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Recensione Classico

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Def Leppard – Pyromania – Classico

01 Dicembre 2021 10 Commenti Giorgio Barbieri

genere: Hard Rock
anno: 1983
etichetta: Vertigo
ristampe:

Tracklist:

1- Rock!Rock! Til you drop
2- Photograph
3- Stagefright
4- Too late for love
5- Die hard the hunter
6- Foolin'
7- Rock of ages
8- Comin'under fire
9- Action! Not words
10- Billy's got a gun

Formazione:

Joe Elliot - Vocals
Steve Clark - Guitars, Backing Vocals
Phil Collen - Guitars, Backing Vocals
Pete Willis - Guitars
Rick Savage - Bass, Backing Vocals
Rick Allen - Drums, Backing Vocals

 

Provocazione: non riuscirete mai a quantificare quanto ho odiato questo disco e il singolo “Photograph” e allora perchè, direte voi, adesso addirittura lo recensisci? Semplice, perché dopo la pubblicazione della montagna di zucchero chiamata “Hysteria”, questo “Pyromania” mi sembrò un album di death metal!

E’ innegabile che la band fosse in stato di grazia, che molta della musica e degli arrangiamenti fossero ancora farina del loro sacco, ma quando un Re Mida come Robert John “Mutt” Lange (ricordiamo il suo lavoro oltre che con i Leppard, anche su “Back in black” degli Ac/Dc e “4” dei Foreigner, nonchè con Shania Twain, Bryan Adams, The Cars, Michael Bolton, Nickelback), si mette al lavoro su un album, lo deve giocoforza adattare a quella che è la sua idea di suono, deve poter metter mano e voce su come le canzoni devono progredire e su come la band deve eseguirle, fino a diventare il sesto uomo della band e così “Pyromania”, divenne il primo, grande successo dei Leppard, che, ad un’orecchio attento, non era sfuggito ci provassero già dal primo album con “Hello America”, quindi in maniera più palese con i singoli di “High’n’dry”, ma fu con “Photograph”, “Foolin'”, “Rock of ages”, “Rock rock (til you drop)” e “Too late for love”, che i cinque ragazzi di Sheffield fecero saltare il banco. Questo spostamento più accentuato verso sonorità sempre più melodiche, fece sì che la band potesse raggiungere picchi di popolarità inusitati degli States, arrivando a suonare tre volte al Forum di Los Angeles e addirittura davanti a quasi 60000 persone per la data di San Diego, arrivando ad un totale di 112 date, mai più eguagliato durante l’anno solare neanche nel 1988 a supporto di “Hysteria”, mentre in patria la loro fama stentava a decollare, dato che in terra d’Albione l’amore per la nwobhm era ancora vivo e vegeto, ma sarebbe stata solo una questione di tempo e quando il pubblico inglese e più in generale europeo, me compreso, si rese conto della potenzialità dell’album che tutto sommato era il giusto compendio tra la ruvidezza della prima fase e l’edulcorazione che i Leppard volevano a tutti i costi, anche nel vecchio continente “Pyromania” iniziò a funzionare, vendendo circa sei milioni di copie nel solo anno della sua pubblicazione.

La grinta non mancava certo al platter, già dall’opener “Rock! Rock! Til you drop” che sa molto di Ac/Dc, sia per la voce di Joe Elliot, che per gli assoli e i riff, si capiva che i Def Leppard non avevano certo mollato gli ormeggi come successe poi con “Hysteria”, ma che il loro incedere voleva essere energico e melodico al tempo stesso, forse anche grazie agli ultimi colpi di coda di Pete Willis, che in preda a i fumi dell’alcool, venne licenziato durante le registrazioni e sostituito con l’ex Girl Phil Collen. Di “Photograph” è quasi inutile parlare col suo riff riconoscibile a centinaia di chilometri di distanza e con la prestazione di Joe Elliot ancora di prim’ordine, prima di finire nel mediocre già in alcune parti del fortunatissimo successore e nonostante alcuni problemi alle corde vocali proprio durante le sessioni di registrazione; anche dei brani successivi è quasi inutile discutere, data la grandissima notorietà acquisita, ma è giusto citare i pezzi che più restano nell’ombra dei colossali singoli e così anche “Stagefright”, col suo incedere incalzante urla la sua presenza, prima di lasciare il posto alla commovente semi ballad “Too late for love”, degno seguito di “Bringin’on the heartbreak”, che però, permettetemi, nelle sue atmosfere e i suoi passaggi di chitarra, non certo nell’incedere, ricorda un altro grande pezzo storico della nwobhm, ossia “Remember tomorrow” che non penso ci sia bisogno di dirvi chi la suoni…altro pezzo elaborato e non certo scontato è “Die hard the hunter”, che se non fosse per i suoi cori polifonici a-la Queen e il sintetizzatore, sarebbe l’ennesimo tributo alle nebbie britanniche e con un testo sulle conseguenze della guerra in Vietnam, soprattutto sulla psiche dei veterani, a mio parere l’highlight dell’album, il giusto compendio tra melodia e vigore con assoli da brividi! La seconda facciata, per chi ha il vinile, si apre con due singoloni come “Foolin'” e “Rock of ages”, il primo aperto dal classico arpeggione che da il là ad un pezzo di sicura presa, che vive di stop e ripartenze, il secondo, aperto dal campanaccio che sa tanto di States, come in effetti è tutto il pezzo che è una vera e propria dichiarazione d’intenti, con “Comin’ under fire” si ritorna su territori più hard, anche se il brano rimane un pò nel limbo, non decollando e restando piuttosto anonimo rispetto al livello alto delle rimanenti canzoni, i Leppard si riprendono subito con “Action! Not words”, brano ancora vicino all’energia degli Ac/Dc, a parte la slide guitar finale, la canzone, sia come testo (si parla di girare un video con belle ragazze di contorno), sia come andamento, si svolge in un tosto hard-rock’n’roll, quindi la chiusura affidata a “Billy’s got a gun” che ci riporta in territori hard’n’heavy nonostante i classici cori inseriti nel bridge e di nuovo si riaffacciano le brume della nwobhm, soprattutto per quanto riguarda il testo che parla di un certo Billy, della sua pistola e di cosa lo spinge a fare la suddetta arma, una sorta di storia di strada ripresa molti anni dopo dagli Skid Row in “18 and life”, mentre musicalmente il brano si dipana in un ottimo hard ai limiti del metal come lo era inteso a quei tempi, curiosa la chiusura affidata ad un campionamento futuristico, che fa quasi da apripista alle atmosfere patinate del pluripremiato successore.

Non potevo limitarmi ad un mero commento per un disco del genere, mi è bastato lasciare i freni e le parole sono uscite da sole. Quando un album come questo ha accompagnato una parte della nostra gioventù, non si può fare a meno di rilasciare le emozioni fino al limite della nostalgia, con la consapevolezza di aver vissuto quel periodo, guardando sempre avanti, ma non dimenticandosi mai delle nostre radici che crescono anche da qui!

© 2021, Giorgio Barbieri. All rights reserved.

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