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Recensione

75/100

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After Lapse – Face The Storm – Recensione

23 Dicembre 2022 Comment Giorgio Barbieri

genere: Prog Metal
anno: 2022
etichetta: Frontiers

Tracklist:

01 - Thrive
02 - Where No One Cares
03 - Come Undone
04 - Face The Storm
05 - Beyond The End
06 - The Lie
07 - Through This War
08 - More
09 - Facta Non Verba
10 - Heal
11 - Along The Way

Formazione:

Rubèn Miranda – Vocals
Jorge Escudero – Guitars
Pablo Sancha – Keyboards, Vocals
Javier Palacios – Bass
Roberto Cappa - Drums

Ospiti:

Pedro J.Monge – Lead Guitar on “Where No One Cares”
Carlos Lozano Quintanilla – Lead Guitar on “More”
Alicia Avilès Valero – Cello on “Along The Way”

Contatti:

https://www.facebook.com/AfterLapseOfficial
https://www.instagram.com/afterlapseofficial
https://afterlapse.bandcamp.com
http://www.intromental.com/afterlapse/index.htm

 

Oramai anche nel cosiddetto prog metal, c’è una scena inflazionatissima che, formalmente, sforna album di altissima caratura tecnica, ma che, a mio parere, di prog, non hanno molto; ma come, direte voi, se i riferimenti degli After Lapse di cui parliamo in questa recensione sono, come dice la bio, Dream Theater (e vabbè…), Pain of Salvation, Haken, ma anche Kamelot e Angra, come si fa a dire che di prog ce n’è poco? Mi spiego, il progressive è quello che Yes, Genesis, Gentle Giant, King Crimson, P.F.M. e, in parte, i Pink Floyd, hanno contribuito a definire e che, i Dream Theater per primi, hanno traslato verso il metal, quindi, che qualunque gruppo inserisca tastiere più o meno presenti e/o cambi di tempo, venga definito prog (metal) non è così reale, altrimenti lo spettro si allargherebbe enormemente e questo discorso vale anche per gli After Lapse, band spagnola che giunge al debutto discografico, dopo quattro anni e alcuni cambiamenti di line up.

Intendiamoci, gli After Lapse sono bravissimi tecnicamente e scrivono anche bei pezzi, ma nella loro musica di prog ce n’è poco e se, come me, intendete la parola “progressive” come progressione del suono, capirete che siamo lontani e dopo questo doveroso preambolo, passiamo a parlare di “Face the storm”, che, se vogliamo assolutamente etichettare, possiamo sì classificare prog metal, ma che, sempre a mio parere, sia chiaro, è un disco di heavy metal molto tecnico, con aperture vuoi sinfoniche, vuoi melodiche, cosa che si capisce da subito con “Thrive”, apertura strumentale imponente, dal taglio, appunto, sinfonico, quello che è sicuro è che, per fortuna dico io, non c’è alcuna traccia di power metal, nonostante i nomi citati sopra e la cosa viene confermata da tutto l’andamento dell’album, quindi, seppur nelle successive “Where no one cares” e “Come undone”, si senta l’influenza dei Symphony X, la componente power è azzerata, a favore di un approccio ipertecnico nella prima e più ‘frubile’, nella seconda che, assieme a “More”, può rientrare nelle grazie di chi, leggendo le righe di questo sito, ricerca parti più “easy listening”. Un discorso più articolato potrebbe essere fatto sulla title track, che se osservate la copertina, può far capire di quale tempesta stanno parlando gli After Lapse, quella che affligge la nostra mente e può portarci ad avere paure inconsce e fronteggiare i nostri demoni più reconditi e la cosa traspare anche dalla musica, che si fa più ostica, anche se rimanda ai Dream Theater più ispirati, con un Rubèn Miranda debitore del James LaBrie più appassionato, ma a differenza del frontman dei DT, nettamente più in palla. La band riesce a far emozionare nonostante i tecnicismi a profusione e lo fa quando stacca il piede dall’acceleratore, con la semiacustica “Beyond the end”, semiballad che può essere collegata ai pezzi posti in chiusura, ossia “Heal”, introduzione piena di pathos per quella “Along the way”, che con il piano e il violoncello dell’ospite Alicia Avilès Valero, crea una chiosa davvero piena di pathos, ma ritornando a bomba all’indietro si può trovare qualche inserto più squisitamente prog, ma anche folk come in “The lie”, seppur tutto incastonato in ambito techno metal. Ci sono comunque passaggi che risultano più schematici e ripetitivi, ad esempio nella più tosta “Through this war” e nella ipertecnica “Facta non verba”, parzialmente rovinata da un effetto sulla voce che non ha nulla a che vedere con il contesto, ma il maggior problema risulta essere quella sensazione di già sentito e di scontato, non che i pezzi citati siano in sè brutti, ma non offrono particolari emozioni.

Detto che, se non si fosse ancora capito, la prestazione della band è davvero maiuscola a livello tecnico e chiunque si diletti in assoli stratosferici, sia di chitarra, che di tastiera, può trovare pane per i propri denti, come anche chi tratta la sezione ritmica nella maniera più abile possibile, e che la produzione è cristallina, ma vigorosa al tempo stesso, in stile, anche qui, Symphony X, mi sento di consigliare l’album un pò a chiunque voglia affrontare la materia heavy metal nel modo più vario possibile e non è una contraddizione con certi passaggi più prevedibili, perché durante l’ascolto di “Face the storm”, si alternano diversi paesaggi cangianti, ma non per questo necessariamente tutti assodati, certo che, essendo un esordio, le premesse sono sicuramente ottime e di prospettiva.

© 2022, Giorgio Barbieri. All rights reserved.

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