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Recensione

78/100

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DRIVE, SHE SAID – Pedal To The Metal – Recensione

16 Aprile 2016 47 Commenti Iacopo Mezzano

genere: Melodic Rock
anno: 2016
etichetta: Frontiers Music

Tracklist:

01.Touch *
02.Pedal To The Metal
03.In R Blood *
04.Said It All *
05.Writing On The Wall
06.Rainbows And Hurricanes *
07.Love Will Win In The End
08.Rain Of Fire
09.In Your Arms *
10.IM The Nyte *
11.Lost In You
12.All I Wanna Do *

* migliori canzoni

Formazione:

Lead Vocals: Al Fritsch
Guitars: Tommy Denander, Al Fritsch, Daniel Palmqvist
Keyboards: Mark Mangold, Al Fritsch
Bass: Ken Sandin, Al Fritsch, Paul St. James, Alessandro Del Vecchio
Drums: Pontus Engborg, Peter Yttergren, Francesco Jovino, Kenny Aronoff

Ospiti:

Background Vocals: Goran Edman, Chandler Mogel, Ted Poley, Al Fritsch, Mark Mangold, Kevin Osborne, Randy Jackson, James Jackson, Thomas Vikstrom, Peppy Castro.
Vocals “In the Nyte” Al, Mark with special appearance by Kayvon Zand
Vocal Duet on “In Your Arms”: Al and Fiona

Contatti:

http://www.frontiers.it/news/10818

 

Tredici lunghissimi anni dopo il loro ultimo album in studio, i mitici Drive, She Said del tastierista e compositore Mark Mangold e del cantante e polistrumentista Al Fritsch fanno il loro ritorno su Frontiers Music Srl con il loro nuovo attesissimo nuovo album Pedal To The Metal, uscito nei negozi il 15 Aprile 2016.

La fiamma creativa del duo, riaccesa dalla bollente performance al Firefest di Nottingham nel 2014 e dal patron della label napoletana Serafino Perugino, rivive su questo disco attraverso una serie di canzoni inedite di pura matrice melodic rock/AOR, intrise di interessanti armonie vocali e strumentali. Tra materiale d’archivio e nuove composizioni, Mangold e Fritsch rispolverano la loro intesa, rinnovandosi e ritrovandosi tra di loro con complicità creativa immutata e, in almeno quattro o cinque occasioni, pari a quella di venti e più anni fa. Nonostante sia evidente l’avanzare della loro età, con soprattutto il cantante ad accusare maggiormente la fatica vista la prova vocale spesso soltanto sufficiente e deficitaria sugli acuti, l’ottima produzione in studio e l’eccellente contributo degli innumerevoli ospiti presdenti sul disco permette di ovviare gran parte del problema, tanto che per larghi tratti il platter suona davvero bene, forse persino meglio di alcuni capitoli passati del gruppo.

A livello analitico, se da un lato sono ancora esaltati la coralità dei refrain e le tastiere magiche di Mangold, la novità più importante presente in questo album è che anche le chitarre suonano molto più presenti e maschie che in passato, talvolta quasi in stile House of Lords, per intenderci. Inoltre, non viene posto limite alcuno alle influenze che permeano canzoni che sanno spaziare con pari intensità dal melodic rock più puro, al rock moderno alla 30 Seconds to Mars, all’hard rock e (persino) alla musica elettonica da discoteca. Ma andiamo per ordine.

L’opener Touch suona come una frizzante traccia ritmata e corale, perfetta per la sede live, per urlare e saltare di fronte al palco in preda dell’estasi melodica. Diversamente, la title track Pedal To The Metal potrebbe essere anche stata scritta da James Christian, per come si basa su un songwriting melodico molto più aggressivo, più carico di riff e di energia rock dei precedenti, e per certi aspetti quasi metallico. Sulla stessa scia è In R Blood, che però ha dalla sua un ritornello più orecchiabile e un lavoro di alternanza vocale tra Fritsch e i cantanti ospiti riuscitissimo, forse tra i migliori del lotto, che la rendono una delle indimenticabili di questa registrazione. Con lei, un nuovo acuto è dato dalla power ballad anni’80 Said It All, molto delicata e ben arrangiata, curata ed emozionale fino in fondo, nota dopo nota. Lascia invece l’amaro in bocca Writing On The Wall, una banale traccia speed che potrebbe esplodere sul suo ritornello corale, ma che invece non riesce a caricare la giusta forza per brillare. Peccato.

Basta però la moderna Rainbows And Hurricanes, che si muove a metà tra Rainbow in the Rose dei Winger e Hurricane dei 30 Seconds to Mars (sarà un caso?!), a rialzare il tiro di un disco che piazza ancora in scioltezza una Love Will Win In The End molto interessante, non eccezionale ma gustosa all’ascolto. Poi, dopo un momento mediocrità dato dal brano piuttosto anonimo Rain Of Fire, eccoci alla ballad #1 dell’album: In Your Arms. Un duetto vocale tra Al Fritsch e Fiona (sì, proprio quella Fiona!), in 100% stile Drive, She Said (una registrazione d’archivio?), che vale da solo il prezzo del biglietto.

Particolare infine la chiusura del disco. Nell’ordine, il gruppo ci piazza la dance-elettonica-industrial da discoteca IM The Nyte (bellissima, fa il verso ai Rammstein quasi), il melodic rock-industrial pieno di effetti di Lost In You, che rimane ancora a metà tra dance e rock, e poi il rock acustico alla Extreme di More Than Words di All I Wanna Do. E quasi ci pare di intuire un filo logico in questo particolarissimo commiato..

IN CONCLUSIONE

Senza particolari proclami o pretese, ma suonando un album di grande varietà per il semplice gusto di farlo, i Drive, She Said ritornano sul mercato con un disco coraggioso, forse anacronistico, ma straordinariamente efficace. La qualità, certo, non è quella dei tempi passati, ma di melodie gustose e tracce preziose qua e là se ne riesce a trovare, e in fin dei conti ben vengano anche platter come questo: non perfetti, ma vivi e vissuti.

Attenzione (dedicato ai mugugnoni): non marchiatelo come deludente dopo un solo ascolto, perchè Pedal to the Metal cresce in efficacia con il tempo! E il suo giudizio finale, sì, è volutamente alto e abbondante, di almeno mezzo punto. Questo, per farvi innervosire ancora un po’ (scherzo) e per controbilanciare qualche sparata di un certo mio esimio collega (Denis – non scherzo – tvb).

© 2016, Iacopo Mezzano. All rights reserved.

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