Coreleoni – III – Recensione

Terzo lavoro per i Coreleoni di Leo Leoni intitolato semplicemente “III” . Se nei primi due capitoli “I” e “II” si erano rivisitate le vecchie hit dei Gotthard, in questa nuova fatica troviamo 10 canzoni nuove , 1 cover e solo 4 rivisitazioni di brani del compianto Steve Lee e co. La notizia principale di “III” sta nel cambio alla voce da Ronnie Romero ad Eugent Bushpepa, cantante albanese con una somiglianza vocale incredibile a Steve Lee. La band si completa con Leo Leoni e Igor Gianola alla chitarra, Mila Merker al basso e Alex Motta alla batteria.

Il primo brano scandisce dalla prima nota cosa Leo Leoni e soci vogliono dirci con questo album; un hard rock sanguigno degno dei primi Gotthard e con Bushpepa sugli scudi . Let Life Begin Tonight parte fortissimo con un refrain che rimane in testa al primo ascolto, mentre Purple Dynamite incrocia l’intro di basso alle chitarre ed ai riff infuocati di Leoni e Gianola per esplodere in un assolo infuocato. Inizio migliore non ci poteva essere. Guilty Under Pressure ha il marchio Gotthard nel sangue, ancora un giro di chitarra e un ritornello azzeccati, brano molto Whitesnake, hard rock ad alti livelli! Greeting From Russia conferma quanto detto fin’ora , il brano è forse meno incisivo come melodia, ma non sfigura grazie sempre al fantastico assolo di Leo Leoni. Sometimes è il primo lento, un po’ bluesy un po’ rock, che riporta ai tempi di Need To Believe col suo incedere lento ma potente, altro centro per i Coreleoni. L’intro country di Like It Or Not esplode in un riff devastante, le chitarre di Leoni e Gianola si intrecciano in ogni nota e Bushpepa tocca note altissime nel ritornello. Brano ipnotico. Continue…

Scorpions – Rock Believer – Recensione

Welcome Back!
I leggendari Scorpions tornano a sette anni di distanza dall’ultimo studio album “Return To Forever” con il diciannovesimo lavoro “Rock Believer”, un vero e proprio gioiello di puro hard rock registrato in pieno periodo di pandemia e con il nuovo innesto alle pelli di Mikkey Dee, a sostituire lo storico James Kottak. La band, che non ha bisogno di presentazioni ma che per i neofiti del rock presento comunque è composta da Klaus Meine alla voce, Rudolf Schenker e Matthias Jabs alle chitarre, Pawel Maciwoda al basso e come detto poc’anzi Mikkey Dee alla batteria. Gli old rocker di Hannover inoltre festeggiano i 50 anni di carriera, costellata di successi planetari, vendite a tanti “zeri” e concerti in tutto il mondo con sold out a ripetizione…
Rock Believer si distingue tra versione classica con un cd (11 canzoni) e Deluxe con un secondo Cd che aggiunge 5 tracce bonus, personalmente consiglio quest’ultima per gustare al massimo il lavoro. Continue…

Ten – Here Be Monster – Recensione

Ritornano i TEN con il loro quindicesimo album Here Be Monster, distribuiti dalla nostrana Frontiers Records. Si tratterebbe di una prima uscita a cui ne seguirà una prossima a breve tempo dove Hughes ha dichiarato che non saranno album “connessi” tra loro, ma semplicemente dato il numero di canzoni registrate pubblicheranno due lavori divisi.
Il mixaggio è sempre lasciato allo storico Dennis Ward (che è dietro il mixer dal 2011) e la band è la storica con Gary Hughes alla voce, Dann Rosingana/Steve Grocott/John Halliwell alle chitarre, Darrell Treece-Birch alle tastiere, Steve McKenna al basso e l’unica novità è alla batteria, dove troviamo Markus Kullman (Sinner, Glenn Hughes,Voodoo Circle).

Partiamo con un track by track e le note del pianoforte con la chitarra arpeggiata aprono a Fearless, che già dopo un minuto profuma di TEN come non mai. Le chitarre elettriche , la batteria scandita e la voce di Gary Hughes creano un’atmosfera epica, l’assolo di chitarra con le tastiere in primo piano chiudono i primi sette minuti di canzone. Si continua con Chapter And Psalm dove ancora una volta l’accoppiata piano-voce apre al naturale proseguimento della prima traccia, Hurricane ammorbidisce il sound e parte sempre con Gary Hughes che sembra leggere una poesia supportata dalle tastiere fino all’esplosione del ritornello in pieno TEN style, canzone scelta come singolo pienamente azzeccata. Strangers On A Distant Shore inizia sempre con la voce di Gary Hughes che fa da preludio ad un riff di chitarra decisamente più heavy rock, da segnalare il bellissimo assolo, melodico e ispirato. The Dream That Fell To Earth ha come protagonista il drummer Markus Kullman e già dai primi tocchi si sente il l’ottimo lavoro e la precisione, per il resto troviamo il classico sound dei Ten. The Miracle Of Life parte lento col pianoforte per poi partire con un riff molto melodico e senza dubbio uno dei più riusciti dell’album. Immaculate Friends direi senza dubbio che è il brano più interessante del lotto, gran inizio dettato da un intreccio di chitarre e tastiere molto eightes, bellissimo refrain e assolo da manuale. Anything You Want è il pezzo più easy dell’album, quasi un pop molto orecchiabile e col solito ritornello che si infila in testa al primo ascolto. Follow Me Into The Fire parte col Gary Hughes sugli scudi per sfociare in un riff roccioso, il pezzo rimane comunque su linee più rock classico. Si chiude con The Longest Time, la ballad dell’album, con un ritornello riuscitissimo e dolcissimo, sempre sorretto dalle tastiere onnipresenti e dall’assolo non scontato e molto ben eseguito.

CONCLUSIONE:
Grande ritorno per i TEN che con Here Be Monster, il sound rimane invariato ma notiamo un passo avanti nella scrittura e nella produzione delle canzoni, i fan possono prendere l’album ad occhi chiusi. Promosso a pieni voti.

Inglorious – We Will Ride – Recensione

Tornano gli Inglorious con il loro quarto lavoro intitolato We Will Ride.La band dopo la pausa forzata torna con una line-up cambiata, infatti agli storici Nathan James alla voce e Phil Beaver alla batteria troviamo i nuovi volti di Danny De La Cruz e Dan Stevens alle chitarre e Vinnie Colla al basso.

L’album è di gran spessore e non può che confermare la classe degli inglesi, che riescono ancora a miscelare un hard rock di ottima fattura e melodie sempre coinvolgenti.

Si parte dalla potente She Won’t Let Go dove il riff iniziale e il ritornello hard rock ti entrano in testa al primo ascolto, a ruota segue Messiah dove il riff molto Led Zeppelin sfocia in un melodico ritornello dove Nathan James sfoggia tutta la sua potenza vocale. Medusa strizza l’occhio al southern, con la slide guitar iniziale per continuare nel classico melodic rock devoto alla band. Eye of The Storm non poteva avere titolo più azzeccato: l’arpeggio dolcissimo iniziale accompagnato dalla voce quasi sussurata di James e le improvvise esplosioni elettriche caratterizzano il brano. Cruel Intention ha il sapore dei Whitesnake più classici col suo riff tagliente, mentre in My Misery un pianoforte iniziale tiene il tempo per concludere con la solita grande esplosione rock. Do You Like ritorna su binari hard rock con le chitarre in primo piano e James su tonalità altissime, da segnalare l’assolo centrale di chitarra breve ma di spessore. He Will Provide vira su un Heavy/Hard rock tiratissimo, aumentano i bpm e l’adrenalina è alle stelle. Gran pezzo. Si continua con We Will Meet Again che inizia con batteria e tastiere e il sound è più stelle e strisce , più compresso, lineare, ma dove ancora gli Inglorious non sbagliano il ritornello. God of War ricorda qualcosa del precedente Ride To Nowhere con il basso che accompagna le chitarre e dove il bridge centrale rallentato e l’accelerazione finale riescono a dare ancora emozioni. Si conclude con title track We Will Ride dove si abbassano i ritmi per un mid tempo di classe con un Nathan James ancora sugli scudi, che passa con una disinvoltura disarmante da tonalità basse a alte.

IN CONCLUSIONE:
Quarto album e quarto centro per la band inglese. Un album che segue il filo dei precedenti lavori, mostrando una maturità compositiva e sonora degna dei grandi nomi dell’Hard Rock

Quireboys – Amazing Disgrace – Recensione

Ecco tornare i Quireboys, la band Rock N Roll che nel 1990 sorprese tutti con il bellissimo A Bit What You Fancy, un insieme di Rock, Hard, un pizzico di Rod Stewart e tanta energia. Dopo oltre trent’anni di carriera e parecchie pubblicazioni purtroppo sottovalutate tornano i British Rocker capitanati dal grandissimo Spike alla voce, i fidi Guy Griffin e Paul Guerin alle chitarre, Keith Weir alle tastiere, Gary Irvin al basso e Dave McCluskey alla batteria. Il nuovo album, dodicesimo della carriera, si intitola Amazing Disgrace e celebra i 35 anni del gruppo e risulta decisamente più maturo nel sound e in linea con le ultime uscite del gruppo (vedi precedente Beautiful Curse).
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Dream Company – The Wildest Season – Recensione

Dopo 13 anni di successi e dopo aver calcato palchi di tutta europa con oltre 600 concerti da cover band dei Bon Jovi è arrivato il momento per i Dream Company del loro primo album di inediti dal titolo The Wildest Season. Già all’anteprima dell’album all’HT Factory(come opener dei grandi Hardline)le canzoni avevano lasciato un segno e l’album non ha che confermato la buona sensazione avuta.
Giulio Garghentini alla voce, Enrico Modini alla chitarra, Stefano Scola al basso e Davide Colombi alla batteria sono la formazione classica dei Dream Company; sotto l’ala della Tanzan Music e del grande Mario Percudani l’album di debutto è un mix di sonorità hard rock con molta melodia.

La produzione, le ottime canzoni, il grande apporto di Stefano Scola, Davide Colombi e il suono potente caratterizzano l’album già a partire dal primo singolo e prima traccia Days In Blue, hard rock melodico e con un refrain trascinante. Mine Mine Mine e la balladScared To Be Loved continuano sulla stessa scia lasciandoci una sensazione di eightes e di raffinatezza. Che inizio! La voce di Giulio è sempre trascinante e in pezzi come Salvation e Revolution dimostra ogni sua sfaccettatura. River Of Love è la seconda ballad, il pianoforte all’inizio e l’attacco di chitarra di un grande Enrico Modini riescono ad emozionare. The Ghost è un altra chicca con un ritornello elettrizzante con un riff moderno. Il trittico finale merita ancora un plauso con pezzi veramente trascinanti; Land Of Freedom, a mio avviso il pezzo migliore del lotto, con l’intro arpeggiato di chitarra e la voce roca di Giulio è semplicemente emozionante. Il tutto rafforzato da un assolo melodico e dolcissimo. Strepitoso. Love Is Possession e Liars sono degli inni all’hard rock degli anni ’80 con dei ritornelli che si stampano in testa già dal primo ascolto e chiudono il disco ad un livello altissimo.

IN CONCLUSIONE:
Uno dei Top Album del 2019 che cresce dopo ogni ascolto; canzoni, produzione, suoni di alta caratura per un disco che gli amanti del rock melodico consumeranno. Grandi.

Mikael Erlandsson And Last Autumn’s Dream – Secret Treasure- Recensione

Poteva mai mancare l’annuale disco dei Last Autumn’s Dream? Quest’anno ci siamo andati molto vicini, la concomitanza del nuovo lavoro di Mikael Erlandsson, di Jamie Borger sempre più impegnato con i Treat, del bassista Nalle Pahlsson con il nuovo progetto Gathering Of Kings ha lasciato i LAD in disparte. Da qui la decisione di far uscire una serie di tracce rare e il rifacimento di due classici pezzi da Winter In Paradise. Non a caso il titolo del cd è Secret Treasures e viene pubblicato come Mikael Erlandsson And Last Autumn’s Dream. Data la scarsa vena creativa degli ultimi lavori, dopo aver letto che il lavoro era una serie di “Rare Tracks” e Bside mai pubblicate, ammetto che mi sono venuti i brividi … invece mi sono dovuto ricredere!!!! Un album che riporta in vita i LAD.

Si parte fortissimo con Eye Of The Hurricane ha il classico sound rock dei LAD con un bell’intro di chitarra e un ritornello che prende fin dal primo ascolto, si continua con Evil, con la voce rabbiosa di Erlandsson che apre le danze al riff molto ispirato. Interessante la ritmica e il ritornello con il sound più hard rock. Pain ritorna su binari più melodici per poi esplodere rabbiosa, potremmo definirla un mid tempo alla Erlandsson, aggressiva e potente ma sempre melodica, ma che ha bisogno di più ascolti per essere apprezzata totalmente. Solito buon riff. Si arriva alla ballad Have To Let You Go, che forse era la mancanza più grave degli ultimi lavori dei LAD. Pianoforte/voce per sfociare in un bel duetto chitarre tastiere seguite da un assolo dolcissimo e delicato, decisamente niente di epico, ma molto gradevole. Si continua con Why, che sprizza energia da tutti gli strumenti, stavolta il riff è tutto delle tastiere, con le chitarre a fare da tappeto, un’esplosione diretta del ritornello, ottimo lavoro. Break Another Heart si apre ancora con due chitarre che sprigionano melodia, un ritornello molto eightes con i cori e le tastiere, tipico di Erlandsson, un marchio di fabbrica ormai. La settima traccia Ok varia la formula con l’introduzione di trombe, tastiere e cori in primo piano nel ritornello, con un buon assolo e le parti di pianoforte da “stacco”; non manca mai la parte melodica ed il brano risulta convincente. Alice In The Wonderland è molto Beatles oriented, con il giro di basso e gli inserti di flauti e pianoforte, i cambi di tempo, il ritornello veramente bellissimo, accattivante, trascinante. Promossa! Le tracce “remix” dall’album Winter In Paradise sono Love Is The Answer e When She’s Gone che suonano la prima molto più hard rock con chitarre rocciose e il cantato più rauco, la seconda più moderna senza perdere il suo fascino, a questo punto sembrano fin di troppo data la qualità del resto dell’album. Nella versione Japan troviamo quattro bonus track , che sono nuove versioni di Brand New Life, Running, Up in Paradise e (Always Be) You And I, tutte tratte dal secondo lavoro “LAD II”.

IN CONCLUSIONE:
Se queste sono Bside o Rare Tracks, ben vengano! Le otto nuove tracce sono meglio degli ultimi stanchi lavori dei LAD e danno una ventata di freschezza al progetto. Bellissimo album, vario, prodotto e suonato a livelli che abbiamo trovato solo i primi lavori dei LAD. Un consiglio, dategli un ascolto prima di dare giudizi affrettati.

Buckcherry – Intervista

In vista della loro prossima venuta il Italia, il 23 febbraio al Rock Planet di Pinarella di Cervia (unica data in Italia, organizzato dalla HUB Music Factory), abbiamo avuto l’opportunità di scambiare quattro chiacchiere con i californiani Buckcherry!

Intervista a cura di Lorenzo Pietra

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Ten – Illuminati – Recensione

A solo un anno dall’uscita di Gothica tornano i Ten con il nuovo lavoro Illuminati. Si tratta del quattordicesimo album in 22 anni di carriera, il che non è poco, ma nonostante questo ci troviamo davanti ad un ottimo lavoro, un ritorno al passato con un mix di melodie, epicità e ottimi suoni grazie anche al mixaggio e la masterizzazione del veterano Dennis Ward. Come sempre Gary Hughes si occupa di tutta la parte strumentale, anche se devo ammettere che la batteria in certi punti si sentre troppo che è finta e questo non va a suo favore, anche perchè avendo un gruppo di ottimi musicisti formato da ben 7 elementi, lascia perplessità su questa scelta. Anche la parte visiva vuole la sua parte ed infatti la copertina è decisamente una delle più belle dei Ten.

Si parte forte con gli oltre 8 minuti di Be As You Forever; una suite tra cambi di tempo, e melodie accattivanti. L’intro di oltre 2 minuti, la voce di Gary Hughes che ormai è marchio di fabbrica, gli intrecci di chitarre e tappeti di tastiere. Che inizio! Shield Wall è più “oscura” ancora le chitarre che duellano e un bellissimo refrain. Il secondo singolo The Esoteric Ocean, aggiunge alla formula Ten dei cori femminili ed è più easy, non perdendo minimanente la sua epicità. Jericho, primo singolo, è l’esempio di come i Ten riescano ad essere coinvolgenti, melodici e strumentalmente perfetti. Altro centro. Rosetta Stone è un lento con ancora Gary Hughes che interpreta perfettamente la parte fino ad arrivare alla title-track Illuminati; si parte con il pianoforte per poi esplodere in un bellissimo refrain ed un riff di alto livello. Heaven And The Holier-Than-Thou è un altro gran pezzo, più hard rock forse, ma con le solite melodie infallibili. Si cambia il registro con Exile, infatti ci troviamo davanti ad un AoR cristallino, un perfetto “stacco” da quanto fin’ora sentito, una song di grande classe. Mephistopheles torna su binari hard rock con un bel riff e un ritornello accattivante di facile presa. Si conclude con la ballad Of Battles Lost And Won. Pianoforte e voce che si accompagnano con i violini e gli archi in sottofondo. Le chitarre che aprono al ritornello e il grande assolo di classe. Stupenda chiusura.

IN CONCLUSIONE

A così poco tempo di distanza devo ammettere che non mi sarei aspettato un lavoro di alto livello da parte dei TEN; Illuminati è invece un disco di grande sostanza e qualità. Sfido chiunque a dire che non sia tra la Top Ten delle uscite di questo 2018. Da avere per i fan storici dei Ten, ed anche chi non li ha mai apprezzati potrà trovare delle ottime canzoni.

Airrace – Untold Stories – recensione

La moda dei come back negli ultimi anni sta ampliando la nostra collezione di dischi, sia per i nuovi appassionati sia per i vecchi nostalgici del rock. Da questa moda non potevano mancare gli storici Airrace, band inglese nata nel lontano 1982 grazie al chitarrista Laurie Mansworth il quale fece esordire il grande Jason Bonham alla batteria. Nelle prima formazione troviamo addirittura alla voce Phil Lewis (L.A.Guns) che fu subito estromesso dal gruppo. Solo a fine 1984 esce il primo disco Shaft Of Light, prodotto dal mostro sacro Beau Hill e che riscosse un grosso successo tra pubblico e critica. Pochi anni dopo le uscite di Bonham e Murrell fecero sciogliere definitivamente gli Airrace.

Grazie alla Frontiers ci sarà una storica reunion nel 2009 seguita da un buon disco nel 2011, mentre questo terzo capitolo Untold Stories conferma la freschezza creativa e la voglia di tornare on the road dei mitici Airrace. La varietà del sound che si sente in tutto il lavoro non fa altro che crescere il suo valore, dal Aor più puro, all’Hard Rock più Zeppeliniano troveremo 11 tracce di pura bellezza.

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