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Recensione

94/100

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Ken Hensley & Live Fire – Faster – Recensione

25 Giugno 2011 2 Commenti Iacopo Mezzano

genere: Hard Rock
anno: 2011
etichetta: earMUSIC

Tracklist:

01. Set Me Free (From Yesterday) *
02. The Curse *
03. I Cry Alone
04. Katrine
05. Faster
06. Slippin' Away (The Lover's Curse) *
07. The End Of Never
08. Beyond The Starz
09. (At) The Last Minute *
10. Somewhere (In Paradise)
11. Fill Your Head (With Rock) *

* migliori canzoni

Formazione:

Ken Hensley - Voce, tastiere, chitarra
Eirikur Hauksson - Voce
Ken Ingwersen - Chitarra
Sid Ringsby - Basso
T.A. Fossheim - Batteria

 

Leggere il nome di Ken Hensley tra gli album in uscita è per me ogni volta un nuovo sogno che si avvera. Figuratevi poi cosa si muove in me quando ho nelle orecchie le sue melodie.. se mi incantava ai tempi degli Uriah Heep, ora mi stupisce volta dopo volta nei suoi progetti solisti. Anno dopo anno la sua musica non invecchia e sembra sempre essere un parto dei magnifici anni ’70/’80, per suoni, attitudine e stile compositivo.

Se il 2011 sembra essere un anno denso di grandi nomi, di grandi ritorni e di grandi uscite discografiche, allora non poteva rimanere privo di una sua opera. Infatti è uscito il 20 maggio, sotto etichetta earMUSIC, il disco Faster, il suo primo album pubblicato sotto il nome Ken Hensley & Live Fire, che non è altro che una formazione già da tempo collaudata in sede live e che vede Ken Hensley alla voce, alle tastiere e alle chitarre, Eirikur Hauksson alla voce,  Ken Ingwersen alla chitarra, Sid Ringsby al basso e T.A. Fossheim alla batteria. Tripudio.

LE CANZONI

Dopo un minutino di arpeggio, l’ingresso della voce di Ken Hensley da l’avvio alle danze con il pezzo d’esordio Set Me Free (From Yesterday), che stupisce subito per gli arrangiamenti dal profumo squisitamente antico, specie per quell’organetto che suona sotto i riff di chitarra, davvero qualcosa di altri tempi. Giustamente, sono ancora molto forti i rimandi al suono degli Uriah Heep, ma si possono sentire anche influenze più o meno accentuate ai confini del sabbathiano in alcuni passaggi a metà canzone. E’ un gran bel brano, con grandi atmosfere e ottime qualità tecniche e vocali di entrambi i singer.
Ancora l’organetto domina l’apertura di The Curse, ancora una volta i rimandi sono al suono rock anni ’70, specie quello progressivo, con tanto uso di tastiere e di preziosi riffing. Di spessore è soprattutto la seconda parte del pezzo, con un rallentamento a leggeri accenni di chitarra e tanta atmosfera che poi mano a mano accelera verso un bell’assolo di chitarra, impreziosito da leggeri cori in sottofondo e tanto riffing.
Con un bell’avvio blues alla Gary Moore in Still Got the Blues, I Cry Alone fa il suo avvio in scena, dominata da una grande vocalità di Hauksson, rauca e aggressiva su certi passaggi come leggera e morbida su altri, rivelandosi così definitivamente dotato di una bella timbrica e degno dell’aggetivo di validissimo cantante. Ancora pollice su per il lavoro di chitarra, molto curato specie sull’assolo, di pregievole fattura.
Viaggia sullo stesso schema di idee il quarto brano Katrine, pezzo dotato di una pregievole coralità sul ritornello, azzarderei di bostoniani rimandi. Influenzato dal suono dei Deep Purple e dei Rainbow, oltre ai soliti Uriah Heep, il pezzo scorre molto piacevole in tutti i suoi oltre 4 minuti di durata, ricco come è di indubbie qualità.
Corre via come il suono di formula 1 in apertura il quinto brano Faster, dal ritmo un po’ più sostenuto dei precedenti, dalla sfrecciante durata di poco più che 3 minuti e dalle chitarre rock che talvolta rallentano sconfinando nuovamente quasi nel blues. E’ un pezzo pensato come colonna sonora per il gran premio di Germania di F1.
Numero sei della tracklist, Slippin’ Away (The Lover’s Curse), è certamente tra i brani più riusciti dell’intero lotto, perfetto concentrato di tutte le qualità fino ad ora espresse nel disco (organetto, vocalità, cori di qualità e con le voci femminili, che ricordano un po’ certi passaggi dei Lynyrd Skynyrd). E’ un pezzo molto rilassato e rilassante, estivo, perfetto sottofondo di una giornata in riva al mare.
Squisitamente hard rock è l’approccio di The End Of Never, dotato di riff un po’ taglienti e un po’ massici ma certamente ben congeniati, e di una vocalità accesa di forte impatto. 3 minuti e mezzo di grande rock, di immediata memorizzazione in un canto corale a non finire.
Tuoni e fulmini e poi voci femminili aprono ancora prima che gli strumenti Beyond The Starz, pezzo dal gran lavoro di basso lungo tutte le strofe e che parte leggero ma caldo per guadagnare via via energia verso il ritornello strumentale, con la voce che si fa via via più acuta per poi sparire nel morbido suono di chitarre e voci femminili che fa da refrain. Tranquillità è ancora la parola chiave per questo pezzo.
(At) The Last Minute è invece più riffata e sostenuta, e si eleva anch’essa tra i pezzi chiave di questo disco, grazie nuovamente a uno stupendo organetto che da il meglio di se su un breve tratto centrale di forte impatto musicale. Altro valore aggiunto sono ancora i cori sul ritornello, di grande immediatezza.
Le chitarre si accompagnano a vicenda nella parte d’avvio di Somewhere (In Paradise), per poi quasi sparire sulle strofe, dominate da voce e tastiere, e ricomparire prepotenti dopo il ritornello e su tutto il resto del pezzo a seguire. Brano che ricorda molto quanto prodotto sempre da Ken Hensley in Blood on the Highway, uno tra i suoi lavori d’eccellenza.
Fill Your Head (With Rock) chiude questo splendido disco con i suoi 5 minuti e mezzo di durata e di grande riffing. La batteria ritma con grande gusto lo scorrere delle note e il ritornello è assolutamente il top espresso in questo album, un po’ Heaven & Hell per idea di fondo e impreziosito da interessanti stacchi degli strumenti. Sui tre quarti del brano c’è un rallentamento che non serve altro che a caricare tutta l’enregia espressa sul finale, con un commiato in fading che ha forte il sapore della gloria musicale.

IN CONCLUSIONE

Faster riesce di diritto a capitombolarsi tra i top album di questo 2011, grazie anche a un songrwriting assoluto, scritto tutto di pugno da Ken Hensley e che ci guida attraverso sue personali situazioni, passioni, stati d’animo.  E’ un disco intimo, caldo, pieno di sentimenti ed energia, perfettamente in linea con quanto espresso nella interminabile carriera di questo grande artista. I Live Fire, ovvero i quattro ragazzi che lo accompagnano in questa avventura discografica, si rivelano davvero dotati, su tutti il cantante Hauksson (grandissima voce) e il chitarrista Ingwersen che, nonostante i nomi a noi impronunciabili, avranno certamente modo di continuare a scrivere importanti pagine di storia all’interno, ma anche al di fuori, di questa formazione. E’ un ascolto consigliato a chiunque ami le sonorità hard rock con venature sonore progressive sullo stile anni ’70/’80 di realtà quali Uriah Heep, Deep Purple, Rainbow e compagnia bella. E’ un disco che merita di essere ascoltato da chiunque, per la sua immediatezza e indubbia qualità. E’ un altro importantissimo tassello di un mito che non riuscirà mai ad offuscarsi. Ken Hensley è una colonna portante del rock mondiale. Qui lo ha nuovamente dimostrato.

© 2011 – 2016, Iacopo Mezzano. All rights reserved.

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