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12 Luglio 2025 0 Commenti Paolo Paganini
genere: MELODIC/SYMPHONIC METAL
anno: 2025
etichetta: Frontiers
Gli Eternal Idol furono fondati nel 2016 per volontà del chitarrista Nick Savio e del cantante Fabio Lione, i quali ne pubblicarono nello stesso anno il debutto The Unrevealed Secret sempre per Frontiers. Da li a poco però iniziarono ad emergere problematiche interne che negli anni successivi avrebbero portato alcuni membri ad abbandonare il gruppo mettendone addirittura a repentaglio la sopravvivenza. Dopo essere passati attraverso vari cambi di formazione il combo italiano arriva ai giorni nostri con una line-up (speriamo) stabile e consolidata grazie all’inserimento di Gabriele Gozzi e Letizia Merlo alle voci. I nuovi “acquisti” sembrano più che mai azzeccati e adeguati alle necessità della band. Gabriele e Letizia sono due stimatissimi vocal coach con quest’ultima impegnata tra le varie collaborazioni anche con la spettacolare cover band Synphonika (se capitano dalle vostre parti non perdete occasione per andarli a vedere!). Il risultato del duro lavoro svolto in studio si concretizza con la pubblicazione del nuovo Behind A Vision, un disco che diversamente dai precedenti risulta essere molto più omogeno, equilibrato e moderno. Permangono e spadroneggiano (come era ovvio aspettarsi) le grandi atmosfere caratteristiche del symphonic metal che sono da sempre un loro marchio di fabbrica. Le nuove composizioni risultano però decisamente più armoniose rispetto al passato, ponendo i ragazzi ai vertici del genere. Non potevano mancare i pomposi arrangiamenti orchestrali che pervadono tutte le undici tracce del cd ma più spiccatamente brani quali il singolo d’esordio Empire Of One, Amnesia e Battle Of Soul. Su queste tracce infatti le due voci si fondono con trascinanti melodie e grazie ad un sapiente uso degli archi si intrecciano alla perfezione con essi, diventando così i momenti migliori del disco. Molto interessanti ed originali gli inserimenti di parti di testo in italiano presenti su Beyond The Sun, Revolution e The Great Illusion che donano alle canzoni un tocco tanto elegante quanto distintivo. Particolare menzione merita la riflessiva power ballad The Eye Of God con la quale i nostri confezionando la classica ciliegina sulla torta. Un lieve calo lo si avverte qua e là in alcune tracce (The Idol e Krystal), ma ciò non inficia più di tanto la valutazione finale in quanto il restante materiale consente all’album di spiccare il volo, assestandosi su livelli abbondantemente al di sopra della media.
Chi conosce la band saprà sicuramente cosa aspettarsi e non rimarrà certo spiazzato dalla loro nuova proposta. Allo stesso modo chi ancora non ha avuto modo di ascoltarli troverà in loro un’interessante alternativa al classico melodic/prog metal che sta spopolando a livello internazionale.
12 Luglio 2025 0 Commenti Denis Abello
genere: Melodic Rock
anno: 2025
etichetta: Frontiers Music
I Laguna sono una giovane band messicana proveniente da Torreón, una città del nord del Paese, nel cuore del deserto. Il loro nome non è casuale: fa riferimento a un territorio un tempo coperto d’acqua, oggi arido ma pieno di vita e contrasti. Da questo paesaggio duro e ispirante nascono la grinta e la visione musicale del gruppo, formato da Andrés Espada alla voce, José Mesta alla chitarra solista, Firio Verástegui alla ritmica, Daniel Mesta al basso e Sergio Mtz alla batteria. Dopo aver costruito una solida reputazione nella scena locale, i Laguna catturano l’interesse della Frontiers Music e danno vita al loro debutto discografico: The Ghost of Katrina, prodotto da Jimmy Westerlund (già al lavoro con One Desire e Giant), che dà al tutto una veste sonora moderna, potente e ben confezionata.
L’album si apre con Katrina, un’intro atmosferica e inquieta, fatta di voci in spagnolo e sonorità cupe che creano subito una cornice emotiva intensa: non si tratta solo di un nome, ma di un simbolo, una tempesta interiore che anticipa il viaggio che ci aspetta. Si entra poi nel vivo con Ghost Behind The Mask, primo vero brano del disco, che esplora il tema dell’identità e della paura di mostrarsi per ciò che si è. La voce di Andrés è tesa, energica, perfettamente incorniciata da riff decisi e una produzione che esalta ogni dettaglio. Uno dei migliori brani che mi siano capitati di ascoltare per ora in questo 2025.
Con Living On The Line il ritmo accelera: è un inno al rischio, al vivere al limite, senza compromessi. Il testo è semplice ma efficace, e il ritornello entra in testa subito, perfetto da urlare sotto un palco. La successiva Punk Boy, che vede la partecipazione dello stesso Westerlund alla chitarra, cambia marcia e sfodera un sound più sporco e diretto, quasi punk. Racconta la storia di un ragazzo ribelle, un outsider che non si riconosce nelle regole e nei codici del mondo che lo circonda.
Il cuore più melodico e coinvolgente dell’album arriva con Wildfire, una sorta di power ballad che cresce con intensità, raccontando l’amore e la passione come fuoco indomabile, capace di distruggere e purificare allo stesso tempo. Le chitarre sono piene e avvolgenti, i cori aprono orizzonti da grande arena rock. These Chains, invece, riporta il disco su territori più classici, con un mid-tempo in stile Bon Jovi: il tema delle “catene” mentali e psicologiche è ben reso da un arrangiamento solido, anche se meno originale rispetto ad altri momenti.
Con Electric High i Laguna spingono di nuovo sull’acceleratore, in un brano velocissimo e adrenalinico che esalta la dimensione live. È un pezzo diretto, forse meno profondo nei contenuti e che manca un po’ il bersaglio. Al contrario, My Syndrome è più introspettivo e cupo: racconta il rapporto conflittuale con una parte di sé che fa male ma dalla quale non si riesce a separarsi. Ottima la combinazione tra tastiere e chitarre, in un sound che richiama da vicino i One Desire.
Bring Me To Life continua su questa scia emotiva, parlando di risveglio e rinascita, non tanto in senso spirituale quanto fisico, viscerale. È un brano coinvolgente, ben costruito, con una bella alternanza tra strofa e ritornello. A chiudere l’album ci pensa Sinner Of Tomorrow, che lascia l’ascoltatore con una sensazione sospesa: parla del prezzo da pagare per restare sé stessi, di ciò che siamo disposti a perdere per non scendere a compromessi. Una chiusura amara, ma coerente e intensa.
Nel complesso, The Ghost of Katrina è un debutto decisamente riuscito. I Laguna mostrano idee chiare, grande energia e una buona padronanza dei codici dell’hard rock melodico. Le influenze scandinave (Eclipse, H.E.A.T., One Desire) si sentono, ma sono ben rielaborate all’interno di un’identità che appare già forte e promettente. I brani migliori sono quelli dove melodia e impatto si fondono con maggior equilibrio, come Ghost Behind The Mask, Wildfire e My Syndrome. Qualche piccolo passo falso come in Elctric Drive ma la direzione intrapresa dalla band è quella giusta mettendo a segno un esordio solido e vibrante, che lascia ben sperare per il futuro. I Laguna sono pronti a dire la loro sulla scena internazionale in cui potrebbero davvero brillare.
11 Luglio 2025 0 Commenti Samuele Mannini
genere: AOR
anno: 2025
etichetta: Frontiers
Questo è un disco che sinceramente non mi aspettavo, rappresentando un’operazione musicale che si distingue dalle solite strategie di mercato. Non siamo di fronte alla solita superband costruita ad hoc per promuovere gli artisti di un’etichetta, ma a un progetto già consolidato. La formazione, facilmente identificabile dal nome, è una cover band ufficiale dei Foreigner, e vanta un’ampia esperienza dal vivo, con concerti ininterrotti dal 2019 ad oggi. Un’altra piacevole sorpresa è la presenza di artisti di grande calibro: il cantante giramondo Chandler Mogel, il batterista Scott Duboys (già membro dei Warrior Soul), e, udite, udite, il bassista Scott Metaxas, che molti lettori di queste pagine ricorderanno come una delle menti dei leggendari Prophet.
Fa riflettere il fatto che artisti di questo calibro, per continuare a fare musica, debbano percorrere gli Stati Uniti come cover band (per giunta di un gruppo ancora in attività), anziché vivere della propria arte. Questo evidenzia quanto il grande pubblico sia ormai legato ai grandi nomi del passato, troppo restio a scoprire nuove proposte musicali. Un comportamento che trova complicità nelle grandi etichette discografiche, poco inclini a promuovere nuovi talenti in questo genere. In questo scenario, un plauso va alla Frontiers, che ha permesso la pubblicazione di queste canzoni.
La band dichiara sin da subito la propria missione: far rivivere il sound degli anni d’oro del genere, con un omaggio evidente ai Foreigner. Tuttavia, non si limita a riproporre formule già sentite, né a seguire pedissequamente un riferimento sonoro. Costruisce invece una propria identità, capace di evocare quell’epoca senza scadere nel mero revival, riuscendo a suonare, al tempo stesso, fedele e sorprendentemente attuale. Il mood dei Foreigner è ovviamente percepibile, ma le sonorità riflettono le diverse fasi della loro carriera, contribuendo a diluire e rendere più sfaccettato l’effetto derivativo.
In un periodo in cui mi sento sempre meno coinvolto emotivamente da un genere ormai saturo di uscite, talvolta tecnicamente dignitose ma raramente capaci di emozionarmi, questo disco è un raggio di sole: dimostra che, con un po’ di pazienza, qualcosa di davvero valido si può ancora trovare. Peccato, però, che l’industria privilegi ancora la quantità alla qualità, annacquando tutto con un flusso continuo di pubblicazioni che, a conti fatti, hanno ben poco senso dal punto di vista artistico, rischiando inoltre di sovraccaricare il pubblico dei pochi fedelissimi rimasti.
Veniamo però al disco, che saprà sicuramente intrattenervi durante questa torrida estate: l’opener “Prison of Illusion”, ritmato e catchy, ci cala subito nel mood giusto, e il suo solo di sax ci catapulta nei mid-eighties, preparandoci all’ascolto del primo singolo, ovvero la scanzonata e ficcante “No Fool for Love”. Già dagli arrangiamenti si intuisce che abbiamo a che fare con musicisti che conoscono il mestiere alla perfezione. “The Man You Make Me” è il primo lento del disco e ci mostra un Mogel sugli scudi, mentre la successiva “I Know the Way” potrebbe tranquillamente essere un outtake del debutto dei Tyketto, anche perché, in fin dei conti, il registro vocale del buon Chandler non è poi così distante da quello di Danny Vaughn. Eccoci dunque arrivare a “Youphoria”, esempio lampante di come, quando c’è buon gusto, si possa tirare fuori una canzone strafiga anche partendo da un giro tutto sommato basilare: un elogio alla semplicità unita alla classe. “Look Out for Me” è un altro lento ricco di pathos, seguito dalla strumentale Transient Times, chiaro omaggio all’album Double Vision, che, se la memoria non mi inganna, è l’unico strumentale rilasciato su disco dai Foreigner.
Siamo alla canzone numero otto e ancora non si notano cali di tensione di sorta, e anche “Silence Is Louder” intrattiene egregiamente, ed anche qui vorrei far notare la finezza degli arrangiamenti e gli innesti delle voci femminili, così tanto per gradire. La successiva “Church of the Open Mind” è probabilmente più canonica nella sua struttura, ma il ritornello catchy la eleva dalla mediocrità, mentre “Once Before” è un tripudio di sax, atmosfere soul, controcanti femminili ed un tocco a la Joe Pasquale. Mancano ancora tre canzoni alla fine, ma se non siete già in estasi allora ci penserà “A Stranger’s Face” a farvi gongolare immaginandovi ad un concerto con l’accendino al vento. “This Day and Age” e “Love Could Rule” chiudono il disco, la prima con un rock blues di categoria, la seconda con un tocco più easy, ma sempre quella sapienza negli arrangiamenti di caratura superiore.
In sostanza, non prendete il voto come un voto di circostanza: questo è un voto molto reale, un voto che sarebbe stato tale e quale anche nel 1987, non so se ho reso l’idea…
06 Luglio 2025 0 Commenti Iacopo Mezzano
genere: Heavy Metal / Heavy Rock / Melodic Rock
anno: 2025
etichetta: Frontiers Music
Dopo la prematura scomparsa del cantante Kimmo Blom, avvenuta nell’agosto del 2022, per i finlandesi Leverage deve essere stato certamente difficile ritrovarsi, e poi riunirsi come band.
Blom, che era a sua volta un subentrante nel gruppo (il cantante originale Pekka Heino uscì dalla band dopo i primi tre album), era un vocalist di ampia fama in patria, di buon background (su tutti gli Heartplay e gli Urban Tale), ma soprattutto era un enorme talento canoro che, dopo un buon avvio con Determinus (2019), si era perfettamente integrato nella formazione, dando vita con i suoi nuovi compagni a un piccolo gioiellino discografico come Above the Beyond (2021). Insomma, parliamo di una figura difficile da sostituire, non solo in line-up ma anche nel cuore dei fans e degli appassionati.
continua
03 Luglio 2025 0 Commenti Lorenzo Pietra
genere: Hard Rock Melodico
anno: 2025
etichetta: Good Time Music
Cosa aspettarsi da un album con la copertina a la “Lynyrd Skynyrd” e un nome e look selvaggio come Wildheart? Semplice, Wild ‘n Three!
La band, semisconosciuta dalle nostre parti, ma con un buon seguito nel paese di origine, Belgio, pubblica il terzo lavoro studio intitolato proprio Wild ‘n Three. I cinque rockers pescano a mani basse dagli anni ’80 e ’90 a partire dai nomi, Farty alla voce (andate a leggervi la traduzione), Foxx e Juice alle chitarre , Stevie Dee al basso e Thunderberck alla batteria e propone, come la label Good Time Music descrive, un glam metal ispirato a leggende tra cui Motley Crue, Van Halen e Whitesnake. Personalmente vedo principalmente il gruppo di Vince Neil e soci con una spruzzata di Swedish Rock nei ritornelli esplosivi.
L’album è senza dubbio un insieme di energia pura, assoli melodici, ritornelli coinvolgenti e già l’opener Miss Treat Me Right con le chitarre ruggenti e il puro hard rock riesce a farci scatenare. Le seguenti Last Goodbye e Sands Of Time non sono da meno, melodiche, potenti, nel primo pezzo Farty dimostra la sua classe vocale, nel secondo il groove delle due chitarre è qualcosa di magico e coinvolgente. Si continua con Fire In The Hole e FC , altri due pezzi rock come non mai, dove il drumming stavolta è in primo piano a scandire il tempo ed entrambe le songs
sono cori da stadio. Si arriva al pezzo migliore dell’album, We Are The Ones. Basso pulsante iniziale, batteria che entra potente con le chitarre, Farty che attacca quasi parlando e le chitarre si intrecciano…wow!!! Ancora Hey Man! , Chameleon , altre canzoni che dimostrano la bravura di questo gruppo che riesce a tirare fuori il meglio da ogni traccia. La mia curiosità nell’aprire e cosa aspettarmi dalla traccia Festina Lente(!!?) finisce con una bella mid tempo, dove il ritornello vola su note alte ed il riff è veramente semplice ma dannatamente efficace. Si chiude con la chitarra acustica e la voce di The Gentle Tyrant, che ci accompagnano nel lungo intro da quasi due minuti per poi sentire l’esplosione delle chitarre elettriche e riportare il sound classico e l’assolo da manuale veramente fantastico!!!
IN CONCLUSIONE:
Un album e un gruppo da scoprire con il loro rock melodico, chitarre hard rock, grandi assoli e una voce coinvolgente. I Wildheart e questo Wild ‘n Three hanno fatto decisamente centro, un disco da riascoltare a ripetizione!
27 Giugno 2025 1 Commento Paolo Paganini
genere: MELODIC METAL
anno: 2025
etichetta: Frontiers
Nicklas Sonne… chi era costui? Questa potrebbe essere una domanda lecita che verrebbe spontaneo porsi di fronte a questo disco ma leggendo la biografia di Sonne scopriamo che egli è tutt’altro che uno sconosciuto. Nicklas è infatti è un polistrumentista danese con alle spalle numerosi progetti metal e progressive tra i quali possiamo menzionare i Defecto e gli Aries Descendant (questi ultimi già usciti per Forntiers nel 2024 con l’album From The Ashes Of Deceit) ed importanti esperienze al fianco di Metallica e Dream Theater. Il suo primo album nel quale il nostro si cimenta in veste solista cantando e suonando tutti gli strumenti è una vera e propria sorpresa in senso positivo.
Su Eletric Dream il ragazzo si sbizzarrisce proponendo una serie di dodici tracce estremamente varie mescolando brani di diverso genere. A farla da padrone, come del resto era lecito aspettarsi, è il classico hard rock/heavy metal ma a stupire sono le inaspettate incursioni nel pop da classifica e nell’hard rock americano. Si parte alla grande con la pomposa Fireline che grazie ad un imponente muro sonoro di chitarre e tastiere ci travolge regalandoci un hard rock di matrice nord europea di grande impatto. Route 65 fin dal titolo si rifà al polveroso hard rock statunitense riconducibile agli ZZ Top. Sulla stessa falsariga si muove la granitica Shadows In Betweens mentre con A Women’s World e Limitless ci spostiamo su un metal melodico alla H.E.A.T. che arriva dritto all’ascoltatore grazie ad un ritornello facilmente memorizzabile fin dal primo ascolto. Epic Song è la prima sorpresa dell’album. Una traccia di country pop da classifica a metà strada tra Kid Rock e Wake Me Up di Avicii (?!?!). Con Electric Dream e Living Loud ritorniamo su territori più consoni alla nostra linea editoriale mentre Baron Of Mischief sembra estrapolata dalla discografia dei Nickelback. Helldivers Anthem è speed metal allo stato puro a cui a cui si contrappone la splendida power ballad Alway With Us ideale colonna sonora di un film di genere epico.
In chiusura segnalo la strumentale Overload che permette a Nicklas di sfoggiare tutta la sua abilità alla sei corde dimostrandosi un valido chitarrista oltre che un ottimo cantante. Un album molto interessante che darà modo di conoscere questo talentuoso musicista ed interprete ad una platea ancor più ampia di appassionati.
26 Giugno 2025 3 Commenti Alberto Rozza
genere: Hard Rock
anno: 2025
etichetta: Lions Pride Music
In uscita il terzo album dei Circus Of Rock, superband capitanata dal veterano Mirka “Leka” Rantanen, musicista dalla carriera ultra trentennale e dalle infinite collaborazioni.
“The Great Evil” è un inizio incredibile: potenza ritmica, riff azzeccato e un arrangiamento di grande impatto per rompere il ghiaccio nella maniera migliore. Seconda traccia riservata alla title track “Hellfire”, energica e ben strutturata, dai fraseggi interessanti e virtuosi al punto giusto. “On The Lips Of Fate” si apre all’ascoltatore con la sua trama tagliente e la parte vocale molto intensa e penetrante: complessivamente una buonissima traccia, con quella chiusura di ritornello (“And fallin’”) incredibilmente catchy. Passiamo alla successiva “Broken Pieces”, molto più oscura e introspettiva, dal ritornello intensissimo, un pezzo molto godibile anche a livello strumentale. “Heat Of The Moment” è una power ballad dalla dinamica ben costruita, con un buonissimo arrangiamento e dalla resa ottimale: non banale come spesso accade. Grande scoperta con “Die Another Day” (che fortunatamente nulla ha che spartire con l’orrendo brano di Madonna), pezzone potentissimo, lanciatissimo e dalle sezioni strumentali ruggenti, piacevolissimo all’ascolto e al riascolto. Ci rilassiamo un attimo con “Lead Tears”, brano di transizione che però riesce comunque a trasmetterci spunti interessanti, soprattutto a livello musicale. “Back For Good” è una traccia canonica, dal gusto vintage, sempre piacevole, adatta un po’ a tutti i tipi di ascoltatore, così come “Kill The Lights”, molto teutonica come hard rock, che ci ricorda qualcosa degli Scorpions, quindi decisamente positiva. Colpo di coda inaspettato con la travolgente “All Or Nothing”, conturbante, ben costruita, capace di coinvolgere e di imprimersi nella mente senza troppi fronzoli. Ultimi sussulti con “Tough Pill To Swallow”, altra cavalcata inarrestabile, che ci consegna un lavoro eseguito, ideato e prodotto in modo ineccepibile, con slanci di tecnica e composizione non indifferenti, complessivamente piacevole da ascoltare e dagli spunti non banali.
26 Giugno 2025 0 Commenti Vittorio Mortara
genere: Hard Rock
anno: 2025
etichetta: CTM Music
I nomi coinvolti nel progetto Tiffany Kills possono, da soli, far pensare ad un supergruppo: Jaycee Cuijpers (Praying Mantis, Ayreon…), Christian Tolle (CTP) e Don Dieth (U.D.O.) sono degli scafati veterani della scena hard’n’heavy europea degli ultimi 20 anni e la loro esperienza è evidente in ogni solco di questo “World on fire”. Il rifferama e, più in generale, l’intero impianto chitarristico del disco denuncia una spiccata derivazione dai canoni del teutonic hard rock sound di fine secolo scorso. E anche la sezione ritmica, pur senza strafare, sostiene adeguatamente le canzoni. Quindi mi è piaciuto? Beh, insomma… Lo trovo innanzitutto poco variegato in termini di songwriting. Al terzo granitico riff comincio ad avere l’impressione che i pezzi si somiglino tutti un po’ troppo. Sensazione avvalorata anche dalla voce del buon Jaycee, roca ed old style, che stride leggermente anche quelle poche volte in cui atmosfere si fanno più rarefatte e melodiche. Ed a poco servono i cori della signora Mandi Sneijers per ingentilire quei colpi di gola che ricordano un po’ RJ Dio o il gigante Jorn. Alla fine dell’ascolto non mi rimane un pezzo particolare in testa. Diciamo che l’opener “I’ll come running”, gli inserti di piano della melodica ed aoerreggiante “Breathless”, la scarna “World on fire” e l’anthemica “Too young” si elevano un gradino al di sopra del livello generale, riuscendo a lasciare traccia.
Questo lavoro è la dimostrazione che, a volte, tecnica individuale ed esperienza, se non supportate da un livello adeguato di songwriting, non sono sufficienti a far staccare un album dalla media delle uscite. Peccato, perché qui c’era anche una buona produzione, curata da Tolle stesso… Peccato davvero, sarà per la prossima volta…
10 Giugno 2025 5 Commenti Alberto Rozza
genere: Hard Rock
anno: 2025
etichetta: Frontiers
In uscita il quinto album dei britannici Inglorious dal titolo “V”: lietissima notizia prima dell’estate, che riporta alle nostre orecchie una band dal grandissimo carisma e dalle sonorità speciali.
Apriamo le danze con “Testify”, dal riff coinvolgente e dalla linea vocale tagliente, dalla pacca sonora intensa e corposa: da ascoltare e riascoltare. Passiamo a “Eat You Alive”, bella tosta e martellante, un hard rock ben fatto e dal gusto a metà tra il contemporaneo e il passato. “Devil Inside” mantiene questa dinamica poderosa, con toni più oscuri e micidiali, risultando nel complesso un buonissimo brano. Si torna su orizzonti più scanzonati con “Say What You Wanna Say”, pezzone orecchiabile dal ritornello cantabile, nel complesso appetibile per un pubblico vasto ed eterogeneo. Corale e titanica, arriva il momento di “Believe”, variegata, strumentalmente complessa, dalle molteplici sfaccettature e dai fraseggi ben costruiti: ottima prova. Non poteva mancare una bella intro basso/chitarra e basso/voce, in pieno stile anni ‘80: “Stand” piace e si fa piacere, con quel suo sapore un po’ agé, che non guasta mai, al contrario della successiva “In Your Eyes”, più attuale e pestata, ma globalmente non eccezionale. “Silent” ha una piacevolissima dinamica e una struttura interessante, ben cesellata e dove la voce incredibile di Nathan James trova note e colori impressionanti. Con “End Of The Road” torniamo su sentieri più hard rock, sempre mantenendo l’ottimo standard tenuto sinora. Concludiamo questo splendido album con la micidiale “Power Of Truth”, ultimo anello di una catena praticamente perfetta, ovvero un lavoro eseguito e mixato in maniera eccellente, potente e ben sviluppato in tutte le sue parti, da godere sino all’ultima nota.
10 Giugno 2025 1 Commento Alberto Rozza
genere: Melodic Metal
anno: 2025
etichetta: Scarlet Records
In uscita il quarto lavoro dei Moonlight Haze, band ormai solida e dal curriculum invidiabile, capitanata da Chiara Tricarico, che propongono un power metal dalle venature melodiche.
Inizio inconsueto con la title track “Beyond”, una leggerissima e veloce melodia voce e pianoforte, incredibilmente suadente e delicata. Cambia decisamente l’atmosfera con “Tame The Storm”, potente e graffiante, corale e aggressiva, un brano decisamente riuscito e gradevolissimo. “Crystallized” è un pezzo bello corposo e godibile, con una dinamica interessante, che carica durante la strofa ed esplode nel ritornello, orecchiabile e che resta subito in testa. Con “Chase The Light” restiamo sulla stessa linea stilistica, ovvero chitarre ben presenti, ritmiche martellanti, atmosfere ampie e una voce limpida, una sorta di marchio di fabbrica della band, così come la successiva “Would You Dare”, un po’ più oscura nel riff, ma globalmente molto vicina alle altre tracce dell’album. Il momento del lento arriva sempre: ecco “L’Eco Del Silenzio”, cantato in italiano, una perfetta e lieve armonia che rallenta meravigliosamente l’impeto heavy dei Moonlight Haze catapultandoci in un mondo magico. “D.N.A. (Do Not Apologize)” torna a martellare, riportando l’ascolto su un piano più metal e attestandosi come uno dei pezzi più divertenti del lavoro, al contrario di “Untold”, un po’ ripetitiva e scontata. Ritmicamente molto interessante e dalla coralità inusuale, arriva “Time To Go”, buonissima sorpresa in coda all’album. Chiudiamo la recensione con “Awakening”, sempre sulla stessa lunghezza d’onda delle altre tracce, che chiude anche l’ascolto dell’ultima uscita dei Moonlight Haze, che ci consegnano 10 pezzi interessanti, stilisticamente ben delineati, a tratti sorprendenti e a tratti poco originali, ma globalmente ben strutturati, ben eseguiti e che lasciano nell’ascoltatore un certo interesse per la loro esecuzione dal vivo.