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Recensione

83/100

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Lionville – A World of Fools – Recensione

19 Febbraio 2017 65 Commenti Iacopo Mezzano

genere: Melodic Rock
anno: 2017
etichetta: Frontiers Music

Tracklist:

01.I Will Wait
02.Show me the Love
03.Bring Me Back Our Love
04.Heaven Is Right Here
05.A World of Fools
06.One More Night
07.All I Want
08.Livin' On the Edge
09.Our Good Goodbye
10.Paradise
11.Image of Your Soul

Formazione:

Stefano Lionetti: Guitars, Vocals, Keyboards
Lars Säfsund: Lead & Backing vocals
Michele Cusato: Guitars
Giulio Dagnino: Bass
Martino Malacrida: Drums

 

Nati dalla mente del chitarrista e cantante genovese Stefano Lionetti e di suo fratello Alessandro, con il contributo fondamentale di Pierpaolo “Zorro” Monti (Shining Line) e Alessandro Del Vecchio (Edge Of Forever, Eden’s Curse, Hardline), i melodic rockers italiani Lionville approdano alle corti della label Frontiers Music con il loro terzo album A World Of Fools.

Riceverò certamente diverse critiche per quello che sto per dire (ma sono uno dei pochi che, ahimè, a costo di prendersi vagonate di insulti crede ancora che l’imparzialità resti il dovere di chi scrive musica nelle vesti di recensore), ma anche in questa occasione – ovvero esattamente come era accaduto con i “suoi” Work of Art – al terzo capitolo in studio di un progetto a cui prende parte, il dotatissimo cantante Lars Säfsund finisce per risultare alla lunga un clone di se stesso. Sia chiaro, a livello di intonazione, estensione, timbrica e capacità generale di canto, Lars resta un numero uno indiscusso della nostra scena, ma è altrettanto evidente la sua incapacità di trasformare in proprio un pezzo. Mi spiego meglio: credo fermamente che lo svedese sia un eccellente interprete musicale, e i primi due dischi di questo progetto (come quelli dei Work of Art) sono riusciti a mettere bene in evidenza ogni sua singola dote. Ma se su uno/due album riesce a dimostrarsi anche comunicativo, emozionale e caldo, beh, dalla terza occasione in poi lo si riascolta e – mannaggia – inizia a risultare freddo, poco comunicativo: in pratica, soltanto il solito Lars. Quasi come se tutta la sua bravura, puf, sbiadisse e finisse in secondo piano, non brillando più al nostro orecchio come accadeva nei precedenti capitoli.
Un difetto che diventa allora – per mio personale giudizio – sintomo della suddetta debolezza del vocalist nel saper fornire nel tempo una varia impronta stilistica a ciò che canta. Un fatto che va certamente a penalizzare, e a togliere qualità (e nel caso del mio giudizio, un bel decimo percentuale), a tutto il resto dell’insieme musicale.

Un altro punto capace di rosicchiare una fetta del giudizio finale del platter è la sua produzione. Il lavoro in studio di Lionetti appare di qualità, e allineato agli standard qualitativi del mercato, ma questo soltanto se valutato sul singolo pezzo. La nitidezza è perfettamente in linea con quella degli altri dischi della serie, e più in generale con i suoni del rock melodico a metà tra AOR e westcoast, e gli strumenti appaiono ben amalgamati tra loro, con le chitarre in evidenza al pari delle tastiere. Ma ignorando il fatto che questa produzione suona in effetti un po’ troppo simile alle altre (ma è un difetto che riscontriamo ormai in ogni release, o quasi), è ben più problematico che questa risulti poco differenziata brano dopo brano, debilitando automaticamente il songwriting, e la sua varietà. Tanto che a fine ascolto ci troveremo magari divertiti, magari emozionati, magari contenti dell’acquisto, questo sì!, ma quasi incapaci di ricordare una qualche tonalità capace di differenziarsi in modo sostanziale dalle altre. Cosa che nei precedenti dischi effettivamente accadeva.

Ma andiamo alle note liete, che fortunatamente ci sono eccome! I Lionville rimangono una delle migliori risposte moderne allo stile dei vari Toto, Richard Marx, Giant, Bad English, Survivor e Boulevard, ovvero delle band da cui traggono maggiore ispirazione. I testi appaiono godibili tanto quanto le musiche, e il disco si dimostra una bella continuazione di quanto avevamo ascoltato quando la band era alle corti della Avenue of Allies, con il nuovo team di musicisti tricolori, composto da Michele Cusato alla chitarra ritmica, Giulio Dagnino al basso e Martino Malacrida alla batteria, capace di non sfigurare affatto, e di offrire anzi una ottima prestazione tecnica in supporto alla grande energia del leader Lionetti. Il quale si mette bello davanti nel suono con la sua chitarra melodica, le sue tastiere e il suo cantato in accompagnamento a Lars, e regala ai fans alcuni passaggi di pura nostalgia ’80s.

Eccoci allora a parlare positivamente dei singoli brani, con la tracklist che si apre con il songwriting roboante di una I Will Wait (primo singolo del disco) perfettamente in linea con lo stile del secondo album del gruppo. Bella, e riuscita, anche Show me the Love, ben arrangiata e capace di mostrare una eccellente ariosità nel suo refrain tutto da cantare, e di livello anche il secondo singolo Bring Me Back Our Love. Stefano Lionetti continua poi a stupirci con le sue ballad, ed ecco allora che Heaven Is Right Here calamita le nostre attenzioni sulla sua grande emotività, toccandoci il cuore con le sue armonie delicate, colme di feeling. Divertente e perfetta per la sede live è anche la più sostenuta A World of Fools, seguita da un’altra power ballad eccezionale come One More Night. Soffusa, a lungo delicata, da brividi.

Avanti poi con l’avanzare frizzante di una All I Want di stile, e con una Livin’ On the Edge molto radio-friendly, assolutamente catchy, spensierata, tra i top compositivi di questo nuovo disco. Ecco allora ancora una volta l’inconfondibile pezzo alla Toto, con una mid-tempo come Our Good Goodbye che suona decisamente westcoast, elaborata, ricamata secondo lo stile di Lukather e compagni, ma personale secondo lo stile del suo auture. Chiudono infine il tutto una Paradise ancora molto radiofonica, e l’ultima intensa ballad Image of Your Soul, ancora una volta ispirata, originale, tra i picchi qualitativi di questo disco.

IN CONCLUSIONE

Nonostante mi sia trovato costretto ad evidenziarne un paio di difetti – cosa che nei precedenti album non avevo avuto modo di riscontrare – questo A World of Fools si mette in mostra come un ottimo prodotto rock melodico, accessibile a tutti e apprezzabile dall’interezza dei supporters della scena AOR. E’ però altresì vero che prendendo in esame le pubblicazioni della band questa appaia delle tre la meno riuscita.

Di questo però non c’è né da disperarsi, né da preoccuparsi. Non si può assolutamente parlare di un passo falso, ma solo di un altro bel disco della band, soltanto questa volta penalizzato da una serie di lievi errori di fabbricazione, o di interpretazione del singer (se anche voi siete concordi con la mia analisi della sua prova vocale). I quali sono dovuti forse anche ai cambiamenti avvenuti in seno a una formazione oggi trasformatasi definitivamente (e finalmente) da progetto a gruppo.

© 2017, Iacopo Mezzano. All rights reserved.

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