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Recensione

90/100

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Ghost – Impera – Recensione

15 Marzo 2022 19 Commenti Dave Zublena

genere: AOR / Dark Rock
anno: 2022
etichetta: Loma Vista Recordings

Tracklist:

1. Imperium
2. Kaisarion
3. Spillways
4. Call Me Little Sunshine
5. Hunter's Moon
6. Watcher in the Sky
7. Dominion
8. Twenties
9. Darkness at the Heart of My Love
10. Griftwood
11. Bite of Passage
12. Respite on the Spital Fields

Formazione:

Papa Emeritus IV Voce, Basso, Songwriting, Testi

 

Nota della redazione:

MelodicRock.it ringrazia Dave Zublena, storico mastermind e chitarrista dei Melodic Rocker Soul Seller nonché estimatore dei Ghost, per essersi prestato a questa grande recensione! Godetevela con noi!

Dopo quattro lunghi anni di attesa finalmente vede la luce l’attesissimo quinto album dei Ghost. La parabola ascendente della band svedese pare inarrestabile, passando dall’essere una band di culto osannata da pochi eletti fino al diventare una delle band più popolari del pianeta in grado di riempire le arene ovunque. E sono pronto a scommettere che l’apice della loro popolarità non sia ancora stato raggiunto perché le cartucce da sparare potrebbero essere ancora molte.
La crescita di popolarità pare essere direttamente proporzionale alla loro evoluzione musicale. Partiti nel 2010 con un’accattivante miscela di doom/stoner/goth rock di matrice Black Sabbath/Candlemass/Atomic Rooster, psychedelic-occult rock alla Blue Oyster Cult/Black Widow e una spruzzata di progressive “cinematografico” di chiara influenza Goblin, hanno man mano incorporato sempre più elementi nuovi nel loro sound che comprendevano un hard rock più levigato, sprazzi di riff heavy presi in prestito dal “black album” dei Metallica e una dose abbondante di melodia. Si sono spinti talmente avanti che con il loro ultimo EP del 2019, Seven Inches of Satanic Panic, si sono anche addentrati nel territorio del glam rock anni ’70 e dell’AOR primordiale.
Nonostante l’evoluzione costante, era però difficilmente pronosticabile un ulteriore balzo in avanti di queste proporzioni per la band di Tobias Forge. Infatti, nel nuovo album IMPERA, il doom rock degli esordi è solo un lontano ricordo (che fa ormai capolino in rari intermezzi strumentali) e la componente psichedelica è ridotta all’osso.
Quindi che genere suonano oggi i Ghost?
Difficile da descrivere a parole… Forse il termine che rende meglio l’idea è un “modern heavy arena rock ‘80” con sorprendenti innesti AOR e atmosfere horror/goth rock!
Una svolta “commerciale” di questa portata è inaspettata quanto accattivante. Un balzo enorme negli anni ’80 che farà sicuramente la gioia di molti ma che al tempo stesso farà storcere il naso ai fans più “puristi” della prima ora ed aumenterà a dismisura il numero degli “haters”.
Ma i Ghost sono ancora una band metal? Premesso che per il sottoscritto NON lo sono mai stati, il sound di IMPERA, nonostante le tonnellate di melodia e arrangiamenti catchy, resta comunque potente e granitico e anche gli amanti delle sonorità più pesanti e ruvide (ma di ampie vedute) potranno trovare pane per i loro denti.
La nuova veste dei Ghost è in definitiva un’irresistibile miscela di stili che è debitrice in primis dell’Alice Cooper del periodo “Trash/Hey Stoopid”. Sarà lo stile evocativo e teatrale con il quale Tobias Forge interpreta il suo personaggio o il nuovo sorprendente ibrido sonoro, ma l’accostamento con lo zio Alice è inevitabile e ricorrente per tutta la durata dell’album.
Detto ciò, quello che deve essere chiaro ai lettori, è che non ci si trova di fronte ad un album monocromatico, ma ad una tavolozza che incorpora tutta una serie di colori che lo rende estremamente eclettico ma al tempo stesso omogeneo e fluido.
Prima di addentrarmi nell’analisi “track by track” è giusto anche menzionare il concept lirico su cui è costruito questo album in quanto componente inscindibile nel mondo Ghost. Non si tratta di un vero e proprio “concept album” con una storia e dei personaggi, bensì un insieme di brani con un filo conduttore comune. In questo caso IMPERA parla della nascita, l’ascesa e la caduta dei grandi imperi della storia e il progressivo concretizzarsi di una visione distopica della società del nostro secolo. E come il precedente “Prequelle” (che trattava il drammatico tema della pandemia di peste nera del XIV secolo) pare arrivare nel momento storico più “azzeccato” tanto da dubitare che il buon Tobias Forge sia un chiaroveggente o un incredibile iettatore. In tal senso anche la singolare evoluzione “sci-fi/steampunk” delle maschere dei Ghoul trova la sua perfetta chiave di lettura dopo aver esaminato il concept nella sua interezza.
Ma veniamo alle canzoni.

La partenza è affidata alla strumentale Imperium. Un intreccio melodico di chitarre acustiche ed elettriche che evoca ricordi delle intro più melodiche dei Metallica (One/Battery) e serve a creare l’atmosfera giusta per l’esplosione del primo vero brano Kaisarion. Sin dalle prime note di chitarra alla “Green-Tinted Sixties Mind” si percepisce che qualcosa è cambiato e si ha la conferma definitiva quando parte un acuto degno del più irriverente Justin Hawkins (The Darkness) anziché di Papa Emeritus IV. Colate di chitarre scintillanti, tastiere vive ma non invasive e melodie super catchy sono gli ingredienti di questo entusiasmante up-tempo che si potrebbe definire un modern-arena rock! Il break centrale al limite del progressive/pomp in pieno stile Styx/Kansas ci ricorda comunque che i Ghost sono una band eclettica e le sorprese sono sempre dietro l’angolo. Si prosegue con Spillways, pezzo che taglia definitivamente i ponti con il passato e spinge i Ghost addirittura in territori di AOR puro che ricorda tanto i primi Foreigner, i Boston, gli ABBA e in parte anche i primi Bon Jovi. Pezzo spettacolare che entra subito in testa e non se ne va più via. Per sentire qualcosa che si avvicini maggiormente al passato non troppo distante della band bisogna passare al quarto brano (nonché secondo singolo) Call Me Little Sunshine. Dopo un meraviglioso arpeggio elettro-acustico, che rievoca nuovamente i Metallica più melodici e in parte Hells Bells degli AC/DC, esplode una strofa piena di groove con un riff roccioso dalla sonorità molto hard anni ‘90. Ma sarà poi nell’incedere del bridge e del ritornello che prende vita tutta la stravaganza della band, la quale con un gioco di armonie vocali praticamente perfetto si candida ad essere una sorta di versione malefica e moderna dei Queen più progressive. I primi quattro brani sono quattro colpi da knock-out ma a quanto pare i Ghost non vogliono fare prigionieri e proseguono sulla formula di groove e melodie anche nel primo singolo Hunter’s Moon che rilegge in chiave gotica il sound di Alice Cooper e del Bon Jovi più commerciale dei primi anni 2000! L’asticella si alza ulteriormente e se tutto questo non fosse bastato ecco arrivare la potente Watcher In The Sky. Un pezzo heavy/class metal che nel riff principale e nel ritornello richiama addirittura i Dokken più oscuri (Dream Warriors) e i Black Sabbath più cromati del periodo Tony Martin/The Eternal Idol. Altro ottimo brano che farà la gioia degli amanti delle sonorità più heavy. Dopo l’intermezzo strumentale Dominion arriva Twenties, uno dei brani che sarà destinato sicuramente a far discutere e dividere i fans. Cosa sarebbe successo se i System Of A Down si fossero fatti arrangiare un pezzo da… Desmond Child? Probabilmente questa canzone è la risposta! Una marcia di guerra ipnotica e pomposa, con profumo di musical anni ’20 e che strizza l’occhio anche al Marylin Manson più commerciale di “The Golden Age of Grotesque”. Al primo ascolto spiazzante, al secondo interessante, al terzo irresistibile. Ci si avvia verso le ultime tracce del disco ed ecco arrivare la prima ballad, Darkness At The Heart Of My Love che, se nella strofa rimanda al “classico” sound etereo ed evocativo degli altri lenti a marchio Ghost, è nel ritornello che esplode in maniera imprevedibile una melodia pop-rock sospesa tra ultimi Bon Jovi, Muse ed addirittura Imagine Dragons. Sono pronto a scommettere che, nonostante lo sconfinamento nel territorio pop, potrebbe diventare uno dei brani preferiti dai fans (anche in chiave live). La successiva Griftwood è l’ennesimo salto indietro nel tempo nei gloriosi anni ’80. Un mid-tempo di rock melodico moderno con echi lontani di Def Leppard, di AOR inglese in stile FM e un ritornello con una melodia da 10 e lode. Una piccola gemma. Giusto il tempo per un ultimo breve intro strumentale per creare l’atmosfera (Bite Of Passage) e si arriva all’ultimo brano: il capolavoro del disco Respite On The Spitalfields! Brano che inizia come la più classica ballad dei Ghost, soffusa, melodica e psichedelica in stile Opus Eponymous e Infetissuman ma che improvvisamente cambia pelle e diventa un mid-tempo tagliente con un riff heavy sincopato a fare da bilanciamento alla meravigliosa apertura melodica del ritornello. A sorpresa nella sezione strumentale centrale spunta un tributo (forse anche troppo evidente) a Still Of The Night dei Whitesnake. Intensa e drammatica chiude delicatamente l’album con la reprise dell’arpeggio di chitarra dell’iniziale Imperium. (personalmente il finale “sfumato” non mi ha fatto impazzire. Avrei preferito un finale più epico per rendere giustizia alla pomposità del resto del disco).

IN CONCLUSIONE

I Ghost tornano con il botto e forse sferrano il colpo definitivo per il grande salto mainstream. L’evoluzione sonora è sicuramente in parte figlia del periodo di revival anni ’80 che stiamo vivendo, ma anche figlia della necessità di avere dei brani più di impatto e “adatti” ad essere suonati nelle arene ed essere cantati da migliaia di persone. La “moda” recente di rivisitare determinate sonorità (vedi i connazionali The Night Flight Orchestra o i Nestor), contagia in parte anche i Ghost, i quali però non si limitano ad un copia/incolla alla cieca bensì ad un integrare quegli elementi al loro stile teatrale, heavy, gotico e pomposo abbinato ad una produzione cristallina “modern vintage”.
Insomma, i Ghost pur non inventando nulla e molto spesso citando cose già fatte da altri, riescono di nuovo nell’impresa di suonare unici e freschi.
IMPERA supererà la prova del tempo? Siamo di fronte ad un disco che segnerà la storia dell’hard rock moderno? Per il momento la sensazione è quella di avere tra le mani una sequenza di brani vincenti ed incandescenti per un disco sorprendente che potrà veramente fare le gioie di una vasta schiera di fans del rock.
E non è cosa da poco.

© 2022, Dave Zublena. All rights reserved.

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