Atomic Kings – Atomic Kings – Recensione

Nuova uscita per gli Atomic Kings, band nuova di zecca con Gregg Chaisson al basso(Badlands, Red Dragon Cartel), Ryan Mckay alla chitarra, Jim Taft alla batteria e Ken Ronk alla voce. La Tonehouse Records pubblicherà il debut album e descrive il sound come un suono basato pesantemente sull’hard rock / blues degli anni 70-80.
Ma andiamo ad analizzare il disco….

Le prime tracce All I Want (scelto come primo singolo) ed Escape sono di buona caratura e girano su un riff di chitarra e basso rock con alcune sfumature Blues, e se la prima traccia ha un refrain e un riff che entrano subito in testa, la seconda nonostante il bel groove ha una melodia che non convince, rimanendo troppo anonima. Holding On parte con un basso rotolante e distorto, la canzone è più cupa e la parte cantata di Ronk, acuta, ricorda molto il suono settantiano confermato dal bell’assolo di chitarra. Take My Hand è un macigno hard rock, dove ancora riff e musica sono super, ma la differenza lo fa il pezzo strumentale finale da oltre 2 minuti.
Con Running Away troviamo il primo mid tempo, un rock melodico, con una gran melodia e ottimo lavoro alla batteria di Jim Taft, mai banale. Live ritorna a parlare settantiano con il riff indemoniato e l’intro di chitarra hard rock, il cantato torna su acuti difficili e il basso macina note infinite. I Got Mine varia sound, stavolta è il basso a farla da padrone con il suo riff incessante e suo funky mood, tutto sempre contornato dalla chitarra sempre presente col suo hard rock stavolta più ottantiano. Bella!
Jimi’s Page è una traccia strumentale da un minuto dove si intrecciano chitarra acustica e pianoforte, ma sull’attacco di Bloodline ritroviamo qualcosa dei Deep Purple, un riff grosso, hard rock dove batteria e basso seguono la chitarra a dettare il ritmo. Si chiude con la bonus track Illusion, che non aggiunge nulla al lavoro ma completa l’album con il suo rock melodico, dove trova ancora spazio il basso e le chitarre trovano lo spazio nella parte finale tutta strumentale, come a voler chiudere l’album in bellezza.

IN CONCLUSIONE:
Un bel disco, diretto mai banale, dieci tracce hard rock senza fronzoli, nessuna ballad o lento.
Se vi piace l’hard rock tra gli anni ’70 e ’80 dategli un ascolto.

Cage The Gods – Badlands – Recensione

Che sorpresa questi Cage The Gods! Il gruppo è originario della Gran Bretagna, ma è guidato dal cantante irlandese Peter Comeford , distribuito dall’etichetta americana “The End Records” e riesce a pubblicare questo debut album intitolato Badlands a Marzo 2014 dopo un EP uscito a Novembre. Grazie al video del primo singolo il gruppo inizia ad avere un seguito tra i fan hard rock senza però trovare un importatore europeo, il che rende il cd di difficile reperibilità.  Il full lenght, invece, di ottima caratura, è stato registrato per intero casa del chitarrista James Moncur, e il pregio più grande è quello di saper rievocare il sound ottantiano rendendolo più moderno ma senza mai cadere nel banale o nel già sentito.

L’album parte forte con il primo singolo Favourite Sin, dove la voce di Peter rievoca il Jon Bon Jovi di fine anni ottanta, con la voce più roca e più sporca; la ritmica è indiavolata e il refrain rimane impresso già dal primo ascolto. The Ending rimane più moderna e ricorda qualcosa del rock anni 90 con le chitarre cupe e il riff sporco mentre Sacrifice è qualcosa di spettacolare; pensate di mischiare il classico hard rock americano con un pizzico di Southern e di Black Crowes. L’assolo tecnico e melodico non può che confermarla una delle più belle tracce del lotto. La titletrack Badlands ha la stessa formula della precedente song ma rimane con un tocco più moderno, meno hard ma sempre melodica, dove rieccheggia il Johnny Lima sound. Trouble Reigns è decisamente più cupa, heavy ma con il solito tocco ottantiano che la rende unica. Bruce Willis suona più hard ma con un tocco bluesy, sound granitico, dove le chitarre si intrecciano con riff ed assoli. Falling è una power ballad, con un intro dolce ma travolgenti ripartenze e sempre sull’hard rock più moderno. A Thousand Times e One More Taste sono le tracce che dimostrano come si possa “fondere” il vecchio e nuovo hard rock pur rimanendo canzoni di alta classe , con riff e assoli degni dei migliori rocker ottantiani …What’s Left on Me è la ballad di turno, molto Shinedown, elettrica e sempre con una grande melodia. Sulla stessa strada la conclusiva Promises, molto moderna con una ritmica ripetuta e con un’energia notevole. In base alla versione del disco possiamo trovare diverse bonus track; tra cui la versione acustica di Sacrifice, ottimamente interpretata da Peter e James e con una chitarra blueseggiante. Wake Up chiude con il solito tocco rock moderno senza però lasciare il segno.

IN CONCLUSIONE:

Una vera sorpresa questi Cage The Gods. Una miscela di hard rock ottantiano con tocchi di rock moderno e canzoni perfettamente interpretate e suonate. Da avere.

Putroppo il cd è di difficile reperimento, speriamo in qualche etichetta europea che importi presto questo gioiello rock!