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Recensione

91/100

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Glyder – Backroad to Byzantium – Recensione

28 Settembre 2011 2 Commenti Iacopo Mezzano

genere: Hard Rock
anno: 2011
etichetta: SPV/Steamhammer Records

Tracklist:

1. Chronicled Deceit *
2. Long Gone
3. Fade To Dust
4. Even If I Don't Know Where I'm Gonna Go
5. Don't Make Their Mistakes *
6. Down And Out
7. Something She Knows *
8. Two Wrongs *
9. End Of The Line *
10. Motions Of Time

* Migliori Canzoni

Formazione:

Jackie Robinson – Voce
Bat Kinane – Chitarra e Cori
Pete Fisher – Chitarra
Graham McClatchie – Basso
Des McEvoy – Batteria

 

Il cerchio è chiuso. Dopo aver scambiato due chiacchere con i componenti della band (qui l’articolo con la nostra intervista), è giunto per noi il momento di recensire questo ultimo lavoro dei Glyder, realtà hard rock irlandese attiva dal 2004 che per questo quarto album della sua carriera si presenta con una formazione fortemente rinnovata dopo l’uscita del cantante-bassista Tony Cullen e del batterista Davy Ryan, sostituiti da Jackie Robinson, Graham McClatchie e Des McEvoy.

Questo Backroad to Byzantium, in uscita per SPV/Steamhammer Records il 10 ottobre, segna quindi un punto focale per la carriera dei Glyder, in un anno denso di cambiamenti che, come vedremo, si riperquotono anche nel sound del gruppo, che appare in gran parte differente da quello presentato nelle precedenti occasioni. Ma bando alle ciance ora, pigiamo sul tasto play, e ascoltiamo questo disco..

LE CANZONI

E’ un riff sabbathiano ad aprire il disco e Chronicled Deceit, primo brano dell’album e prima mazzata sonora. Forse tra i pezzi più duri e immediati composti nell’intera carriera del gruppo, questa canzone si evolve con grandissimo gusto e stracolma di grandi influenze, ora non più derivanti solo (o quasi) dai lavori dei Thin Lizzy come accadeva in precedenza ma molto più variegate (a tal punto che azzardo e dico che addirittura in certi segmenti di questo pezzo mi pare di sentire rimandi a una band thrash metal classica come i primi Anthrax). Esordio di disco glorioso, dal refrain incontenibile che vi farà scapocciare davvero come si deve.
Long Gone è piacevolmente densa di rimandi agli anni’70. Le chitarre, molto in stile Led Zeppelin, si muovono efficaci e taglienti e ben seguite da un’ottima base ritmica. La melodia è sormontata dal nuovo cantante, Jackie Robinson, dotato di una vocalità classica molto simile a quella di Robert Plant e capace di dare con la sua qualità una marcia in più a questo bel brano.
Ecco tornare forte l’ispirazione ai Thin Lizzy nell’apertura di Fade To Dust, con le due chitarre ad intrecciarsi di comune accordo sopra al tappeto di basso e batteria. Robinson è abile nell’adattare la sua voce su tonalità più calde e meno aggressive rispetto ai due precedenti brani, vincendo di fatto (per mio personale gusto) il duello con il precedente vocalist Tony Cullen. Da segnalare inoltre un ottimo assolo a centro brano, tecnico e ispirato, e ben supportato da un basso in grande spolvero.
Sulla stessa linea d’onda, Even If I Don’t Know Where I’m Gonna Go pare per lunghi tratti un componimento uscito dalla mano di Phil Lynott (il che è uno dei più grandi complimenti che credo si possano fare a una band di quasiasi genere e nazione).  E’ un pezzo caldo e molto efficente nel trasmettere emozioni, con quelle chitarre quasi al limite del funky sul ritornello che fanno assaporare ancora un po’ di estate.
Stupendo l’esordio di Don’t Make Their Mistakes, che fortemente mi ricorda alcuni passaggi dei primissimi D-A-D. Ed è di pari livello anche il proseguo del pezzo, molto ritmato e dominato da un’altra prestazione vocale calda di Robisnon davvero sopra le righe. In conclusione, per intrecci di chitarre e sound questo è a mio avviso uno dei pezzi di maggior valore del lotto.
Down And Out è il primo secco rallentamento al ritmo del disco, con un avvio dove la chitarra echeggia solitaria ad accompagnare la voce sconsolata (ed efficentissima anche in questo frangente) del cantante. Con forti rimandi a The Sun Goes Down, la canzone trova la sola parziale accelerazione sul ritornello e sull’assolo di Kinane, ancora una volta molto ben curato.
Something She Knows torna a presentare invece quelle melodie calde che già avevamo potuto sentire alla #4 Even If I Don’t Know Where I’m Gonna Go. Definibile addirittura westcoast almeno per approccio e coralità (egregia sul ritornello), è un altro grande capitolo di questo disco e lascia ancora grande spazio a Robinson nell’esprimere tutte le sue qualità vocali.
Di nuovo massiccio e di matrice classica, il riffing di Two Wrongs è di altri tempi e l’immersione nei ’70 è ormai completa. Chiudete gli occhi sulla strofa che anticipa il ritornello e poi correte via via lungo l’incombere di un refrain elettrico, carico di sensazioni uniche, almeno di questi tempi. Tanto di cappello ancora a questi ragazzi, dotati di un songwriting di spessore che miscela originalità a spiccate influenze classiche. Bravi bravi.
Parimenti, la penultima traccia End Of The Line si mantiene fresca della stessa vitalità espressa nel precedente capitolo. Guidata da una batteria scatenata, da strumenti a corde vivi e taglienti e da ottime voci, si evolve ancora una volta a meraviglia fino al solo, stupendo, tecnico e a mio avviso tra i migliori del disco.
Chiude quasi interamente acustica e guidata da un arpeggio di chitarra Motions Of Time, traccia che lascia interamente spazio a Robinson e Kinane di dedicarsi a un duetto strumentale e vocale di favolosa intensità. E’ un commiato di gran valore quello che i Glyder hanno scelto per chiudere Backroads to Byzantium, una rinfrescata dalla genuina energia sprigionata traccia dopo traccia, il definitivo battesimo del conubio tra Kinane e il neo ingresso Robinson.

IN CONCLUSIONE

Erano mesi che cercavo il disco hard rock classico capace di eguagliare quanto espresso dai Ken Hensley & Live Fire con l’album Faster uscito a giugno 2011 ed ora finalmente l’ho trovato. Questo nuovo capitolo dei Glyder è la consacrazione di questa realtà musicale all’Olimpo dei grandi artisti dell'”hard rock scritto/suonato come si deve”. Dotato di una produzione magnifica, perfetta nella sua riproposizione in chiave moderna del suono classico anni’70-’80 (parliamo della SPV comunque, con loro si va sempre tranquilli..), questo Backroad to Byzantium si ancora alla storia del genere grazie a un songwriting maiuscolo forte di uno splendido abbinamento di testi e melodie, grazie a una prestazione tecnica della band ai giorni nostri davvero invidiabile e che non sfigura di fronte a nessuna delle recenti uscite dei grandi nomi del passato, grazie a melodie curate, genuine, fresche, cariche di sensazioni ed energia. I nuovi ingressi, su tutti il pluricitato Robinson alla voce ma anche  gli ottimi Graham McClatchie (basso) e Des McEvoy (batteria), sono stati in grado di integrarsi benissimo con il leader Kinane e attraverso loro la band è maturata, si è staccata in gran parte dal passato per regalare un futuro ancora più roseo e promettente. Siamo di fronte a una delle migliori realtà hard rock del nuovo millenio. Punto.

 

© 2011 – 2016, Iacopo Mezzano. All rights reserved.

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