Dare – Road To Eden – Recensione

Prima di iniziare a scrivere faccio un ultimo respiro, profondo. Interrompe una apnea sofferta, uno scarico di ossigeno continuato ai polmoni. Per intenderci, dice fine a quella sensazione di soffocamento che tutti noi proviamo di fronte alla lunga attesa per qualcosa che da tanto tempo aspettiamo. Che magari vediamo da vicino, ma che non possiamo ancora raggiungere. Che vorremmo già ora, ma che magari non arriverà neppure domani. 

Voi mi conoscete, mi leggete da più di dieci anni ormai. Non ho mai nascosto il mio AMORE viscerale verso la musica degli inglesi DARE. Sapete quanto le loro melodie mi scavino dentro, mi coccolino il cuore. L’ho sempre detto, l’ho sempre scritto, senza censura. E non è un caso, non lo è davvero, che io sia tornato a parlare in modo così regolare di musica in questo ultimo mese, dopo due anni di (non) scrittura che definire altalenanti sarebbe un eufemismo.

Ho avuto il privilegio di iniziare ad ascoltare questo nuovo disco dei Dare proprio un mese fa, e immediatamente, come per magia, si è diradata a poco a poco in me quella fitta nebbia, quel grigiore, che mi annichiliva. Ho soffiato via il buio, perchè la musica non mi emozionava più da quando non la potevo più vivere in prima persona (sotto un palco con gran parte di voi amici), da quando nelle sue note in qualche modo sentivo che non parlava più di quello che stavo – anzi, stavamo – vivendo. Mi sono liberato, nella mente prima di tutto, da quelle centinaia e centinaia di schifezze lette, viste, sentite, e talvolta dette in questo orrendo periodo umano. Dove, nella finzione di essere uniti, ci siamo sempre più divisi e annientati. Ritrovandoci soli.

Ora, scaldato il cuore con quello che più amo, respiro. Sono tornato, Iacopo prima di tutto.
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DARE live @ Legend Club Milano – 12 maggio 2019 – Il Report

Vi racconterò una storia. C’era una volta, in un tempo non troppo lontano, un giovane pipistrello che, appena svegliatosi dal suo lungo sonno diurno, si era affacciato dalla sua grotta, pronto per spiccare il volo nel già tenue rossore del tramonto. Mentre stava aprendo le sue nere ali vide davanti a se un gheppio, che stava facendo le sue ultime acrobazie nel cielo prima di tornare a casa dopo una lunga giornata in giro per la campagna. Preso da curiosità, lo chiamò: “Gheppio, gheppio, vieni qui!!”. “Dimmi pipistrello!” – gli rispose quello, raggiungendolo nell’ombra – “che vuoi da me?”. “Sapere della luce del sole, dei colori del giorno, dei suoni dei bambini che giocano dopo la scuola.. Sai, vi scruto spesso la sera, voi uccelli diurni, mentre gridate la vostra felicità agli ultimi raggi del sole. Ma io non ho mai visto un mezzogiorno, i miei occhi sono delicati, non potrebbero resistere, e se lo facessi rischierei di diventare persino cieco! Guardo spesso la luna, sì, e sogno una vita al di là del buio.. Ma è diverso! Dai, ti prego, dimmi come è!”

Il gheppio sorrise, prese per l’ala il pipistrello e gli disse: “Seguimi!”. I due volarono nel tramonto, lungo fiumi, prati e colline. Quando ormai era notte giunsero in città. Lì, si fermarono vicini a un parco: “Vedi quel piccolo edificio laggiù?”, disse il gheppio. “Sì, certo!”, esclamò l’amico mentre masticava gli ultimi bocconi di una zanzara. “Bene. Ora tu entraci! C’è una presa d’aria aperta da cui puoi passare, arriva fino in fondo al tubo metallico e fermati lì. Pipistrello, là troverai i colori che cerchi, e i suoni che sogni da tempo. Non ti preoccupare degli umani, sono innoqui, e non aver paura dei forti suoni. Tu stai li buono, resta nascosto, osserva e ascolta. E avrai tutte le tue risposte!”.

Si dice che quel giorno il pipistrello comprese la bellezza della luce, sentì tutti i suoni che andava cercando, provò sulla sua pelle il calore del sole, e non divenne cieco (ma un po’ miope sì!). Si racconta che quel giorno magico fosse il 12 maggio 2019, e che l’edificio indicatogli dal gheppio fosse il Legend Club di Milano. Pare che sul palco stessero suonando degli umani chiamati Dare..

Ora, sta a voi credere a questa storia che, come tutte le leggende, nasconde qualche verità dietro a una buona dose di fantasia. Però sappiate che il pipistrello io l’ho incontrato, e mi ha detto che…

Dopo 17 lunghi anni di assenza dal nostro Paese, i Dare dell’ex Thin Lizzy Darren Wharton hanno finalmente rimesso piede in Italia con l’ultima data del loro tour europeo, celebrativo dell’anniversario del loro storico album di debutto Out of the Silence. Un evento esclusivo, atteso da centinaia di fans fin dalle prime ore della serata, ovvero dall’esibizione delle due band di spalla, gli italianissimi Even Flow e i tedeschi High Tide.
I primi, che vantavano tra le fila Marco Pastorino (voce) e Luca Negro (basso) dei conosciuti metallers italiani Temperance, hanno proposto una trentina di minuti di un prog metal con influenze hard rock di ottima fattura, che ha permesso al bravo cantante di mostrare tutta la sua estensione vocale tra rallentamenti atmosferici e sfuriate di energia, evidenziate dal potente groove di fondo creato dalla sezione ritmica, e dagli ottimi riff di chitarra. Uno show deciso e dal ritmo sostenuto, che ha aperto la serata con qualità, sfruttando un bel gusto musicale moderno, e uno stile di fatto totalmente differente rispetto a quello dei secondi musicisti on stage, i tedeschi High Tide, che si sono mostrati ben più dediti a un hard rock dal sound classico, meno originale, un po’ bluesy, e decisamente di revival anni ’70s. Led Zeppelin, Deep Purple, Gary Moore, The Doors, Great White, Rival Sons, sono solo alcuni dei gruppi storici da cui questi ragazzi di Heilbronn hanno preso – in modo più o meno evidente – spunto, ma la buona tenuta del palco degli stessi, il carisma del cantante e del chitarrista, e il bello stile del batterista sono stati gli elementi che in fin dei conti ce li ha fatti amare, al di là delle suddette evidenti derivazioni di sound. Per un’oretta di spettacolo comunque di livello, e di giusta attitudine..

Poi le luci si sono spente, e sono entrati i Dare.

(respiro profondo)

Una delle migliori band che abbia visto live per ciò che concerne il nostro genere. Ok – direte – sei un superfan esaltato di Wharton e soci, sei di parte, lo sappiamo tutti.. E’ vero, anzi, verissimo! Tanto che la bandiera tricolore con scritto Nothing is Stronger than Dare che Darren ha esibito con fierezza a fine show, beh, gliel’ho lanciata io (..e chi altro se no!), ma vi sfido a nominarmi altre band capaci di esprimersi dal vivo in uno spettacolo così coinvolgente, fedele al sound in studio, maiuscolo per tecnica ed esecuzione.. tolti forse gli FM.

Tutti abbiamo visto un Vinny Burns che è stato un compasso, e che chiunque riconoscerebbe a occhi chiusi anche dopo sole due note di chitarra. Poi c’era Nigel Clutterbuck al basso che ad ogni tocco di corde tirava tra la gente un pezzo del suo cuore, Kevin Whitehead alla batteria che non faceva cose pazzesche, ma suonava da Dio, Marc Roberts alle tastiere che riproduceva nel dettaglio il ricco tappeto di suoni che è puro trademark del gruppo.. e Darren, va beh, Darren lui viene da un altro pianeta, e come canta calde e ricche di sentimento le note basse lui, al mondo nessuno… Punto.

La scaletta? Perfetta. Prima metà di spettacolo incentrata su Sacred Ground, l’ultimo album del gruppo. Quindi via di Home, traccia opener capace come poche di immergere il pubblico nel puro mood Dare fin dalle sue prime battute, e avanti con la ballad Until, dolcissima e intonata alla perfezione da un Wharton visibilmente commosso. La sostenuta Days of Summer (anticipata da un discorsetto sulla bellezza delle donne italiane) e la nuova ballad strappalacrime I’ll Hear You Pray lasciano spazio al singolo On My Own, pezzo che personalmente non adoro, ma che è sempre stato spinto dal gruppo (anche nelle radio) per la sua grande spensieratezza e spontaneità (e in effetti è impossibile non cantare il suo refrain). Di tutt’altra pasta il trio sentimentale che apre con l’ultima delle nuove, la eccellente Everytime We Say Goodbye, per arrivare al disco Beneath the Shining Water del 2004 attraverso le canzoni romantiche Sea Of Roses e When Darkness Ends, quest’ultima eseguita con un groove da antologia del genere AOR.

Si sà, il Darren Wharton musicista nasce grazie ai Thin Lizzy, e il tributo al loro genio non poteva essere fatto se non nelle note del classico Emerald, suonata in modo eccelso da un Vinny Burns sempre più sugli scudi. L’ultima ballad di questa sera, la title track Beneath The Shining Water, consegna il nostro spirito alle calme acque di un lago, ma la nostra carne resta a bordo palco per riempirsi nei muscoli di bollente sangue al grido di battaglia di Wings Of Fire e We Don’t Need A Reason, tratte dal capolavoro Blood From Stone. Da qui in poi sarà delirio, visto che la band sparerà negli amplificatori, una dietro l’altra, quattro tracce tratte dal debutto Out of the Silence, ovvero Abandon – Into The Fire – The Raindance – King Of Spades, quest’ultima ovviamente dedicata a Phil Lynott, maestro non solo di Darren, ma di tutti noi rocker nel mondo.

E’ una standing ovation. Non c’è più uno spettatore che riesca a star fermo, e quando la band rientra on stage per il bis, questo finisce per non prevedere soltanto un brano come nelle altre date del tour, ma bensì tre!! E’ il regalo dei Dare al popolo italiano, che da troppo tempo aspettava il loro ritorno: quindi, a sopresa, ecco la energica Storm Wind (ancora estratta dal rivalutato Beneath the Shining Water), a cui segue quello che per me è il capolavoro assoluto della discografia degli inglesi, ovvero il brano Silent Thunder, tratto da Belief del 2001. Esecuzione ancora una volta perfetta.

Con il cuore che non riesce più a smettere di battere all’impazzata, i Dare ci salutano a dovere con la canonica e celebrativa Return The Heart, prima di darci appuntamento allo stand del merchandising per una lunga sessione di foto e autografi con i fans, che trova il tempo per tutti quanti, nessuno escuso. Selfie, firme, abbracci, chiaccherate e battute, c’è tempo per tutto questo e molto di più (e per più di un’ora!), e sono certo che ogni singola persona giunta al locale potrà aver avuto il suo momento magico al fianco dei propri beniamini. Sono stati unici anche in questo.

Personalmente, per anni ho avuto un solo desiderio: vedere i Dare dal vivo, e in Italia . Dopo una attesa lunghissima, questo sogno si è avverato. Per la prima volta in vita mia ho faticato a trovare le parole per scrivere questo report. Ero ai cancelli alle 10 del mattino, ero li quando i ragazzi sono arrivati. Ho chiaccherato e scherzato con loro. Mi son fatto autografare anche l’anima, come dimostra la foto sotto. Poi ero in prima fila per loro, ho cantato con Darren (che mi ha pure passato il microfono per un ritornello), ho fatto air guitar con Vinny Burns. Ho lanciato loro la mia bandiera, sapendo ora che il motto che vi ho impresso dice la verità. Ho aspettato Darren fino a che non è risalito sul pulmino per tornare in albergo, e lui mi ha abbracciato e ringraziato: mi ha detto we will return. Poi ha chiuso il portone del van, e con gli altri se ne è andato.. e io sono rimasto lì, a toccare commosso il cielo, abbracciato a un amico pipistrello appena incontrato..

 

 

 

 

 

 

 

 

GALLERIA FOTOGRAFICA:

 

DARE – Sacred Ground – Recensione

Un periodo di sette anni intercorsi senza un nuovo disco di inediti dei Dare può certamente essere definito come eccessivo da chi (come l’autore di questa recensione) si dichiara senza timori fan accanito di uno dei gruppi rock melodici inglesi oggettivamente più innovativi e originali di sempre. E’ però risaputo (e lo si sà quindi preventivamente quando si sceglie questa band come preferita) che le lunghe pause sono sempre state una (sofferta) caratteristica del songwriting di Darren Wharton, un compositore geniale ma in continuo bilico tra il presente (della sua formazione) e il suo passato storico, da sempre legato alla permanenza nella formazione dei leggendari Thin Lizzy, e ai suoi innumerevoli show di tributo.    

Come una soap opera che non manca mai di riservare colpi di scena, ecco allora che tra un disco dei Dare e il suo successivo si potrebbero scrivere paginate di storia, parlando all’infinito di false promesse e finti annunci, di ritardi e scadenze mai rispettate, di entrate e uscite in formazione, eccetera, eccetera. Quel che è certo è che, nel riassunto di quanto accaduto dall’ultima pubblicazione di inediti Arc of the Dawn (2009) all’uscita di questo Sacred Ground (fissata per il 15 luglio), si deve certamente sottolineare l’abbandono del chitarrista Richie Dews, escluso dal gruppo (peccato..) per lasciare spazio al ritorno in pompa magna del co-fondatore e chitarrista Vinny Burns, con il bassista storico Nigel Clutterbuck.

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Dare – Beneath The Shining Water – Gemma Sepolta

« Sono state alcune immagini molto forti a delineare la personalità di questo album. Da un mondo pieno di problemi e conflitti non poteva che nascere un disco dai toni pessimistici, ma con tra le righe un messaggio di speranza. » – Darren Wharton, 2005

Due anni dopo la conclusione del fruttifero tour a supporto dell’album Belief (2001), che vantò anche alcune date suonate a supporto degli Asia, i Dare tornarono in studio (con la consueta calma e attenzione maniacale al dettaglio sonoro) per pubblicare, nel giugno del 2004, il loro nuovo album, intitolato Beneath the Shining Water.

Con un nuovo batterista in formazione (Gavin Mart, sostituto ufficiale di Julien Gardner), il disco non si distaccò, quantomeno concettualmente, dal precedente capitolo, vedendo però scemare definitivamente quelle sfumature celtiche che avevano reso caratteristico, e ben più solare, il sound di Belief. Uno stile, quello di questo nuovo platter, privo di un ampio uso di chitarre elettriche, e che mostra una netta predominanza di tonalità oscure e cupe, talvolta quasi sommesse, che appaiono in netto contrasto con il mood positivo tipico della formazione, che mantiene la sua identità soltanto nelle aperture melodiche e ariose dei ritornelli, ricche di luce e di speranza, che rimangono di fatto il vero punto di unione tra recente e passato. Per una serie di canzoni lente, drammatiche, romantiche, soffuse, sempre altamente emozionali, quasi mai esplosive o determinate, ma composte soavi e poetiche per arrivare dritte al cuore di chi le ascolta.

Forse proprio in virtù di queste caratteristiche atipiche per le sonorità dei Dare, unite, come vedremo tra poco nell’analisi dei brani, anche alla più accentuata semplicità delle strutture compositive, Beneath The Shining Water è citato dai più come un mezzo passo falso della discografia della band di Oldham. Una visione riduttiva, questa, che non tiene conto di come sia qui la potenza dei testi a fare da vero motore di un’opera ricca di sfumature preziose come diamanti, e di messaggi di forza degni, già da soli, della palma di classico (o capolavoro) di un gruppo da sempre capace di mettersi in gioco, con coraggio ed onestà artistica, pubblicazione dopo pubblicazione.

A fare da opener al disco sono gli echi lontani di Sea of Roses, primo singolo di questa pubblicazione, e vera perla della discografia più soft dei Dare, con il suo sound morbido, ma bombastico, che spinge verso un ritornello catchy, e avvolgente come un caldo manto in una notte d’inverno. Ricordi e desideri si muovono in un vortice senza tempo, con la forza dell’amore (sei rimasta con me sotto il fuoco nel cielo / e abbiamo guardato l’alba assieme / resterò con te se anche ci volesse un mare di rose, recita il ritornello) a guidare la potenza di un componimento di per se semplice (lo schema è strofa-ritornello-strofa), ma incredibilmente efficace.

Secondo brano dell’opera è Days Gone By, una canzone già più ricercata della precedente, e capace di ricordare in qualche modo alcuni episodi di Calm Before the Storm, senza tuttavia rivelare mai toni progressivi. Lo stacco netto tra l’incipit e la prima strofa, e, ancora tra strofa e ritornello, porta a una bella alternanza tra momenti più leggeri, e altri più energici, nei quali fanno finalmente capolino gli echi della chitarra di Andrew Moore, che vince la sfida con l’acustica sempre in primo piano di Richard Dews grazie a una serie di assoli davvero notevoli. Il testo, stupendamente cantato da un Darren Wharton sempre sugli scudi, è da antologia, in un viaggio nel tempo sulle ali dei ricordi, che spinge verso la giovinezza perduta e le delusioni d’amore, nel nostro cuore, mai più superate. Lei lasciò la città alla fine dell’estate / correndo veloce con il vento del deserto / chiuse i suoi occhi sotto un milione di stelle / ed era finita, canta la seconda strofa di una canzone struggente, che chiude con la nostalgia della frase, ripetuta: tu non mi hai mai lasciato..

Un balzo, ed eccoci nuovamente in cammino sulle verdi colline che fanno da frequente scenario delle canzoni dei Dare. Silent Hills, colline silenziose, è la terza ballad/mid-tempo intensa ed emozionante del disco, e il primo (e unico) pezzo a creare un leggero collegamento con il precedente Belief grazie agli arrangiamenti di sottofondo, che rimandano alla tradizione celtica inglese. Qui l’amore e il ricordo felice sono visti come cura, oggi come allora, di fronte ai più dolorosi e oscuri attimi della vita: e quando quei cieli oscuri mi circondavano / e perdevo la strada verso quelli che amavo / così tante volte amore mio mi hai portato / in cima alla tua montagna, mentre le acque salivano. Le colline verdi, sulle quali danzare mano nella mano con la amata di fronte alla sera che avanza (che porta con se il buio e le paure), diventano l’isola felice della nostra rettitudine, e l’unico appiglio solido per non impazzire di fronte a un mondo non più a misura d’uomo. Per una canzone non così eclatante musicalmente, ma con un messaggio forte per i nostri cuori.

Il vero capolavoro dell’album, eccola qua, è la title track Beneath The Shining Water. Una composizione ancora non ricercata a livello compositivo, ma di una intensità emotiva fuori dal comune, grazie a melodie ampie e cristalline, profonde e cariche di potenza, che sul finale esplodono e aprono nuovamente al mood immortale di Calm Before the Storm, e alle sue immense chitarre. La magia, la crea ancora una volta il testo e la voce di Wharton, che (come in un concept album) prosegue quanto lasciato in sospeso dalla precedente canzone, arrivando direttamente al superamento della notte e all’arrivo del mattino, con le speranze e le energie rinnovate che espodono in rabbia di fronte alla apparente impossibilità di raggiungere il tanto agongnato sogno di felicità. Nel mio cuore mi domando / se ciò durerà un centinaio di anni / nella speranza che tu possa essere mia per un giorno /  potremmo allontanarci sotto le acque lucenti , è la frase che muove l’intera canzone, e che cambia dal secondo refrain in poi indirizzando la fuga sulle acque verso gli oceani nel mio cuore. Inutile aggiungere altro, testo e melodie parlano da se.

Un monumento alla forza dell’amicizia è The Battles That You’ve Won, quinto brano del disco e forse la traccia più intima e personale tra quelle composte da Darren Wharton. Il testo ci dice che, di fronte ad ogni difficoltà, di fronte ad ogni cedimento e ad ogni crollo di morale e di forze, non c’è solo l’amore a fare da motore per la ripresa, ma che anche la vicinanza di un amico sincero può far diradare ogni nube carica di pioggia di fronte a noi, riportando il sereno. Con un ritmo in continuo divenire, dritto a crescere, vicino al pop ma carico di grinta rock, il pezzo esplode mano a mano di energia, colpendo secco il petto dell’ascoltatore con il crescendo della sua intensità, e l’aumentare dell’adrenalina. Finita la lotta, la discussione, il litigio, forse anche la separazione, tra due persone cosa resta, ci dice Wharton, se non campi di battaglia silenziosi / colpiti dalle parole che non ci siamo mai detti ? E’ li, in quell’istante di calma distruttiva, che arriva l’amico (nel testo, a nome Daniel, ndr): ma quando cado / tu mi aiuti a rialzarmi / come un leone con la criniera / tu eri Daniel e mio amico. Ecco la rivelazione: vidi una lacrime cadere / da qualche parte nel mezzo di queste cose che ho detto? / e ti strinsi tra le mie braccia / non posso affontare questo giorno da solo / non posso costruire questo ponte senza te / tu sei la sabbia e io la roccia. Anche qui, zero spazio all’immaginazione: tutto è perfettamente esplicitato da un altro testo da lode di un album, fino a qui, in continuo crescendo di emozioni.

Dopo qualche canzone (leggermente) più sostenuta, è il turno di una vera e propria slow-tempo con una Allowed to Fall leggera, pop, densa di battiti, totalmente priva di chitarra elettrica. Interpreto personalmente questo brano come una iniziale esortazione di un padre verso un giovane figlio, che muove ricordi e di conseguenza nostalgie. Il genitore, di fronte a un errore del figlio, si ricorda di come, nella sua stessa esperienza di vita (riconobbi me stesso in te / e fui di nuovo giovane), ogni sbaglio giovanile, ogni errore, sia divenuto poi un metodo per imparare, maturare e quindi crescere. Ed esorta quindi il figlio a cadere ancora per rialzarsi, per sognare e riprovarci ancora. E’ un pezzo sussurrato, di una dolcezza infinita nelle melodie e nel testo, basti vedere il ritornello: adesso puoi cadere e puoi sognare / gli errori che farai ti guideranno lungo la tua strada  / e imparerai ad amare, e a vivere la tua vita in libertà / So quello che sta succedendo / ricordo quando queste cose una volta accadevano a me. Da qui, nascono però le riflessioni dell’uomo maturo: se avessi la possibilità di rifare tutto da capo / passerei la mia vita con te, è tutto ciò che posso fare. Scegliete voi come interpretare questa ultima espressione: se come un nuovo accenno ad un amore mai sbocciato, se come una dolce dedica alla compagna di una vita, o come una tenera espressione detta al figlio stesso.

Brano numero sette, I’ll Be The Wind. Altro pezzo melodic rock assolutamente soft, che apre però a un ritornello elettrico e bombastico di grande intensità, con una esplosione di groove caldo non indifferente. E’ un pezzo forse non particolarmente inedito, ma drammatico, che racconta di un ragazzo che legge, fino a consumarla, la commovente lettera di un genitore che ormai non c’è più (forse ucciso da una malattia o, addirittura, suicida). Sarò il vento negli alberi figlio mio – recita il manoscritto – sarò la strada su cui cammini / sarò con te quando me ne sarò andato / e ce la farai. Sicuramente, è la canzone più cupa e drammatica della discografia dei Dare insieme a Silence of Your Head del mai troppo citato Calm Before the Storm, ma ciononostante muove energie positive in ognuna delle parole d’amore scritte nella lettera, e nei suoi insegnamenti: lascia che la strada ti porti dove vorrai andare / e un giorno saprai / che l’orgoglio che arde così lucentemente non muore mai

Alla conclusione di Beneath the Shining Water mancano ormai sole tre canzoni, questo ora più energiche e colme di positività. Non sono forse le più belle del platter, o le più elaborate a livello sentimentale, ma meritano anch’esse di un’attenta analisi per i significati che nascondono. La prima è Where Darkness Ends, un pezzo lucente, arioso, nelle melodie e nel testo, che contrasta nettamente con i precedenti, messo nel punto giusto per farci dimenticare del dolore di I’ll Be The Wind. I suoi quattro minuti e mezzo scivolano via, dopo un iniziale momento di stallo in apertura, veloci e brillanti, ricchi di chitarre e di un bel lavoro alle pelli di Gavin Mart. Anche le liriche sono scritte per infondere gioia e positività. Il peggio è passato: non ho paura di nessuno adesso / mentre scendono le tenebre / ci sono volte che so che cadrò / lungo questa strada oscura e solitaria / ma questo vento di cambiamento mi guiderà a casa / attraverso la notte per ritornare da te. La salvezza è di nuovo lì, tangibile, tra le braccia dell’amata o del migliore amico.

Ancora chitarre, ancora energia, con Storm Wind, un pezzo che in qualche modo anticipa quello che sarà il tratto caratteristico del successivo album Arc of the Dawn (2009). Chitarra acustica e chitarra elettrica duettano alla perfezione, in un brano leggermente meno rapido del precedente, ma comunque abbastanza sostenuto ed esplosivo di buone emozioni. Il testo, eccolo, è scritto di nuovo dal punto di vista del figlio che ripensa alle parole del padre perduto, ed esorta a seguire la fiamma nel proprio cuore, a caccia di sogni:  mi domandai dove mi avrebbe portato questa strada / chiusi gli occhi e pregai di farcela / e tu (dentro di me, ndr) dicesti /  figlio, sta arrivando un vento di tempesta / segui la fiamma nel tuo cuore / e lui disse / figlio là dove soffia il vento di tempesta / segui la fiamma nel tuo cuore

Chiude l’opera Last Train, una canzone melodic rock abbastanza semplice e lineare, priva di particolari sussulti se non di una scossa di energia a partire dal ritornello. E’ una buona catarsi finale, che rilassa e tranquillizza, nelle melodie e nelle parole dell’autore. L’Ultimo Treno è il mezzo, misterioso (nessuno sa quando parte e quando tornerà) per il ritorno a casa, per la pace. Siamo a bordo, quindi ok, sediamoci e aspettiamo..  Presi l’ultimo treno dalla stazione / quando parte non lo sa nessuno / c’è un sorriso nel volto del vecchio qui / nelle sue mani vedo la sua casa / dove le aquile volano sull’acqua (..) Alcuni cercano di dirmi che non è il paradiso / mentre il fumo inizia a diradarsi / un giorno darai luce al cielo con i tuoi diamanti (..) sto tornando a casa con l’ultimo treno

IN CONCLUSIONE

Come definire quindi, in conclusione, Beneath The Shining Water? Beh, forse sì, nonostante il suo stile pop rock e le sue calde melodie, non è questo un disco immediato e di facile assimilazione dopo appena pochi ascolti. E’ però un gigantesco monumento alle capacità poetiche, più che compositive, dei Dare, e fino ad oggi il capitolo massimo della loro discografia per ciò che concerne le liriche. La Natura, protagonista di ogni canzone del nuovo corso di questa band inglese, è qui (per la prima volta in assoluto) non più forza trainante, è questa la maggiore differenza di questo disco rispetto ai precedenti. E’ presente sì, vestita a festa, ma soltanto osserva, guarda da vicino gli uomini affannarsi dietro questo, dietro a quest’altro, dimetichi delle cose fondamentali della loro vita, come gli affetti e le amicizie. E’ l’essere umano il protagonista di questo album (intimo e personalissimo), con tutte le sue debolezze, i suoi difetti, ma anche le sue straordinarie qualità.

Tra nostalgie, ricordi, paure, coraggio e voglia di risollevarsi, Beneath the Shining Water è l’apoteosi perfetta, messa in musica, del detto: l’unione fa la forza. Solo così, uniti e fedeli gli uni agli altri, supereremo anche i momenti più bui. Risolleviamoci!

Dare: Richie Dews è fuori dalla formazione

Richie DarrenManca solo un comunicato che ne decreti l’ufficialità, ma Richie Dews è da considerarsi ormai escluso dalla formazione degli storici melodic rocker inglesi Dare.

Il chitarrista, parte integrante del gruppo dal 2001 a oggi, recentemente non aveva partecipato alle due date irlandesi della band, venendo sostituito sul palco dal rientrato bassista Nigel Clutterbuck.

Evidente il dispiacere del musicista, che sulla sua pagina facebook commenta laconico i tanti commenti di supporto dei suoi fans.

Dare – Belief – Gemma Sepolta

« Quest’album parla dell’avere fede in se stessi inseguendo il sogno. Credo che chiunque creda fermamente in ciò che fa possa un giorno raggiungere il suo risultato. Le canzoni di questo disco raccontano la storia delle mie esperienze, delle mie speranze e paure attraverso la mia vita, e credo che sia il mio album preferito dei Dare. » – Darren Wharton, 2005

Tra il 1998, anno di pubblicazione del mastodontico Calm Before The Storm, e il 2001, in cui esce il nuovo album intitolato Belief, avviene in realtà molto poco tra le fila dei Dare. Sono infatti anni in cui Darren Wharton, ormai sempre più consacrato leader del gruppo inglese, fa ritorno nella line-up della tribute band ufficiale dei Thin Lizzy, girando il mondo al fianco di Scott Gorham e soci. Nel tempo libero il musicista continua però a lavorare a nuovi brani, e quando nel 2000 i Lizzy decidono di prendersi una nuova pausa, la maggioranza del materiale per il nuovo disco dei Dare sarà già bella che pronta per la realizzazione in studio.

Lasciata la label MTM Music per autoprodursi sotto il proprio marchio Legend Records, Wharton decide di licenziare il bassista Martin Wilding per ingaggiare in modo definitivo ed ufficiale Richard Dews, che con la sua sola chitarra acustica riempirà in formazione il vuoto lasciato dal basso. Già questo fatto lascia presagire un nuovo e abbastanza netto cambio di rotta nel sound del gruppo che, come vedremo poi, passerà ad essere ancora più intimista, leggero, atmosferico e di impronta celtica che in passato.

Un altro anno di certosine lavorazioni e nel 2001 Belief è disponibile per l’acquisto nei negozi, autoprodotto ma distribuito nel mondo da svariati canali (SPV, MTM, Pinnacle, Playground nei rispettivi Paesi). Una copertina piuttosto semplice richiama nella grafica le antiche tradizioni, con i musicisti a nudo di fronte al pubblico. Leggendo i credits, colpisce subito la riconferma della talentuosa Sue Quinn alle backing vocals, ma soprattutto la presenza di Tricia Hutton al violino e di Tommy Martin alla cornamusa e al flauto irlandese, i quali contribuiranno (e tanto) alla creazione del nuovo elaborato sound originale dei Dare.

Pronti-via e pigiato il tasto play immediatamente abbiamo un deja-vu: il suono delle acque. Un oceano che appare calmo, con i flutti appena mossi dal vento, fa da intro all’opener Silent Thunder. La tempesta è oramai definitivamente passata, e la nuova quiete ci lascia il tempo di guardare a noi stessi, di curare il nostro animo dal turbinio di sensazioni e paure provate durante il passato e, volendo, nell’ascolto del precedente Calm Before the Storm. Il flauto irlandese di Martin è subito protagonista, squarciando le ultime nubi con il suo dolce suono, e la chitarra acustica di Dews accompagna l’insieme dando il via alla dolce e sussurrata vocalità di Darren Wharton. Il cantante ci narra di un alba che si alza dall’oceano e del suo spirito che vola tra le montagne fino a sentire il suono di un tuono (rumoroso dentro di noi, ma silenzioso fuori) che da vita a un bellissimo sogno, che brucia nel suo petto e nel cuore come un fuoco. Ogni immagine è resa perfettamente in musica da echi di chitarra elettrica, magistralmente suonati da un Moore sempre sugli scudi, e da cornamuse che fanno da toccante e puro intermezzo strumentale. How could they understand how good this feels inside? (come possono capire quanto è bello provare ciò dentro di se?) si chiede Darren, e la risposta più vera è nella sua stessa musica, in queste soavi e poetiche note.

When I was a boy, long time ago.. Inizia qui l’intimista viaggio tra memorie e ricordi di Wharton. Dreams On Fire racconta, sempre tra bellissime atmosfere celtiche e un ritmo un po’ più sostenuto rispetto alla precedente, degli sforzi e delle difficoltà che un uomo deve affrontare nel tentativo di raggiugnere un risultato, una meta che si è prefissato. La chitarra acustica detta il tempo, mentre Moore alla chitarra continua a essere libero di muoversi all’interno delle strutture accompagnando alla perfezione le emozioni di Darren.

La seguente White Horses (Lions Heart) è forse uno dei più bei pezzi scritti nell’intera discografia dei Dare, e quello che quindi più di altri merita una analisi dettagliata. Anche perchè il suo testo, diciamolo, è quanto di più toccante esista. Il brano narra di un giovane coraggioso che decide di lasciare la sua terra, la sua patria, per inseguire un sogno. Nel farlo, deve per forza di cose allontanarsi dalla sua amata, che lo saluta fiera e orgogliosa sulla costa al mattino della partenza, mentre le vele lo portano via lontano dalla terraferma. La luce che ora vede in mezzo al mare, lungo l’orizzonte, diventa il simbolo del loro amore che non cede, e attraverso le onde che si infrangono sulla nave le preghiere di lei giungono al suo cuore. Passano le stagioni e la loro promessa rimane. Toccando la catena che lei gli ha regalato la sente ancora un po’ vicina e sa in cuor suo che lei è ancora là, seduta sugli scogli, ad attenderlo. E le onde non smettono di battere sullo scafo della sua nave..
Inutile descrivere la musicalità di questo brano, le sue melodie raffinatissime e il suo refrain dolce e intimo. Chiudete gli occhi, e nel silenzio ascoltate.

Si volta in qualche modo pagina con la title track Belief, la canzone più pinkfloydiana della carriera dei Dare e una sorta di Comfortably Numb in chiave rock melodica. Ariosa, pura, la traccia si mostra come un bellissimo dialogo padre-figlio, in cui il genitore esorta il figlio a non aver paura, a vivere la sua vita al massimo delle sue possibilità, senza precludersi nulla. Valore aggiunto del pezzo è la voce di Sue Quinn, che fa da magico sottofondo sostituendo in parte gli echi della chitarra di Moore, ora leggermente defilata e più nei canoni del genere, quantomeno fino al suo brillante assolo.

E poi Run Wild Run Free, un’altra grandissima traccia che narra di una ragazza nata nel 1975 e che, stando al testo, è cresciuta al fianco di un amorevole padre, il quale ha contribuito a formare il suo bel carattere e le sue brillanti qualità. Una fanciulla che Darren incontra a 17 anni, probabilmente appena trasferitosi in Irlanda alla corte di Phil Lynott, e che da quel giorno illuminerà e cambierà per sempre la sua vita. E’ un altro brano da cui affiorano dense emozioni e la cui struttura rasenta la perfezione, con un groove caldo e un perfetto tappeto di suoni a riempire l’ascolto, fino a un toccante finale tutto da gustare.

C’era una volta un amico di cui ci fidavamo, che credevamo sincero e vero, che però si è rivelato un’altra persona alle nostre spalle. Da una situazione dolorosa come questa nasce We Were Friends, una traccia sofferta che ci parla della definitiva rottura di un’amicizia. La rabbia e la disperazione lasciano mano a mano spazio alla nostalgia, alla mancanza, alla paura per il futuro, mentre le parole di affetto mai dette tra i due amici si infrangono tra le memorie e ci si interroga, tra ripensamenti e emozioni via via sempre più contrastanti, se la scelta di rompere il rapporto sia stata giusta o meno. E’ un lento magistrale, alla Mark Knofler, dominato dalla voce di Wharton, dalla sua capacità di trasmettere ogni singola pulsazione all’ascoltatore. Arrangiamenti da urlo, e lacrime dentro il cuore.

Un altro racconto di giorni passati e nostalgie ci arriva con Falling, settimo brano di Belief e nuova ballata incandescente dal testo narrativo di una intima e incantevole poeticità. Seduto su un treno, alle prime luci del mattino, un uomo ripensa alla amata e alla lettera d’addio che le ha lasciato accanto al letto. Vorrebbe chiamarla, spiegarle tutto, ma non lo fa, non se la sente. Passano gli anni e la nostalgia si fa ancora più forte, quelli erano i suoi anni migliori e chissà, potrebbe anche provare a telefonarle e vedere come sta, se si ricorda di lui e di loro dopo così tanto tempo. Ma mentre le strade cittadine gli sembrano sempre più fredde, l’uomo realizza che il suo sogno si è infranto, e che non potrà mai più riaverla al suo fianco.. Tipica power ballad nel clima musicale di questo album, ennesimo sussulto emozionale, tutto battiti e caldo feeling.

C’è tanto di Calm Before the Storm invece in Where Will You Run To, che diversamente dalle ultime canzoni è una traccia impostata come up-tempo e tende a scorrere più ritmata e sostenuta. C’è più chitarra, batteria, voglia di movimento. Un ritorno al sound più rock e meno pop per presentare la lucida realizzazione di quanto si è sognato, vissuto e provato negli ultimi brani, e nei rispettivi sogni. Gli occhi si sono aperti, c’è davanti a noi un mondo da vivere ed esplorare: che cosa aspettiamo a ripartire all’avvenutura, lasciando alle spalle echi e ricordi?!

Take Me Away: la liberazione. Soffice e vellutata, ampiamente acustica, la canzone è un viaggio tra panorami idilliaci e paradisiaci. Riflessiva e quieta, ci fa immaginare un tramonto sulle acque, mentre nuovi pensieri vorticano nella nostra mente. Già con essa, lentamente, al fianco dei Dare torniamo a respirare l’aria di una nuova esistenza, e ci muoviamo piano su simili sonorità fino a Promised Land, altra traccia rilassata e rilassante, squisitamente atmosferica e levigata. Abbiamo raggiunto il nostro obiettivo, toccato con mano la terra promessa, ora il nostro viaggio volge al termine e le nostre ossa possono finalmente riposare sul fresco arenile.

L’ultimo respiro di Belief è racchiuso in Phoenix, un brano totalmente incentrato sulle sue bellissime liriche ed emozioni. Wharton è accompagnato ora dalla chitarra acustica del solo Dews, che non a caso appare come co-autore di questo pezzo. In regalo per voi, la traduzione di tutto l’intenso testo:

Dimmi perchè cambiano le stagioni, e perchè c’è della pioggia che cade sulla mia testa. Dimmi perchè il mio amore rimane, e le promesse che mi hai fatto si sono infrante. Come una fenice mi sollverò ancora dalle fiamme, e dirò addio all’estate, dirò addio a te, e dirò ciao all’inverno, è tutto quello che posso fare. Non c’è inferno che abbia la stessa furia di una donna disprezzata, è un sentimento che colpisce come un onda sulle roccie. La fama e la gloria sono due cose differenti, che crescono con il fumo dal fuoco. Come una fenice mi sollverò ancora dalle fiamme, e dirò addio all’estate, dirò addio a te, e dirò ciao all’inverno, è tutto quello che posso fare.

IN CONCLUSIONE

Belief è a tutti gli effetti il quarto (e per molti ultimo) vero e puro capolavoro della discografia dei Dare. E’ l’album più riflessivo, intimo, privato, personale e sincero tra quelli scritti dal palmo di Darren Wharton, che proprio per questo lo nomina come uno dei suoi preferiti, se non il suo preferito, di sempre. E’ un prodotto assolutamente soft ma che non disedegna qualche cavalcata rock e qualche bella schitarrata di Moore, specie sugli assoli. Certo, è un album lontano sotto certi aspetti anni luce dai canoni del rock melodico, e a primo ascolto può sembrare un prodotto di soft rock atmosferico, ma ascoltandolo bene e nel dettaglio vederete che troverete diversi parallelismi con le precedenti uscite di questo stupendo combo inglese.

Insomma, la magia continua e questi quattro musicisti inglesi appaiono sempre più autori di un genere unico e inimitabile, originale, forse descrivibile soltanto come una sorta di alleggerimento del sound pinkfloydiano in chiave melodic rock, e quindi non più progressiva. Non lo so. Certo è che Belief appare come un rosso raggio di sole in un fresco tramonto, che tocca la nostra pelle riscaldandola di un caldo brivido. Poesia allo stato puro, tra suoni di tradizione celtica e la silenziosa furia del rock.

 

Thin Lizzy: tutto sulla nuova formazione

blackstarridersbandDopo le indiscrezioni degli scorsi giorni, i Thin Lizzy hanno deciso di svelare in anticipo (si parlava di dopo Natale..) i dettagli della loro futura formazione, che darà vita ad un nuovo attesissimo album nel 2013.

Il moniker scelto è Black Star Riders, la cui line-up è formata da Ricky Warwick (vocals), Scott Gorham (guitar), Damon Johnson (guitar), Marco Mendoza (bass) con la nuova aggiunta di Jimmy DeGrasso alla batteria. Escono quindi di formazione Brian Downey, che dichiara di non voler intraprendere un altro estenuante tour, e Darren Wharton, pronto a dedicarsi al 100% ai suoi Dare.

La band entrerà in studio a Los Angeles a gennaio con Kevin Shirley per dar vita al disco di debutto, ancora senza titolo e atteso per il maggio 2013 via Nuclear Blast.

Dare: nuovo album a metà 2013

Dare_Interview2In un’intervista a ARfm (che potete ascoltare qui), Darren Wharton ha ufficialmente annunciato la pubblicazione di un nuovo album dei Dare, la cui uscita è prevista per metà 2013.

Il musicista ha affermato che il 70% del lavoro di composizione dei nuovi brani è già stato ultimato e che suoneranno le chitarre sul disco Vinny Burns, Richard Dews e il figlio Paris Wharton. L’album, ancora senza nome (smentito per il momento il titolo, circolato in passato, di Seven) è stato descritto come ‘uno dei migliori della carriera dei Dare’.

Si apprende infine che la band sarà in tour nel 2013, con date già fissate in Regno Unito (una a Londra), Norvegia, Germania e Spagna.