Strangeways – Age Of Reason – Recensione

 

A distanza di un anno dal deludente “Perfect World”, ecco che tornano gli Strangeways con questo “Age Of Reason”. Innanzitutto la prima cosa che risalta ai nostri occhi è il cambio di etichetta: non più la “grande” e “importante” Frontiers Records che aveva prodotto il precedente disco ma la label privata Dangerous Dog Records, di proprietà del gruppo. Le ipotesi e congetture dietro questa scelta si sono via via susseguite fin da subito, che davano una label importante come la Frontiers probabilmente insoddisfatta dalle vendite e della qualità del lavoro svolto dalla band di Brock e Co. con “Perfect World” e che abbia troncato quindi i rapporti lavorativi con il gruppo. Riposto tutto nel cassettone dei gossip ecco che vi è anche il ritorno, questo confermato e ufficiale, di David Stewart (storico bassista della band). Se poi aggiungiamo l’altalenante performance del gruppo allo scorso Firefest di Ottobre ecco che quest’ultimo “Age Of Reason” non si presentava certo nel migliore dei modi, perfino nella copertina scialba e anonima.

Quello che infatti ricaviamo fuori dall’ascolto di un album come “Age Of Reason” si può riassumere tranquillamente in una semplice domanda piuttosto frequente nell’ambiente musicale: come può una band di grande livello, con dei capolavori alle spalle (in questo caso “Native Sons” e “Walk In The Fire”) arrivare a pubblicare nel giro di un anno ben due album assolutamente mediocri, senza un briciolo di quella fiamma e di quella qualità che li aveva contraddistinti diversi anni prima? “Age Of Reason” continua infatti quel trend sonoro che abbiamo sfortunatamente ascoltato in “Perfect World”: sound in versione edulcorata con brani fin troppo uguali fra di loro e una piattezza musicale che mai un ascoltatore si sarebbe aspettato. Non basta neanche stavolta il solito Terry Brock, nonostante risulti il più ispirato fra i membri della band: timbro sempre bello da ascoltare ma che in questo caso ci regala davvero pochi bei momenti. Sarebbe inutile anche un track by track quando tutte le tracce del disco condividono quasi pedissequamente una struttura e un sound fin troppo simile fra di loro anche a causa di una fredda performance della band, incapace di regalare quei brividi e quelle emozioni che un tempo abbondavano e deliziavano le orecchie degli appassionati del genere. Continue…