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Recensione Classico

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Classico

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Strangeways – Native Sons – Classico

14 Gennaio 2022 4 Commenti Yuri Picasso

genere: Aor
anno: 1987
etichetta: Hangdog Records
ristampe: 2011 Rock Candy

Tracklist:

1. Dance With Somebody
2. Only a Fool
3. So Far Away
4. Where Do We Go From Here
5. Goodnight L.A.
6. Empty Streets
7. Stand Up and Shout
8. Shake The Seven
9. Never Going To Lose It
10. Face To Face

Formazione:

Terry Brock: vocals - Jim Drummond: drums - David Stewart: bass - Ian Stewart: guitars

Ospiti:

Dave Moore: Keys

 

Perfetto connubio di ispirazione, capacità compositive, padronanza tecnica, condite da una produzione di livello come il genere richiede(va) (rebbe). Questa è la sintesi perfetta del secondo parto degli scozzesi Strangeways, il primo con il talentuoso vocalist americano Terry Brock, chiamato a sostituire Tony Liddle. Lungo l’airplay arriva probo l’istinto della band di scrivere materiale d’impatto, emotivo, puro, raffinato. Pensare che il primo di gennaio questo disco ha compiuto 35 anni, l’impatto viscerale in grado di suscitare rimane inalterato tanto la musica di qualità rimane eterna.

Due parole sui pezzi…
“Face to Face” e “Only a Fool” sono notturne, romantiche ma lontane dal melenso da classifica. Colpisce dritto al cuore l’impasto sonoro ultra definito, merito dell’ottimo lavoro dietro al mixer di John Punter (Slade, Nazareth) svolto ai famosi Powerplay Studios nella provincia di Zurigo. Il groove basso-batteria creato dalla coppia Drummond/Stewart in “Stand Up And Shout” o ancora in
“Empty Streets”, mostra i muscoli morbidi della band con un sound di chitarra leggermente retrò a ricordare il Neal Schon dei primi 80’s. Per “Goodnight L.a.” venne tratto un video a lungo irreperibile sul tubo. Parte col basso che martella sullo stesso giro, accarezzato da synth lievi, per poi aprire al bridge con Brock sugli scudi mostrante tutte le sue abilità nell’estensione vocale intervallato nel chorus da Ian Stewart alla solista con note pronte a squarciare luce nel buio. “Never Going To Lose it” alterna strofe delicate ad un ritornello incisivo, l’esatto opposto di “Where do We go From Here”, entrambe capaci di dispensare sequenze di emozioni e ricordi a flusso continuo.

La sfortuna generale degli Strangeways è stata quella di essere a torto considerata una band molto o troppo vicina ai Journey. Alcuni perimetri artistici possono coesistere , come il timbro di Brock, a tratti una sorta di Steve Perry ipervitaminizzato; o in alcune scelte compositive, ma al medesimo tempo è inverosimile non essere in grado di riconoscere al combo scozzese-americano la propria definita identità artistica che raramente verrà riprodotta con fedeltà da altri moniker. La band due anni dopo pubblicherà “Walk In The Fire”, e, nonostante suonerà come una conferma delle capacità esplosive e fuori dal comune della band , non riuscirà ad entrare in classifica, a causa della solita serie di eventi sfavorevoli. Eccessivamente ai confini del timing temporale perfetto, scarsa pubblicità, e insolite ed ingiustificabili recensioni internazionali che lo definivano un disco di serie B creato da una band di serie A. Dopo poco Terry Brock proverà ad entrare nei Deep Purple, mancando, e gli Strangeways continueranno a pubblicare dischi intimisti lungo i 90’s con Ian Stewart dietro il microfono, ripresi per lo stile da quelli pubblicati dopo la reunion del 2010. Lascio a voi la diatriba su quale dei due sia migliore. Personalmente li metto alla pari e su una ipotetica scala da 1 a 100, entrambe si prendono 95. Il dualismo va a favore di quale dei due ha regalato all’ascoltatore maggiori emozioni introspettive…

Alcuni manifesti musicali, seppur vicini alla perfezione, rimangono per pochi e non entrano in quella che potrebbe e dovrebbe essere cultura popolare. Rimangono, come “Native Sons” insegna, storie di Musica Vera.

© 2022, Yuri Picasso. All rights reserved.

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