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Avatarium – Death Where Is Your Sting – Recensione

28 Dicembre 2022 5 Commenti Giorgio Barbieri

genere: Hard Rock
anno: 2022
etichetta: AFM

Tracklist:

01 - A Love Like Ours
02 – Stockholm
03 – Death where is your sting
04 – Psalm for the living
05 – God is silent
06 – Mother, can you hear me now
07 – Nocturne
08 - Transcendent

Formazione:

Jennie-Ann Smith: Lead Vocals, Piano on “Stockholm”, Organ on “Death where is your sting”

Marcus Jidell: Lead Guitars, Backing Vocals, Additional Piano, Cello and Keyboards

Mats Rydström: Bass

Daniel Karlsson: Keyboards

Andreas Habo Johansson: Drums, Percussions

Ospiti:

Svante Henryson: Cello

Hanna Helgegren: Violin

Stefan Nykvist: Backing Vocals

Contatti:

FB: https://www.facebook.com/avatariumofficial

 

Alcuni di voi si stupiranno nel vedere questo nome inserito in Melodicrock.it, ma basta che diate anche un piccolo ascolto alle prime note di quello che è il quinto album della band svedese, per capire che non siamo ne impazziti, ne fuori contesto; quando si parla di rock melodico, la prima cosa che viene in mente è l’aor o l’hard rock più easy, ma la melodia non è solo quella facile, zuccherosa e tastierosa, ma è anche quella intimista, magari malinconica, di un certo modo di concepire l’hard rock, il più delle volte partendo da “lidi” diversi, come hanno fatto appunto, gli Avatarium, che sono nati dieci anni fa dalla collaborazione del mastermind dei Candlemass (e non solo) Leif Edling e Marcus Jidell, ex Royal Hunt ed Evergrey, che ebbero l’idea di fare un progetto doom, tanto per cambiare, ma con la voce femminile, e chi allora meglio delle moglie di Marcus, Jennie-Ann Smith poteva farlo? Chiudevano quello che poteva essere definito un supergruppo, Carl Westholm, tastierista anche lui nel giro Candlemass e Lars Skold, batterista dei Tiamat, ora nella band, dei membri originali, sono rimasti solo i coniugi che, evidentemente, hanno molte idee variegate da proporre e in “Death where is your sting”, lo fanno in maniera davvero egregia.

Quindi lasciate da parte il doom metal, di cui rimangono solo alcuni riff, in questo album c’è molto rock, in tante sfaccettature, tanto che la definizione hard usata in sede di presentazione, a volte va persino stretta e subito da “A love like ours” si capisce il perchè, gli archi e la chitarra acustica la fanno da padrone, sorreggendo alla perfezione i ricami della voce di Jennie-Ann, che racconta di un amore tormentato, mentre in “Stockholm”, la storia favolistica di demoni e fantasmi, viene sì introdotta e chiusa dal riff più catacombale di tutto l’album, ma all’interno è raccontata da un tappeto sonoro ancora semiacustico, al quale partecipa la stessa cantante suonando il piano e sciorinando una’altra interpretazione ispirata, cosa che peraltro fa, seppur cambiando umore durante tutto l’album e la title track che arriva subito dopo, ne è la riprova lampante, per quello che è, assieme a “Mother, can you hear me now”, il picco compositivo, esecutivo ed emozionale dell’album pubblicato lo scorso Ottobre; nel brano che dà il titolo all’album si parla di morte, ma in senso positivo, difatti si può interpretare come “Morte, dove sono le tue armi? Io non ti temo e ti sconfiggo”, tema esistenziale che viene affrontato su un andamento lineare e con un ritornello che ti si stampa in testa, cosa che succede anche alla già citata “Mother, can you hear me now”, strettamente collegata alle prime tre tracce, sofferta, intimista, con una malinconia di fondo che può ricordare gli Opeth di “Damnation”, ma svoltata in positivo dalla luce che infonde la voce della stupenda frontwoman, da citare assolutamente lo stupendo assolo gilmouriano di Marcus Jidell, che chiude questo piccolo capolavoro. Dopo aver parlato in termini così entusiasti di questi quattro brani, sembra difficile reggere il confronto per i restanti, ebbene non è proprio così, anche se il livello non è stratosferico, si mantiene comunque alto, a cominciare da “God is silent”, chiaramente un’invocazione alla divinità più conosciuta, che non risponde e che lascia un sentore di disperazione, ben rappresentato da un andamento vigoroso, sicuramente il pezzo più heavy dell’album, con’apertura magnificente proprio in corrispondenza della declamazione del titolo, e prosegue poi con “Psalm for the living”, inquieta sì, ma senza che questa irrequietezza prenda il sopravvento, grazie alla cangiante positività di Jennie-Ann e a qualche sussulto ritmico più ‘importante’, quindi arriva “Nocturne”, altro brano vigoroso che, pur partendo da una base malinconica, si apre con squarci ariosi e aperture melodiche positive, un pò il leit motiv di tutto l’album, la visione positiva dell’esistenza, come racconta la stessa Jennie-Ann in un passaggio di una sua intervista, dove dice: “l’album è cerebrale, è vitale, si parla in modo serio di filosofia, psicologia e religione, ma ci si può godere la musica e smarrirsi nei riff”, infine la chiusura è affidata alla strumentale “Transcendent”, dove si nota l’amore della band per le sonorità che risalgono all’inizio degli anni settanta, quando l’aura di occultismo si miscelava con le atmosfere psichedelico/progressive da colonna sonora, qui riproposte in modo delicato, ma al tempo stesso accativante.

Cos’altro si può dire di un disco di questa portata? Ben poco, ma quel poco è rivolto a quella fetta di pubblico che si aspetta sempre la positività intesa nelle storie d’amore di cui si parla quasi sempre in quel tipo di rock melodico citato all’inizio, si può dire che, guardando al di fuori della propria comfort zone, c’è un mondo che tratta la melodia in molti modi, con sfaccettature diverse e che, lasciandosi andare, può regalare ugualmente molte emozioni, può far scoprire realtà che magari, per preconcetto, non vengono prese in considerazione; “Death where is your sting” grazie alla sua enorme caratura, può essere un buon inizio, un modo ottimale per rivalutare le proprie convinzioni, ha tutti i numeri per farlo, basta solo avere la mente aperta!

© 2022, Giorgio Barbieri. All rights reserved.

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