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Kingdom Come – Outlier – Recensione

18 Aprile 2013 15 Commenti Iacopo Mezzano

genere: Hard Rock
anno: 2013
etichetta: SPV/Steamhammer

Tracklist:

01. God Does Not Sing Our Song (04:05
02. Running High Distortion (04:14
03. Rough Ride Ralleye (04:35
04. Let The Silence Talk (03:29
05. Holy Curtain (03:59
06. The Trap Is Alive (04:41
07. Skip The Cover And Feel (03:37
08. Don`t Want You To Wait (04:31
09. Such A Shame (03:18
10. When Colors Break The Grey (05:03

Formazione:

Lenny Wolf - voce, tutti gli strumenti
Eric Förster - chitarra

 

Se forse ci sarebbe da ridire sulla totale lucidità mentale di Lenny Wolf, che come vedremo poi alterna dichiarazioni giuste e condivisibili a sparate epiche da messia moderno (una su tutte: E’ per me secondario ogni obiettivo di business. Per me è importante solo creare ottime varietà di segnali sonori che entrano nelle orecchie per arrivare al cuore. Alcuni la chiamano vocazione. Alleluia.), ancora una volta poco o nulla si può obiettare sul risultato sonoro degli album dei suoi Kingdom Come, che il 29 aprile torneranno nei negozi con il loro nuovo disco Outlier, distribuito nel mondo dalla SPV/Steamhammer.

“Ho sentito la necessità di guardarmi dentro e gettarmi nell’infinito cosmo sonoro. Il risultato è una frizione di meccanica e un collage di suoni, combinato con le tipiche melodie melanconiche e melodiche. Tutto vero, tutto giusto. Outlier è infatti un disco che prima di tutto sicuramente necessita di un lavoro di assimilazione e comprensione differente da quello di gran parte degli album, vuoi per i suoi testi presenti, attuali e sociali (e volendo persino sconvolgenti per la loro effettiva schiettezza), vuoi per il suo stesso sound, vera frizione tra stilistiche hard rock alla Led Zeppelin, sonorità moderne e quel tocco particolare, unico e melanconico alla Kingdom Come che è diventato negli anni il marchio di fabbrica della musica di questo progetto. E ancora, e sempre dalle parole di Wolf: “Una sola canzone di questo disco non può riflettere il carattere di questo album. Per capirlo, devi prenderti del tempo e diventare parte di queste composizioni, che sono tutte estremamente differenti.”. Corretto anche questo. Pur essendo un album a mio avviso più facile e diretto dei suoi diretti (ultimi) predecessori, e questo grazie all’evidenziarsi delle sovracitate sfumature moderne e talvolta quasi alternative, Outlier è molto più vicino all’idea di concept album piuttosto a quella di una semplice raccolta di canzoni, con brani spesso particolarmente differenti tra loro ma indefinibili se presi singolarmente, perchè contenenti un messaggio, un atmosfera, un imput sempre collegato alla traccia precedente, e poi a quella ancora prima, e così via. Il risultato è un pacchetto oscuro e grezzo, ciononostante melodico, assolutamente unico e particolare, che molto probabilmente dividerà gli ascoltatori tra chi (come me) apprezza questa evoluzione continua in seno al gruppo, e chi invece preferirebbe un vero e proprio ritorno alle origini e al sound degli esordi.

Lasciando a voi giudicare il vostro metro di gradimento di questa uscita, concludo come sempre andando a fare una breve analisi dei brani. L’opener e singolo God Does Not Sing Our Song è un disincantato grido d’aiuto della società in cui viviamo, soffocata dal potere e dalle scelte dei pochi, incapace di una reazione comune. Un pezzo interessante, essenziale ma dall’atmosfera accattivante, perfetta scelta come pezzo di lancio dell’album. Running High Distortion prosegue con un sound analogo ma con passaggi musicalmente più soffocanti, ricreati sia con effetti di synth, sia con un riffing di chitarre volutamente monotono e ripetuto. Rough Ride Ralleye mette in risalto elementi quasi elettronici e da musica atmosferica, ben abbinati al buon cantato carismatico di Wolf, sugli scudi sul ritornello. Let The Silence Talk è un bel pezzo hard rock classico, denso di riffing ed energia, e Holy Curtain un nuovo componimento particolarmente riuscito grazie al suo avanzare pachidermico che ben si abbina al messaggio racchiuso nel suo testo. Inizia la virtuale side B del disco con The Trap Is Alive, canzone dal mood più positivo e dal bel ritmo, calda di emozioni, Skip The Cover And Feel profuma di antico, è ledzepppeliniana fino al midollo e intrigante come poche, e Don`t Want You To Wait si presenta come una piacevole traccia moderna, nel sound quasi alla U2 (o meglio alla She’s China, per chi li conoscesse). E agli sgoccioli Such A Shame incanta l’ascoltatore con il suo bel riffing, mentre per opposto la chiusura When Colors Break The Grey torna ad essere traccia mite e melancolica, vicina allo stile dell’opener, cupa e sommessa nelle sue atmosfere.

IN CONCLUSIONE

Un pacchetto volutamente complesso e complicato, da ascoltare davvero più e più volte prima di poterlo al meglio giudicare, e perciò sicuramente non di primo impatto. Ma un album che sa crescere con gli ascolti, e che mano a mano diventa parte integrante di noi, riuscendo forse persino a risvegliare negli animi un qualcosa anche a livello filosofico e spirituale. E Wolf non sarà ne un messia ne un predicatore, ma un compositore in grado di colpire e impressionare con i messaggi inseriti nella sua musica lo è, e lo è sempre stato..

© 2013 – 2016, Iacopo Mezzano. All rights reserved.

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