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Recensione

75/100

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Europe – Bag Of Bones – Recensione

01 Ottobre 2012 20 Commenti Andrea Vizzari

genere: Hard Rock
anno: 2012
etichetta: earMUSIC/Edel

Tracklist:

01. Riches To Rags
02. Not Supposed To Sing The Blues
03. Firebox *
04. Bag Of Bones *
05. Requiem
06. My Woman My Friend
07. Demon Head *
08. Drink And A Smile *
09. Doghouse
10. Mercy You Mercy Me
11. Bring It All Home *

12. Beautiful Disaster * (Japan Bonus Track)

* migliori canzoni

Formazione:

Joey Tempest - Voce
John Norum - Chitarra
John Levén - Basso
Mic Michaeli - Tastiere
Ian Haugland - Batteria

 

Avete presente gli Europe? Quel gruppo conosciuto in tutto il mondo soprattutto per quel motivetto che di nome fa “The Final Countdown”, simbolo del panorama rock anni 80 insieme a Livin On A Prayer e Pour Some Sugar On Me (rispettivamente, Bon Jovi e Def Leppard) e che in seguito ha dato alla luce “Out Of This World” e “Prisoners In Paradise” che ancora oggi fanno letteralmente sognare tutti quei fanatici e amanti del rock melodico? Bene, di quel gruppo non è letteralmente rimasto più nulla. Nonostante dall’inizio del nuovo millennio la formazione è tornata ad essere quella originale in molti sono rimasti piuttosto perplessi dal ritorno degli svedesi che in questi 8 anni hanno man mano sviluppato un nuovo tipo di sound sempre più lontano dal rock melodico da classifica dei tempi d’oro e sempre più vicino all’hard rock grezzo e crudo in stile Led Zeppelin, UFO, Black Country Communion.

D’altronde il ritorno all’ovile di mr. John Norum nel 2003 non poteva che determinare un netto cambio stilistico nella band, visto che il chitarrista abbandonò proprio gli Europe (sostituito, direi ottimamente da Kee Marcello) nel 1986 a causa di una direzione sonora più votata alla melodia con tastiere sempre più in evidenza, forse più della sua amata chitarra. Accantonato il passato, torniamo al presente e in particolare all’ultimo e nono album in carriera del gruppo di Joey Tempest, “Bag Of Bones”.

Se con “Last Look Of Eden” e il precedente “Secret Society”  la band stava cercando di perfezionare questa nuova direzione musicale (“Start From The Dark” lo considererei ancora oggi un episodio a sè stante), con “Bag Of Bones” possiamo semplicemente dire che il gruppo ha finalmente chiuso il cerchio rilasciando probabilmente il miglior album dal 2004 ad oggi.
Il sound si fa più corposo ed è oggi più che mai figlio di tutte quelle band che hanno fatto la storia del genere hard rock quali i già citati Led Zeppelin e Ufo ma anche Thin Lizzy, Deep Purple e i più recenti Black Country Communion, scelta che valorizza maggiormente le performance di Tempest e Norum. Il singer, che neanche in passato è stato un virtuoso dello strumento voce, in questo nuovo album regala una performance assolutamente convincente grazie all’ottima condizione vocale, trovandosi davvero a suo agio su composizioni che ne esaltano soprattutto il timbro. Ciò però non basta ad oscurare un John Norum letteralmente sugli scudi, in grado di sfornare un gran campionario di riff (seppur non originalissimi) e di grandi assoli proprio come ci si aspetta da un musicista della sua caratura.

Non aspettatevi quindi aperture melodiche, tastiere anni 80 o il ritornellone che potrà far furore nell’ipotetico MTV dei tempi d’oro, in “Bag Of Bones” troverete delle uptempo granitiche e incalzanti come l’opener “Richies To Rags”, “Firebox” (davvero splendida, secondo singolo estratto) o “Demon Head”. C’è anche spazio per composizioni più ricercate come la riuscitissima “Bag Of Bones” col suo inizio solo acustica e voce che fa da preludio (e da fine) all’esplosione elettrica nel ritornello o a “Drink And A Smile”, quasi rubata ai Led Zeppelin d’annata con Tempest talmente bravo che perfino il grande Robert Plant ne sarebbe fiero mentre Norum imbraccia la sua acustica e ci delizia in appena due minuti e mezzo. Una chicca.
Da menzionare inoltre la delicata “Bring It All Home”, ballad posta in chiusura di disco in cui Joey Tempest prende le redini della band e ruba il “palcoscenico” cullato dal lavoro alla chitarra, per una volta non aggressiva ma dolce, di Norum e dalle tastiere di Mic Michaeli che finalmente (o purtroppo, visto che si tratta dell’ultima traccia) può mettersi in mostra.

PS: Nella versione giapponese del disco è presente un’ulteriore traccia dopo “Bring It All Home” intitolata “Beautiful Disaster”, una uptempo decisamente ispirata che se fosse stata inserita in tutte le versioni al posto di altre tracce magari sottotono non avrebbe fatto male nell’economia generale del disco.

IN CONCLUSIONE

Sicuramente il miglior disco dal post “Prisoners In Paradise”, questo “Bag Of Bones” vede la completa maturazione da parte degli Europe, adesso impegnati in un genere ormai non più atipico per un gruppo dal passato come il loro e che è riuscito positivamente nell’intento di cambiare volto alla propria proposta musicale senza però fare un buco nell’acqua.
Troppe sono le band che, visto il mercato, tentano di modernizzarsi o aggiornarsi tenendo magari un piede al passato e un piede alle nuove tendenze riuscendo quindi a metà nell’impresa e peccando di coerenza. In questo il gruppo svedese deve essere preso ad esempio vista la scelta decisa e netta di iniziare e continuare con un nuovo percorso. Tempest e soprattutto Norum sono i protagonisti indiscussi del disco supportati egregiamente dal lavoro ritmico di Leven e Haughland, anche loro rinati grazie al sound più congeniale al loro modo di suonare. Peccato soltanto per Mic Michaeli. ancora una volta troppo nascosto e relegato a ruoli marginali e di riempitura e sicuramente meno esposto del resto della band.
Non è però tutto oro quel che luccica e anche “Bag Of Bones” non è esente da difetti: se da un lato il valore degli svedesi viene esaltato dall’hard rock di matrice anni 70, c’è anche da dire che l’influenza dei gruppi citati nella recensione è fin troppo palese finendo per definire il sound troppo derivativo
(difetto condiviso con i Black Country Communion), peccando un po’ di monotonia nelle tracce più veloci a volte troppo simili fra di loro. Ad influire sul voto finale inoltre vi è la presenza di filler come il primo singolo estratto “Not Supposed To Sing The Blues” (decisamente la peggior canzone dell’album), la strumentale-inutile “Requiem” e la discreta “Mercy You Mercy Me”. Non è neanche da ignorare il fatto che questo nuovo percorso potrà indispettire quei fan tutt’ora ancorati solamente al periodo ottantiano, ma non è certo una novità dopo quattro album così separati dal passato per cui a tutti loro consiglio di provare ad ascoltare questo album a mente aperta perchè è indubbiamente un lavoro ben costruito. A tutti gli altri, compratelo subito e non resterete delusi.

© 2012 – 2022, Andrea Vizzari. All rights reserved.

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