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Recensione

77/100

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Unruly Child – Can’t Go Home – Recensione

18 Febbraio 2017 20 Commenti Iacopo Mezzano

genere: Melodic Rock
anno: 2017
etichetta: Frontiers Music

Tracklist:

01.The Only One
02.Four Eleven
03.Driving Into The Future
04.Get On Top
05.See If She Floats
06.She Can't Go Home
07.Point Of View
08.Ice Cold Sunshine
09.When Love Is Here
10.Sunlit Sky
11.Someday Somehow

Formazione:

Marcie Free – Vocals
Bruce Gowdy – Guitars
Guy Allison – Keyboards
Larry Antonino – Bass guitar
Jay Schellen – Drums

Contatti:

https://www.facebook.com/unrulychildband/

 

Gli storici melodic rockers statunitensi Unruly Child ritornano nei negozi il 24 febbraio 2017 su Frontiers Music Srl con un nuovo album intitolato Can’t Go Home, il quinto della loro carriera.

Forti della loro formazione originale – che vede alla voce la cantante Marcie Michelle Free (King Kobra, Signal, solista), alla chitarra Bruce Gowdy (Stone Fury, World Trade), alle tastiere Guy Allison (Lodgic, World Trade, Doobie Brothers), alla batteria Jay Schellen (Hurricane, World Trade, Asia), e al basso Larry Antonino (Pablo Cruise) – questi cinque affermati musicisti danno vita a un disco dotato di un songwriting decisamente superiore (e più in  meno in linea con quella mostrata nell’ultimo disco Worlds Collide del 2010), affossato però da una produzione purtroppo poco incisiva, spompata, ovattata, ahimè lontana dagli standard qualitativi alti del mercato discografico odierno. Vi dirò, in tutta verità ho ascoltato cose qualitativamente peggiori, ma è altresì vero che con suoni più dinamici, con strumenti posti più in facciata e con tastiere più nitide e vivaci in accompagnamento delle chitarre e della voce, beh, staremmo oggi a parlare di una release dal giudizio decisamente più elevato.

Invece – purtroppo – bisogna parlare soltanto di un bel platter, a tratti davvero godibile, ma invero di un mancato ottimo album. Eh sì, perchè questa scarsa policromaticità dei suoni uccide la forza di queste canzoni, alcune delle quali peraltro suonate in modo davvero eccellente, composte con un piglio molto originale, egregiamente interpretate dalla band tutta, e da una Marcie Free in buonissimo spolvero vocale. Ne è da esempio – sul pronti-via – l’opener The Only One, una traccia molto orecchiabile e apprezzabile fin dalle sue primissime battute, che però manca di spiccare il volo sul refrain perchè non supportata dalla giusta esplosione di note che si necessitava. Sigh. E il discorso è analogo anche per Four Eleven, una canzone che nelle intenzioni del gruppo doveva suonare whitesnakeiana sullo stile di Still of the Night (ripresa peraltro nel finale) e godere di una grande atmosfera nelle strofe, ma che ha le tastiere e le chitarre registrate talmente indietro da scivolare complessivamente nell’anonimato. E così via, con il brano Driving Into The Future che senza questa produzione in stile demo ci avrebbe lasciati a bocca aperta per l’ariosità del suo refrain, e che qui invece finisce per lasciare appena percepibile la bellezza dei suoi cori e dei suoi arrangiamenti, e con la wingeriana Get On Top che si perde nel miscuglio un po’ troppo indefinitivo delle sue note.

Al di la di tutto però è giusto sottilineare ancora quanto il brillante songwriting di questo disco riesca comunque a salvare il valore complessivo dell’opera. Ed è giusto farlo proprio in anteprima a due dei pezzi più riusciti e originali del platter, ovvero See If She Floats e la ballad She Can’t Go Home. Il primo si mette in luce come una traccia dallo stile decisamente AOR, con ritornelli e cori decisamente catchy e un cantato della Free davvero over the top, il secondo come un componimento emozionale, dal testo ispirato e dalle sensazioni percepibili tanto nel cuore, quanto a fil di pelle. Wow. Non male anche Point Of View, una canzone elaborata e di buon impatto, e Ice Cold Sunshine, seguite poi dal mood positivo ed allegro di When Love Is Here (brava anche qui la Free nell’interpretazione) e dal rock decisamente ottantiano della soltanto buona Sunlit Sky. Cala infine il sipario una Someday Somehow registrata in stile live, ma che non aggiunge nulla al valore – complessivamente medio – di questa nuova produzione degli Unruly Child.

IN CONCLUSIONE

Gli Unruly Child avevano nella mani il miglior fucile di precisione disponibile sul mercato (la loro grande tecnica strumentale e la loro sincera voglia di comporre grande musica), in canna undici cartucce professionali (il loro originale e brillante songwriting), zero vento a sfavore durante lo sparo (il supporto della Frontiers Music), ma si sono accontentati di un colpo di piazzamento, senza grossi rischi, che gli ha assicurato a fine gara soltanto una medaglia di legno. Quella affidata ai quarti classificati e a coloro che sfiorano appena il podio della finale.

Peccato, perchè con una produzione degna di questo nome questo Can’t Go Home poteva valere un giudizio dall’otto in su, pensando in decimali. Registrato così, non va oltre una valutazione che oscilla tra il sette e il sette e mezzo abbondante in pagella, a seconda dei casi e dei gusti personali.

Delusione no, ma un po’ di amaro in bocca quello sì..

© 2017, Iacopo Mezzano. All rights reserved.

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