Creeper – Sanguivore – Recensione

Era solo un numero.

All’approssimarsi del suo primo ventennio di appassionata dedizione alla materia, sempre perorando la causa dell’underground, l’umile “scribacchino” si apprestava a mettere la parola fine alla sua opera di divulgazione del verbo rock/metal. Le cose erano profondamente cambiate rispetto a quando aveva incominciato, ed ormai scrivevano in tanti. Nessuno ci avrebbe badato, anche perché l’umile “scribacchino” non avrebbe fatto inutili proclami a riguardo. Aveva versato fiumi di parole, che da qualche parte sarebbero rimasti, e da giovane ragazzo era diventato uomo: di musica ne aveva sentita parecchia e a questo punto era difficile emozionarsi come un tempo. Un giorno però, quasi per caso, un disco capitò sotto al suo naso, riuscendo per un attimo a catturare la sua attenzione. Il nome del gruppo, il titolo dell’album e la copertina gli avrebbero dovuto far pensare che quel lavoro non sarebbe stato stilisticamente affine ai suoi gusti, eppure qualcosa lo spinse ad ascoltarlo. Terminato il primo passaggio nello stereo l’umile “scribacchino” era disorientato, e concluso il secondo non cambiò granché. Anche soltanto definire con precisione il genere musicale gli sembrò impresa ardua, stavolta. Proseguendo con gli ascolti alcune cose divennero più chiare, ma non del tutto.

Fu allora che all’umile “scribacchino” si accese una lampadina e capì che non era ancora arrivato il momento di dire basta. Decise di saperne di più su quella band, scoprendo che era inglese, che era partita qualche anno prima da una base goth-punk (Eternity In Your Arms, 2017) e che successivamente, rivelando anche un certo interesse verso i concept album, aveva abbracciato territori più horror e glam rock (Sex, Death & The Infinite Void, 2020). E horror e concept album erano due fattori, peraltro anche accentuati, proprio del disco che stringeva tra le mani e che narrava le gesta dei due giovani vampiri Mercy e Spook.

Al confuso umile “scribacchino” non restò altro da fare che mettersi alla ricerca di altre recensioni, per tentare di schiarirsi le idee. Ne lesse almeno due decine. Fra i nomi citati fra le righe dei pensieri di altri scribacchini, alcuni erano ricorrenti (Meat Loaf, The Sisters Of Mercy, Alice Cooper, Ghost, Depeche Mode, The Cult), altri meno (The Misfits, Nick Cave, Ozzy Osbourne, The Damned). Tutti, o quasi, gli parvero in qualche modo avere un senso nel disegno dei Creeper di Sanguivore. Un album che a suon di passaggi era cresciuto fino a conquistarlo. Dopo tutti questi anni aveva capito che l’appagamento raggiunto durante l’ascolto, possibilmente condito da una buona produzione e dei bei ritornelli, era la chiave per aprire le porte del suo cuore. E questo disco l’aveva fatto.

L’umile “scribacchino” si rese conto di non essersi soffermato sulla descrizione dei brani dell’album oggetto di recensione, ma mai come questa volta nella sua testa vi era la convinzione che più delle sue parole avrebbero parlato le canzoni stesse. I tempi erano cambiati e i dischi, di cui in passato si poteva solo leggere sulle pagine di una rivista prima di acquistarli, ormai si riuscivano ad ascoltare facilmente con un click.

A quel punto l’umile “scribacchino” sarebbe stato tentato di esagerare con il voto, ma sapeva bene che avrebbe dovuto ritornare lucido ed essere coerente con se stesso, e corretto con i lettori. Cento, del resto, aveva sempre pensato che fosse il voto da non dare mai, quello che se avesse assegnato ad un album avrebbe messo davvero la parola fine alla sua “carriera”. Sì, perché dopo un disco perfetto di quale altro lavoro sarebbe mai valsa la pena prendersi la briga di parlare? E così assegnò il voto che nella sua testa era quello giusto, ma che rimaneva pur sempre un’opinione.

O forse, più che un’opinione, solo un numero.

IN CONCLUSIONE

Prodotto da Tom Dalgety (Ghost, Royal Blood, The Cult, Killing Joke), e dedicato alla memoria di Jim Steinman, il CD è in confezione digipack con booklet completo di tutti i testi.

Goo Goo Dolls – Something for the rest of Us – recensione

Dopo il non eccelso Let Love In e ben 4 anni di tempo torna la band di John Rzeznik con un nuovo album, il nono della loro onorata carriera.
I Goo Goo Dolls hanno avuto anche da noi un notevole successo,  spinto in alto sicuramente dalla bella “Iris” che faceva da colonna sonora al film City of Angels… infatti pochi si ricordano degli album antecedenti a Dizzy Up the Girl che includeva proprio questa hit insieme ad altri pezzi di classe come “Slide” o “Black Balloon”, ma da qui in avanti la loro carriera ha avuto una vera e propria impennata… anche se la loro notorietà non è sempre andata di pari passo con la qualità dei successivi lavori e come già detto il penultimo album Let Love In oltre a qualche pezzo discreto ha lasciato ben poco altro.
Forse anche per questo motivo Rzeznik ha deciso di prendersi tutto il tempo che riteneva opportuno per mettere insieme questo nuovo lavoro.

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Fabri Kiareli’s F.e.a.s.t. – Rise – quando il grande Rock internazionale è firmato “Italia”

Fabri KiareliE’ con estremo piacere che riporto questa notizia, il 15 ottobre sotto etichetta Avenue of Allies uscirà l’album Rise dei F.e.a.s.t. progetto tutto italiano capitanato dalla voce e chitarra Fabri Kiareli (all’anagrafe Fabrizio Chiarelli).

Il grande Fabri può vantare un curriculum di tutto rispetto avendo lavorato in studio e live con gente del calibro di Gianna Nannini, Roberto Gualdi (PFM) e Pino Scotto solo per citarne alcuni.

Inoltre da anni milita nei Mister No, cover band Heavy Metal con cui macina mediamente un 150 show all’anno.

Fabri è il classico personaggio cresciuto a pane e rock, dalla sua biografia si scopre che ha vissuto nella sua infanzia a Mexico City dove i ragazzi per strada ascoltavano Van Halen, Judas Priest, Led Zeppelin, Journey, Styx, Rush, Pat Benatar, Tubes, Kansas, Asia…insomma,  come dice lui, only Rock!

Da qui la passione per la musica e per il Rock, ma se volete saperne di più su questo carismatico personaggio leggete la sua biografia sul sito dei Mister No (link alla biografia), ne vale la pena.

Torniamo invece a questo Rise che si preannuncia un bell’album di puro Rock e Hard Rock. A completare la formazione dei F.E.A.S.T. troviamo tutti artisti italiani, Lukino “Luke” Ballabio (chitarra),  Angelo Perini (basso) e Mao Granata (batteria).

I pezzi dell’album dovrebbero rispecchiare lo stile del suo Frontman e quindi spaziare dall’hard rock fino a classiche ballate rock che come sonorità qualcuno ha già paragonato ai Whitesnake o agli Scorpions. Avendo ascoltato la preview di alcuni pezzi, disponibile sulla pagina myspace del gruppo, non posso che confermarlo (molto David Coverdale la voce in Dangerous Love) e confermare anche la qualità dei pezzi.

In conclusione, un progetto Rock di grande richiamo internazionale interamente Italiano.  Aspettiamo di vedere il risultato finale, ma sicuramente ci sono i presupposti per ritrovarci tra le mani un gran bell’album da ascoltare a tutto volume… IT’S ONLY ROCK!!! 😉

P.s.:  qui trovate il link alla pagina myspace del gruppo

Black Country Communion – Black Country Communion – recensione

Album a cui bisogna avvicinarsi con estrema riverenza già solo per i nomi coinvolti nel progetto,  Glenn Hughes (Trapeze, Deep Purple),  Jason Bonham (figlio di John Bonham, batterista dei Led Zeppelin), Joe Bonamassa (per molti il miglior chitarrista blues dei tempi contemporanei), Derek Sherinian (Planet X, Yngwie Malmsteen, Dream Theater).

La Black Country è una regione industriale inglese (Birmingham), così chiamata per le fonderie e miniere di carbone presenti un tempo nella zona (e per lo smog 😉 ), ma da sempre è anche una delle culle più fertili del duro rock inglese.
Ed è proprio in omaggio a questa “terra del rock”  che ha fatto da “balia” ai due quarti del gruppo (Glenn Hughes e Jason Bonham) che nasce questo progetto che ha il sapore dei vecchi lavori “Zeppeliani” e “Purpleiani“.

Ultima cosa importante prima di avvicinarci all’ascolto, per volere stesso di questo supergruppo ci troviamo di fronte ad un Rock a tratti psichedelico in pieno stile anni ’70 e questo è da sottolineare perchè al di là dell’effettiva qualità dei pezzi ci va una “preparazione mentale” per avvicinarci alle sonorità che ci attendono.

Quindi, se vi sentite pronti possiamo premere il tasto play

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