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Recensione Gemma Sepolta

Gemma Sepolta

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Dare – Belief – Gemma Sepolta

12 Dicembre 2013 10 Commenti Iacopo Mezzano

genere: Aor
anno: 2001
etichetta: Legend Records
ristampe:

Tracklist:

1. "Silent Thunder"
2. "Dreams on Fire"
3. "White Horses (Lions Heart)"
4. "Belief"
5. "Run Wild Run Free"
6. "We Were Friends"
7. "Falling"
8. "Where Will You Run To"
9. "Take Me Away"
10. "Promised Land"
11. "Phoenix"

Formazione:

Darren Wharton - Voce/Tastiere
Andrew Moore - Chitarre
Richard Dews - Chitarre
Julien Gardner - Batteria

 

« Quest’album parla dell’avere fede in se stessi inseguendo il sogno. Credo che chiunque creda fermamente in ciò che fa possa un giorno raggiungere il suo risultato. Le canzoni di questo disco raccontano la storia delle mie esperienze, delle mie speranze e paure attraverso la mia vita, e credo che sia il mio album preferito dei Dare. » – Darren Wharton, 2005

Tra il 1998, anno di pubblicazione del mastodontico Calm Before The Storm, e il 2001, in cui esce il nuovo album intitolato Belief, avviene in realtà molto poco tra le fila dei Dare. Sono infatti anni in cui Darren Wharton, ormai sempre più consacrato leader del gruppo inglese, fa ritorno nella line-up della tribute band ufficiale dei Thin Lizzy, girando il mondo al fianco di Scott Gorham e soci. Nel tempo libero il musicista continua però a lavorare a nuovi brani, e quando nel 2000 i Lizzy decidono di prendersi una nuova pausa, la maggioranza del materiale per il nuovo disco dei Dare sarà già bella che pronta per la realizzazione in studio.

Lasciata la label MTM Music per autoprodursi sotto il proprio marchio Legend Records, Wharton decide di licenziare il bassista Martin Wilding per ingaggiare in modo definitivo ed ufficiale Richard Dews, che con la sua sola chitarra acustica riempirà in formazione il vuoto lasciato dal basso. Già questo fatto lascia presagire un nuovo e abbastanza netto cambio di rotta nel sound del gruppo che, come vedremo poi, passerà ad essere ancora più intimista, leggero, atmosferico e di impronta celtica che in passato.

Un altro anno di certosine lavorazioni e nel 2001 Belief è disponibile per l’acquisto nei negozi, autoprodotto ma distribuito nel mondo da svariati canali (SPV, MTM, Pinnacle, Playground nei rispettivi Paesi). Una copertina piuttosto semplice richiama nella grafica le antiche tradizioni, con i musicisti a nudo di fronte al pubblico. Leggendo i credits, colpisce subito la riconferma della talentuosa Sue Quinn alle backing vocals, ma soprattutto la presenza di Tricia Hutton al violino e di Tommy Martin alla cornamusa e al flauto irlandese, i quali contribuiranno (e tanto) alla creazione del nuovo elaborato sound originale dei Dare.

Pronti-via e pigiato il tasto play immediatamente abbiamo un deja-vu: il suono delle acque. Un oceano che appare calmo, con i flutti appena mossi dal vento, fa da intro all’opener Silent Thunder. La tempesta è oramai definitivamente passata, e la nuova quiete ci lascia il tempo di guardare a noi stessi, di curare il nostro animo dal turbinio di sensazioni e paure provate durante il passato e, volendo, nell’ascolto del precedente Calm Before the Storm. Il flauto irlandese di Martin è subito protagonista, squarciando le ultime nubi con il suo dolce suono, e la chitarra acustica di Dews accompagna l’insieme dando il via alla dolce e sussurrata vocalità di Darren Wharton. Il cantante ci narra di un alba che si alza dall’oceano e del suo spirito che vola tra le montagne fino a sentire il suono di un tuono (rumoroso dentro di noi, ma silenzioso fuori) che da vita a un bellissimo sogno, che brucia nel suo petto e nel cuore come un fuoco. Ogni immagine è resa perfettamente in musica da echi di chitarra elettrica, magistralmente suonati da un Moore sempre sugli scudi, e da cornamuse che fanno da toccante e puro intermezzo strumentale. How could they understand how good this feels inside? (come possono capire quanto è bello provare ciò dentro di se?) si chiede Darren, e la risposta più vera è nella sua stessa musica, in queste soavi e poetiche note.

When I was a boy, long time ago.. Inizia qui l’intimista viaggio tra memorie e ricordi di Wharton. Dreams On Fire racconta, sempre tra bellissime atmosfere celtiche e un ritmo un po’ più sostenuto rispetto alla precedente, degli sforzi e delle difficoltà che un uomo deve affrontare nel tentativo di raggiugnere un risultato, una meta che si è prefissato. La chitarra acustica detta il tempo, mentre Moore alla chitarra continua a essere libero di muoversi all’interno delle strutture accompagnando alla perfezione le emozioni di Darren.

La seguente White Horses (Lions Heart) è forse uno dei più bei pezzi scritti nell’intera discografia dei Dare, e quello che quindi più di altri merita una analisi dettagliata. Anche perchè il suo testo, diciamolo, è quanto di più toccante esista. Il brano narra di un giovane coraggioso che decide di lasciare la sua terra, la sua patria, per inseguire un sogno. Nel farlo, deve per forza di cose allontanarsi dalla sua amata, che lo saluta fiera e orgogliosa sulla costa al mattino della partenza, mentre le vele lo portano via lontano dalla terraferma. La luce che ora vede in mezzo al mare, lungo l’orizzonte, diventa il simbolo del loro amore che non cede, e attraverso le onde che si infrangono sulla nave le preghiere di lei giungono al suo cuore. Passano le stagioni e la loro promessa rimane. Toccando la catena che lei gli ha regalato la sente ancora un po’ vicina e sa in cuor suo che lei è ancora là, seduta sugli scogli, ad attenderlo. E le onde non smettono di battere sullo scafo della sua nave..
Inutile descrivere la musicalità di questo brano, le sue melodie raffinatissime e il suo refrain dolce e intimo. Chiudete gli occhi, e nel silenzio ascoltate.

Si volta in qualche modo pagina con la title track Belief, la canzone più pinkfloydiana della carriera dei Dare e una sorta di Comfortably Numb in chiave rock melodica. Ariosa, pura, la traccia si mostra come un bellissimo dialogo padre-figlio, in cui il genitore esorta il figlio a non aver paura, a vivere la sua vita al massimo delle sue possibilità, senza precludersi nulla. Valore aggiunto del pezzo è la voce di Sue Quinn, che fa da magico sottofondo sostituendo in parte gli echi della chitarra di Moore, ora leggermente defilata e più nei canoni del genere, quantomeno fino al suo brillante assolo.

E poi Run Wild Run Free, un’altra grandissima traccia che narra di una ragazza nata nel 1975 e che, stando al testo, è cresciuta al fianco di un amorevole padre, il quale ha contribuito a formare il suo bel carattere e le sue brillanti qualità. Una fanciulla che Darren incontra a 17 anni, probabilmente appena trasferitosi in Irlanda alla corte di Phil Lynott, e che da quel giorno illuminerà e cambierà per sempre la sua vita. E’ un altro brano da cui affiorano dense emozioni e la cui struttura rasenta la perfezione, con un groove caldo e un perfetto tappeto di suoni a riempire l’ascolto, fino a un toccante finale tutto da gustare.

C’era una volta un amico di cui ci fidavamo, che credevamo sincero e vero, che però si è rivelato un’altra persona alle nostre spalle. Da una situazione dolorosa come questa nasce We Were Friends, una traccia sofferta che ci parla della definitiva rottura di un’amicizia. La rabbia e la disperazione lasciano mano a mano spazio alla nostalgia, alla mancanza, alla paura per il futuro, mentre le parole di affetto mai dette tra i due amici si infrangono tra le memorie e ci si interroga, tra ripensamenti e emozioni via via sempre più contrastanti, se la scelta di rompere il rapporto sia stata giusta o meno. E’ un lento magistrale, alla Mark Knofler, dominato dalla voce di Wharton, dalla sua capacità di trasmettere ogni singola pulsazione all’ascoltatore. Arrangiamenti da urlo, e lacrime dentro il cuore.

Un altro racconto di giorni passati e nostalgie ci arriva con Falling, settimo brano di Belief e nuova ballata incandescente dal testo narrativo di una intima e incantevole poeticità. Seduto su un treno, alle prime luci del mattino, un uomo ripensa alla amata e alla lettera d’addio che le ha lasciato accanto al letto. Vorrebbe chiamarla, spiegarle tutto, ma non lo fa, non se la sente. Passano gli anni e la nostalgia si fa ancora più forte, quelli erano i suoi anni migliori e chissà, potrebbe anche provare a telefonarle e vedere come sta, se si ricorda di lui e di loro dopo così tanto tempo. Ma mentre le strade cittadine gli sembrano sempre più fredde, l’uomo realizza che il suo sogno si è infranto, e che non potrà mai più riaverla al suo fianco.. Tipica power ballad nel clima musicale di questo album, ennesimo sussulto emozionale, tutto battiti e caldo feeling.

C’è tanto di Calm Before the Storm invece in Where Will You Run To, che diversamente dalle ultime canzoni è una traccia impostata come up-tempo e tende a scorrere più ritmata e sostenuta. C’è più chitarra, batteria, voglia di movimento. Un ritorno al sound più rock e meno pop per presentare la lucida realizzazione di quanto si è sognato, vissuto e provato negli ultimi brani, e nei rispettivi sogni. Gli occhi si sono aperti, c’è davanti a noi un mondo da vivere ed esplorare: che cosa aspettiamo a ripartire all’avvenutura, lasciando alle spalle echi e ricordi?!

Take Me Away: la liberazione. Soffice e vellutata, ampiamente acustica, la canzone è un viaggio tra panorami idilliaci e paradisiaci. Riflessiva e quieta, ci fa immaginare un tramonto sulle acque, mentre nuovi pensieri vorticano nella nostra mente. Già con essa, lentamente, al fianco dei Dare torniamo a respirare l’aria di una nuova esistenza, e ci muoviamo piano su simili sonorità fino a Promised Land, altra traccia rilassata e rilassante, squisitamente atmosferica e levigata. Abbiamo raggiunto il nostro obiettivo, toccato con mano la terra promessa, ora il nostro viaggio volge al termine e le nostre ossa possono finalmente riposare sul fresco arenile.

L’ultimo respiro di Belief è racchiuso in Phoenix, un brano totalmente incentrato sulle sue bellissime liriche ed emozioni. Wharton è accompagnato ora dalla chitarra acustica del solo Dews, che non a caso appare come co-autore di questo pezzo. In regalo per voi, la traduzione di tutto l’intenso testo:

Dimmi perchè cambiano le stagioni, e perchè c’è della pioggia che cade sulla mia testa. Dimmi perchè il mio amore rimane, e le promesse che mi hai fatto si sono infrante. Come una fenice mi sollverò ancora dalle fiamme, e dirò addio all’estate, dirò addio a te, e dirò ciao all’inverno, è tutto quello che posso fare. Non c’è inferno che abbia la stessa furia di una donna disprezzata, è un sentimento che colpisce come un onda sulle roccie. La fama e la gloria sono due cose differenti, che crescono con il fumo dal fuoco. Come una fenice mi sollverò ancora dalle fiamme, e dirò addio all’estate, dirò addio a te, e dirò ciao all’inverno, è tutto quello che posso fare.

IN CONCLUSIONE

Belief è a tutti gli effetti il quarto (e per molti ultimo) vero e puro capolavoro della discografia dei Dare. E’ l’album più riflessivo, intimo, privato, personale e sincero tra quelli scritti dal palmo di Darren Wharton, che proprio per questo lo nomina come uno dei suoi preferiti, se non il suo preferito, di sempre. E’ un prodotto assolutamente soft ma che non disedegna qualche cavalcata rock e qualche bella schitarrata di Moore, specie sugli assoli. Certo, è un album lontano sotto certi aspetti anni luce dai canoni del rock melodico, e a primo ascolto può sembrare un prodotto di soft rock atmosferico, ma ascoltandolo bene e nel dettaglio vederete che troverete diversi parallelismi con le precedenti uscite di questo stupendo combo inglese.

Insomma, la magia continua e questi quattro musicisti inglesi appaiono sempre più autori di un genere unico e inimitabile, originale, forse descrivibile soltanto come una sorta di alleggerimento del sound pinkfloydiano in chiave melodic rock, e quindi non più progressiva. Non lo so. Certo è che Belief appare come un rosso raggio di sole in un fresco tramonto, che tocca la nostra pelle riscaldandola di un caldo brivido. Poesia allo stato puro, tra suoni di tradizione celtica e la silenziosa furia del rock.

 

© 2013 – 2022, Iacopo Mezzano. All rights reserved.

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