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Recensione Gemma Sepolta

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Gemma Sepolta

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John Waite – Rover’s Return – Gemma Sepolta

01 Marzo 2025 10 Commenti Samuele Mannini

genere: AOR
anno: 1987
etichetta: Emi America
ristampe:

Tracklist:

1. "These Times Are Hard for Lovers" 4:12
2. "Act of Love" 4:27
3. "Encircled" 4:23
4. "Woman's Touch" 3:50
5. "Wild One" 3:50
6. "Don't Lose Any Sleep" 3:45
7. "Sometimes" 4:55
8. "She's the One" Waite, 5:47
9. "Big Time for Love" 4:56

Formazione:

John Waite – lead vocals

Ospiti:

Chuck Kentis, Gregg Mangiafico, Tommy Mandel, Arthur Stead – keyboards, synthesizers; John McCurry – electric guitars, acoustic guitar; Gary Myrick – guitars; John James Kumnick, John Regan – bass; Mike Braun, Anton Fig, Thommy Price – drums; Elaine Caswell, Desmond Child, Diana Grasselli, Patty Forbes, Louie Marlino, Ellen Shipley, Joe Lynn Turner, Myriam Valle, Maria Vidal, Diane Warren – backing vocals

 

Prima di tutto, facciamo un paio di dovute premesse: 1) considero quest’uomo una delle cinque migliori voci che il mondo del rock abbia mai regalato al pianeta, e ammetto che, anche se incidesse un album di pernacchie, probabilmente mi piacerebbe comunque; 2) lo scioglimento dei Bad English è una ferita ancora aperta dopo più di trent’anni, e se al posto dell’ennesimo album dei sempre più inguaiati Journey ci fosse una reunion dei pessimi inglesi, finirei probabilmente arrestato per atti osceni in luogo pubblico mentre faccio l’elicottero nudo in piazza del Duomo.

La voglia di scrivere di questo disco è nata un paio di giorni fa, quando mi sono procurato una copia in vinile per la modica somma di 5 euro. Eh già, perché mentre il più noto “No Brakes” è presente da innumerevoli anni nella mia collezione, di “Rover’s Return” possedevo solo la copia della copia di una cassetta, registrata da un vinile, copiata su un cassettone pseudo hi-fi anni ’80 prestato da un amico… che al mercato mio padre comprò. E, sebbene all’epoca lo conoscessi praticamente a memoria, non mi ero mai preoccupato di procurarmi una copia fisica degna di tal nome. Ecco, mai affidarsi alla memoria e, soprattutto, agli ascolti fatti un milione di anni fa su supporti di qualità infima. Finalmente, dopo un’era, seduto in poltrona su un impianto hi-fi degno di questo nome e grazie a un vinile silenzioso e senza fruscii, ecco che ho visto la luce, e questa non è nient’altro che l’ennesima riprova di quello che ho sempre sostenuto: che un conto è sentire la musica, ben altro è ascoltarla. È stato come guardare la Gioconda dopo il restauro, con i suoi colori dell’epoca vivi e naturali, e non oppressi dal grigiore e dal deterioramento del tempo che passa.

Quello che ho notato è come questo disco sia il più vicino ai Bad English tra quelli prodotti dal vocalist britannico, tanto che ad occhi chiusi due o tre pezzi potrebbero persino sembrare degli outtakes del primo album della band.

“These Times Are Hard For Lovers”, co-scritta da Child, si rivela un brano super accattivante. “Don’t Lose Any Sleep”, firmata da Diane Warren, offre momenti di ispirazione melodica e forse pecca solo di un arrangiamento indeciso. Probabilmente, il problema del relativo insuccesso commerciale di questo disco è stato proprio il fatto che ha cercato di anticipare i tempi, cercando di mixare l’AOR con il piglio più energico dell’hard rock a stelle e strisce, finendo per restare un po’ in una terra di mezzo. L’operazione riuscirà perfettamente un paio di anni dopo ai Bad English, anche grazie al piglio più rock della chitarra di Neal Schon, ma questa è un’altra storia.

Tra le pieghe del disco si celano comunque gemme preziose, brani che mettono in mostra il talento di Waite e la sua abilità nel fondere rock e melodia. “Encircled” si distingue per il suo sound più grintoso e aggressivo, mentre “Woman’s Touch” ci culla con le sue linee di chitarra bluesy. “Sometimes” è una ballata intensa e toccante, tipicamente eighties, e “She’s The One” rappresenta un perfetto equilibrio tra aggressività rock e sensibilità pop, un brano che avrebbe meritato di scalare le classifiche radiofoniche.

In definitiva, “Rover’s Return” è un album che paga lo scotto di essere arrivato troppo presto, ma con i ‘se’ e i ‘ma’ la storia non si fa e probabilmente, anche grazie all’insuccesso commerciale, si è poi avuta l’unione tra Schon, Castronovo, Phillips, Jonathan e John che ha prodotto i due capolavori a nome Bad English. Invece, Rover’s Return resta un gioiello nascosto nella discografia di John Waite, un lavoro che merita di essere riscoperto e rivalutato in tutto il suo valore e potenziale.

© 2025, Samuele Mannini. All rights reserved.

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