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W.A.S.P. – Golgotha – Recensione

20 Gennaio 2016 25 Commenti Iacopo Mezzano

genere: Hard Rock / Heavy Metal
anno: 2015
etichetta: Napalm Records

Tracklist:

01. Scream
02. Last Runaway
03. Shotgun
04. Miss You
05. Fallen Under
06. Slaves Of The New World Order
07. Eyes Of The Maker
08. Hero Of The World
09. Golgotha

Formazione:

Blackie Lawless - Voce, Chitarra, Basso
Doug Blair - Chitarra
Mike Duda - Basso
Mike Dupke - Batteria

 

 

Cosa ci fa una recensione degli W.A.S.P. su un sito che parla di musica rock, in più melodica?

La domanda è lecita, ve lo concedo, ma è altresì ponibile solo previa l’ascolto di Golgotha, l’ultimo disco pubblicato sul finire del 2015 dalla band per la label Napalm Records. Vi spiego perchè.

Dal disco Dominator (2007) ad oggi Blackie Lawless (l’iconico fondatore, compositore, cantante, strumentista e unico membro originale oggi rimasto nel gruppo, ndr) ha attuato una netta virata nel sound della sua band, ponendo fine a un periodo di semi-totale crisi compositiva che andava avanti ormai da decenni. Più precisamente, dalla pubblicazione del mastodontico concept album The Crimson Idol (1992), per molti (e anche per il sottoscritto) puro apice artistico della formazione grazie non solo alla sua immortale musica, ma anche alla incredibile vicenda narrativa del suo protagonista: Jonathan, la rockstar preda del suo stesso successo, il puro martire sull’altare dello spirito Rock. Avrei miliardi di parole da spendere su questo platter diamantino, ma non è questa la sede e non è questo il momento. Perciò.. Torniamo a noi.

Dicevamo: lasciatosi alle spalle lo spirito violento, scioccante e ribelle degli esordi (vedasi in approfondimento le vicende legante al brano Animal (Fuck Like A Beast) e le relative querele del PMRC), l’insuccesso delle ultime release (The Neon God e compagnia bella) e abbracciato sul suo cammino il Cristianesimo, Lawless ha optato per un quasi totale rinnovamento della sua creatura W.A.S.P.. Niente più shock rock, niente più glam violento. La band si è trasformata in uno splendido progetto tra hard rock e metal denso di robustezza e melodia, spesso accompagnato da testi di attualità, di denuncia, o, come in questo caso, inerenti al tema della religione. Un mutamento radicale che ha aperto a una sorta di nuova era, o di rinascita, in seno alla formazione, e che ha oggi in Golgotha il suo vertice assoluto, la sua vetta più estrema, il suo orizzonte più sereno. Siamo al cospetto del miglior prodotto che il gruppo abbia dato alle stampe, appunto, dal 1992 ad oggi? La mia personale opinione è rivolta verso il sì.

Parlare di musica è come ballare di architettura, diceva Frank Zappa. Comprendo a pieno questa frase cercando di descrivere le emozioni frutto della qualità tecnica e compositiva delle nove tracce di questo platter, che formano una tracklist complessivamente più solida e convincente di quella contenuta nel predecessore Babylon (2009), e totalmente priva di cali o riempitivi. Il trascinante brano Scream, posto in apertura, mette in risalto le capacità tecniche dei componenti del gruppo, con un Doug Blair eccellente nel riffing e negli assoli personalissimi della sua chitarra, un Mike Duda sugli scudi al basso e un Mike Dupke determinante con il battito preciso e potente della sua batteria. La hit Last Runaway è un gioiellino di hard rock arrembante ma orecchiabile, dannatamente ottantiano, e riprende (e molto) il sound della bellissima Arena Of Pleasure, traccia presente in The Crimson Idol. Come lei, è bombastica quella Shotgun che anticipa la canzone delle canzoni: Miss You, una ballad incentrata sul tema della religione, drammatica ed emotivamente unica, che non si può far altro che ascoltare e riascoltare all’infinito, godendo a pieno della forza del cantato di un Lawless totalmente preda delle emozioni di un testo al 100% suo. Da assaporare a pieno anche qui l’assolo. Brividi.

Al giro di boa, Fallen Under è un altro pezzo da novanta per intensità e gusto melodico, ed è assai differente dalla grinta cieca di una Slaves Of The New World Order che riprende una certa Chainsaw Charlie targata, guarda un po’, 1992. Eyes Of The Maker è l’ennesima traccia di forza, perfettamente interpretata da Lawless, a cui segue la buona Hero Of The World, debitrice di ulteriori rimandi all’epoca d’oro del gruppo. Infine, cala il sipario la lunga title track Golgotha, apoteosi dello stile compositivo degli W.A.S.P. con i suoi otto minuti di pura estasi, ricchi di rallentamenti melodici e accellerate di potenza, che ci ricordano vagamente la superlativa Heaven’s Hung In Black del 2007. E la sensazione è che con gli W.A.S.P. in questo stato di forma, beh, non ce ne sia proprio per nessuno..

IN CONCLUSIONE

Forse un po’ più duri e metallici rispetto agli standard del nostro sito, gli W.A.S.P. di Blackie Lawless si conquistano con i denti un posto d’onore tra le recensioni del 2015 appena conclusosi grazie alla maestria evidenziata con il loro ultimo platter Golgotha. La padronanza tecnica dell’iconico gruppo è indiscutibile, il suo gusto compositivo anche, e le melodie che si diffondono nell’aria, nota dopo nota, battuta dopo battuta, ci rimandano indietro nel tempo proprio là, sul finire degli anni ottanta. La nostra meta preferita.

Li seguo da sempre, da oggi ne posso finalmente parlare anche in questa sede. Credo di essere l’uomo più felice del mondo in questo momento. Evviva gli W.A.S.P.!

 

© 2016 – 2022, Iacopo Mezzano. All rights reserved.

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