolo insieme…
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Magnum – The Visitation – Recensione

20 Giugno 2011 0 Commenti Iacopo Mezzano

genere: Melodic Rock / Pomp Rock
anno: 2011
etichetta: SPV / Steamhammer

Come si fa a continuare a sfornare dischi sempre di indubbio valore mantenendo una media impressionante di un album ogni due anni, il tutto dopo più di 30 anni di carriera passata? Come si fa a dare ancora all’ascoltatore la sensazione di freschezza e di giovinezza dopo tutto questo tempo? Quello che per me resta un mistero, per i Magnum è tutt’oggi semplice realtà.

Fondati a Birmingham nel lontano 1972, i Magnum raggiunsero in breve tempo il successo nazionale e poi mondiale, passando attraverso diversi cambiamenti di formazione (e uno scioglimento dal 1995 al 2001), e ad oggi sopravvivono forti ancora della corde vocali di Bob Catley e delle corde, questa volta di strumento, del chitarrista/compositore Tony Clarkin. Tutto questo mantenendo sempre o quasi lo stesso stile musicale, forte di un rock progressivo a dense tinture hard rock e AOR.

Discostandosi in parte dal melodic rock evocativo del precedente disco Into The Valley Of The Moon King, questo The Visitation del 2011 si getta nel tentativo di riportare in luce quelle sonorità più puramente hard rock, quel conubio tra riffing e accordatura rock e aperture melodiche, che ne aveva decretato il successo negli albori. Ne verrà fuori, lo vedremo, un disco più immediato, più easy e di più facile assimilazione per un pubblico come quello odierno, non più abituato a musiche troppo ragionate e alla continua ahimè ricerca della più estrema semplicità.

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Lionville – Lionville – Recensione

10 Giugno 2011 12 Commenti Andrea Vizzari

genere: AOR / Westcoast
anno: 2011
etichetta: Avenue of Allies

I Lionville non sono altro che il nuovo progetto in cui la Avenue of Allies del grande Gregor Klee ha puntato molte delle sue scommesse in ambito AOR. Dietro questo curioso monicker si cela un talento anzi, dei talenti tutti italiani che rispondono al nome di Stefano Lionetti e suo fratello Alessandro Lionetti (in veste di produttore esecutivo). I due fratelli, guidati da una passione sfrenata per l’Aor appunto, che ha avuto il suo culmine nei gloriosi anni ottanta e che ultimamente sta riscoprendo una rinascita e una rifioritura grazie alla linfa preziosa delle nuove leve (in aggiunta alle band storiche), hanno pensato bene di chiedere l’aiuto alla struttura portante degli Shining Line (altro super progetto ITALIANO di qualità sopraffina uscito nel 2010 e di cui potete leggere qui la recensione) primo fra tutti il suo creatore Pierpaolo “Zorro11” Monti in veste anche qui di batterista, seguito da Mario Percudani (HungryHeart, Shining Line…) e Andrea Maddalone (Jon Anderson, Zucchero…) alle chitarre, Amos Monti (altro membro Shining Line) e Anna Portalupi (Skill In Veins ecc.) al basso e dall’ormai iperattivo Alessandro Del Vecchio come tastierista e produttore. Mancava da scegliere soltanto il singer, e stavolta si è deciso di puntare su un cantante unico in tutte le tracce piuttosto che varie guest stars che si alternavano come negli Shining Line e la scelta è caduta su Lars Säfsund, giovane promessa del panorama melodico scandinavo che ha già dimostrato tutta la sua bravura nel debutto stratosferico dei Work Of Art nel 2008. Lars canta da solista su quasi tutte le canzoni affiancato di tanto in tanto al microfono da Stefano Lionetti in vari duetti, nonostante quest’ultimo si soffermi più che altro ai cori e a qualche incursione alla chitarra. Se ancora tutto questo non vi sembra abbastanza vi basti sapere che al disco hanno collaborato grandi nomi della scena rock melodica come Richard MarxBruce Gaitsch (Richard Marx, Chicago ecc…), Tommy Denander, Sven Larsson (Street Talk), Arabella Vitanc (Alyson Avenue) ed Eric Martensson (Eclipse, W.E.T.). La parte fondamentale però quando si parla di un album musicale sono le canzoni di cui esso è composto per cui tuffiamoci in questo vortice incredibile.
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Pompei Nights – Midnight Mistress – recensione

07 Giugno 2011 0 Commenti Denis Abello

genere: Hard Rock / Sleaze Rock
anno: 2011
etichetta: Street Symphonies

Due taglienti chitarre che si poggiano su un’ottima sezione ritmica, il tutto condito dall’anomala voce di Joey Eden! Queste le carte che posano sul tavolo i Pompei Nights, giovane gruppo svedes, che punta a non passare di certo inosservato. Se ancora non siete convinti possiamo ancora mettere in gioco il fatto che la produzione è stata curata da Martin Sweet dei Crashdiet.
A breve dovrebbe arrivare il loro primo album, ma intanto noi iniziamo s scaldarci le orecchie con questo loro mini ep promozionale di Midnight Mistress

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Hell in the Club – Let the Games Begin – recensione

05 Giugno 2011 5 Commenti Denis Abello

genere: Hard Rock / Sleaze Rock
anno: 2011
etichetta: Avenue of Allies

Hell nel nome, un sound che profuma del vecchio Jack (Daniel’s) lontano un miglio, nomi come Dave e Andy… ma se andiamo bene a fondo semplicemente ci troviamo tra le mani l’ennesima grande conferma firmata Italia.
La storia degli Hell in the Club inizia infatti ad Alessandria quando Andrea “Andy” Buratto, bassista dei Secret Sphere con una manciata di buoni pezzi in mano in puro stile Kiss, Mötley Crüe, Skid Row e Ratt decide di buttarsi anima e corpo in un progetto Hard/Sleaze Rock. Comincia così la ricerca degli altri componenti della band che porterà all’entrata in scena di Andrea “Picco” Piccardi alla chitarra e un altro componente dei Secret Sphere alla batteria, Federico “Fede” Pennazzato.
A questo punto agli Hell in the Club non manca che la giusta voce e la scelta ricade su Davide “Dave” Moras, preso in prestito dagli Elvenking. Certo che se si tiene conto del passato della formazione degli Hel in the Club per buona parte proveniente dai Secret Sphere e dagli Elvenking tutto ci si potrebbe aspettare fuorchè un album di Hard / Sleaze Rock, eppure si sa, l’Italia è un paese sempre in grado di stupire, quindi, senza spendere altre parole… Let the Games Begin!

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King Kobra – King Kobra – recensione

24 Maggio 2011 3 Commenti Denis Abello

genere: Hard Rock
anno: 2011
etichetta: Frontiers Music

King Kobra… un altro grande nome del passato che torna prepotentemente in scena! La Frontiers Records ancora una volta stupisce riportando in auge un moniker che sicuramente molti di voi pensavano morto e sepolto da anni di Grunge!
Invece l’Hard Rock granitico spinto dall’incedere del “martellatoreCarmine Appice (Vanilla Fudge, Rod Stewart, Ozzy Osbourne) cerca una sua nuova strada in questo rinascimento Hard and Melodic Rock che sta prendendo sempre più forma in questi anni.
Non a caso prima però ho parlato di “nuova strada“, infatti i King Kobra si presentano in una nuova veste che vede la voce di Paul Shortino (Rough Cutt, Quiet Riot) sostituire lo storico Marcie/Mark Free (tornata da poco nella reunion degli Unruly Child).
Già la totale differenza vocale tra le due grandi voci fa presumere che questi King Kobra poco avranno da spartire con la band originale e a noi non resta che testare con le nostre orecchie se comunque hanno ancora qualcosa di valido da dire in questo nuovo millennio…

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Danger Zone – Line Of Fire – Recensione

05 Maggio 2011 5 Commenti Andrea Vizzari

genere: Melodic Hard Rock
anno: 2011
etichetta: Avenue of Allies

In pochi fra i giovani conosceranno la triste storia degli italianissimi Danger Zone, un gruppo nato a metà anni 80 in quel di Bologna per volontà del mastermind Roberto Priori (chitarra solista) e che nel giro di pochi anni sarebbe stato sicuramente una delle stelle più brillanti nel panorama melodic rock mondiale. Avete letto bene, “sarebbe stato”, perchè purtroppo per tutta una serie di motivi la band non è riuscita a fare quell’ultimo passo che li avrebbe consacrati come realtà importante nel genere al pari perchè no dei Danger Danger, Ratt, Winger & Co. Ma procediamo con ordine: la band nell’1984 pubblica il suo primo Ep “Victim Of Fate” che permette loro di girare in diversi festival fino ad aprire ad un gruppo importante e famoso come i Saxon. Da quel momento la band sembra pronta a fare il salto di qualità pronta ad approdare in quel di Los Angeles, nell’America tanto importante e cara che avrebbe permesso ai Danger Zone di ottenere il meritato successo. L’album era stato registrato durante tutto il 1989 nei dintorni di Venezia e mancava solo il mixing finale che si stava svolgendo nei Quad Studios di New York sotto la guida di produttori importanti come Stephan Galfas (Meat Loaf, Savatage, Stryper, Saxon), Jody Gray e Mark Cobrin (Loudness, EZO) ma qualcosa andò per il verso sbagliato: la band allora composta da Giacomo “Giga” Gigantelli (voce), Stefano Peresson (chitarra e tastiere), Stefano Gregori (basso), Paolo Palmieri (batteria) oltre che dallo stesso Priori dovette affrontare vari problemi con la casa discografica che ritardò l’uscita di “Line Of Fire”. Tutto questo percorso però non fu immediato e ciliegina sulla torta l’arrivo di quel tornado proveniente da Seattle chiamato grunge che distrusse definitivamente ogni speranza per tutte le band di quel genere melodico (e cotonato) che avevano dominato per tutti gli anni ’80, Danger Zone compresi. Il disco comunque riuscì a guadagnarsi negli anni una certa fama tra gli estimatori del genere circolando quasi come un clandestino per tutti questi anni fino a quando nel 2010 Roberto Priori decise di riunire la band che con l’aiuto dell’etichetta Avenue Of Allies è riuscita finalmente a regalarci questo “Line Of Fire”: un tuffo tutto italiano nel mondo del rock anni 80!
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Shakra – Back on Track – Recensione

02 Maggio 2011 1 Commento Denis Abello

genere: Hard Rock
anno: 2011
etichetta: AFM Records

Rabbiosi e cattivi,  gli svizzeri Shakra tornano nel 2011 con il loro ottavo album e nella loro nuova incarnazione che vede l’entrante John Prakesh alla voce in sostituzione dello storico  Mark Fox.
Gli Shakra sono uno di quei gruppi che pur non avendo mai mancato di centrare il bersaglio nei loro precedenti 7 album non è mai comunque riuscito ad ottenere qui da noi la notorietà che sicuramente meriterebbe. Forti del loro hard rock graffiante, che però non ha mai mancato di mostrare nella sua carriera il suo lato più intimista grazie a splendide e malinconiche ballate,  gli Shakra si rimettono in gioco in questo Back on Track puntando sulla nuova voce di John Prakesh

LE CANZONI

L’inizio di questo Back on Track è assolutamente spiazzante per chi è abituato a suoni più melodici,  B True B You entra in circolo con una potenza estrema, la voce di Prakesh arriva diretta e potente ed il resto della band lo segue con grande maestria! Se con B True B You abbiamo fatto la prima ottima conoscenza con i nuovi Shakra è con la successiva I’ll Be che gli Svizzeri piazzano il primo colpo da maestro di questo Back on Track… cattivo come il precedente, ma più ricercato nella linea melodica, riesce ad innalzarsi oltre la già ottima title di apertura. Aggiungete ancora un assolo di chitarra da manuale e la prima hit del gruppo è bella che confezionata.
Back on Track continua a stupire continuando con Crazy un crescendo qualitativo che sembra senza sosta. Il pezzo cattura, ammalia e ci lascia in balia della sempre ottima e sorprendente voce di Prakesh… questo è l’Hard Rock che ci piace! continua

The Poodles – Performocracy – Recensione

18 Aprile 2011 11 Commenti Denis Abello

genere: Melodic Rock
anno: 2011
etichetta: Frontiers

 

I The Poodles pur essendo una band relativamente giovane (attiva dal 2006) hanno saputo ritagliarsi un ruolo di primo piano nel rilancio del rock melodico Europeo confermandosi tra l’altro come una vera macchina da guerra in ambito live.
Dopo i loro primi due esaltanti album (Metal Will Stand Tall – 2006 e Sweet Trade – 2007), che contenevano pezzi che ne hanno decretato il successo come Echoes from the Past, Night of Passion, Song For You, Streets of Fire, Seven Seas, Thunderball e molti altri ancora, il loro terzo album (Clash of the Elements – 2009)  pur mantenendosi su livelli più che buoni sembrava iniziare ad evidenziare alcune crepe nella vena compositiva del gruppo.
Anche il loro live No Quarter (qui la recensione), prima fatica sotto etichetta Frontiers Records, non arrivò a centrare perfettamente il bersaglio non riuscendo a trasmettere appieno il feeling che la band può regalare durante i suoi live.
A questo punto non ci resta che prendere in mano le redini di questo loro nuovo Performocracy sperando che i quattro Barboncini riprendano la strada che ha segnato il successo del loro debutto…

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Whitesnake – Forevermore – Recensione

10 Aprile 2011 23 Commenti Andrea Vizzari

genere: Hard Rock
anno: 2011
etichetta: Frontiers

Cosa si aspetta un ipotetico fan di una band dalla carriera pluri trentennale, che ha sfornato in questa sua lunga carriera alcuni capolavori di un genere ben preciso (in questo caso l’hard ‘n heavy) diventantandone quasi la stella più brillante, quando la suddetta band in questione decide di pubblicare un nuovo album di inediti? Che aspettative può avere lo stesso fan da una band che, nello specifico, nel corso di trent’anni non ha mai avuto una formazione stabile che durasse più di 5 anni e che ha combattutto il tempo e il music business solo grazie all’unico punto fermo che possiede cioè un leader carismatico, un’icona della musica rock, un ottimo songwriter e un eccellente cantante? Queste sono le domande che probabilmente molti fan si saranno fatti nell’apprendere che nel 2008 i leggendari Whitesnake sarebbero tornati sulla scena musicale con un nuovo album, intitolato “Good To Be Bad” dopo ben 11 anni dal precedente “Restless Heart” (ma contando che quest’ultimo era intitolato David Coverdale/Whitesnake, sono ben 19 anni da “Slip Of The Tongue”, ultimo vero album Whitesnake). Eppure la band, forte di una solida line-up, riuscì a dar vita a uno splendido lavoro nel pieno stile della band; un hard ‘n heavy roccioso con quel tocco misurato di modernità che lo rese fresco, godibile e soprattutto degno del pesante nome che portava. Toccava a questo nuovo Forevermore, almeno per quanto riguarda il sottoscritto dimostrare se il buon vecchio Coverdale si sarebbe adagiato sugli allori sfornando album di mestiere, o se il caro singer inglese avrebbe, ancora una volta, fatto centro cercando di tirare sempre il meglio dai musicisti che chiama alla sua corte. Forevermore per fortuna, non solo rientra in questa ultima mia “considerazione” ma riesce ad andare oltre…Innanzitutto rispetto a Good To be Bad adesso vi è un ritorno più marcato all’hard ‘n heavy con chiare influenze blues come agli inizi di carriera ma, prima di addentrarmi nell’analisi del disco è doveroso puntualizzare il cambio di line-up avvenuto in seno alla band: David Coverdale ha praticamente cambiato tutta la sezione ritmica che adesso prevede Michael Devin (Lynch Mob) al basso e Briian Tichy (Derek Sherinian, Vinnie Moore…) alla batteria al posto rispettivamente di Uriah Duffy e Chris Frazier. Il gruppo con Forevermore si presenta inoltre senza un tastierista dopo l’abbandono di Timothy Drury che vuole concentrarsi alla carriera solista. Il gruppo di chitarre invece rimane lo stesso dall’anno del ritorno (2002) della band e include Reb Beach (Winger) e l’ex Dio Doug Aldrich, che sembra essere il nuovo “partner in crime” di David Coverdale nella composizione e produzione dei pezzi.
continua