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Touch – Tomorrow Never Comes – Recensione

12 Aprile 2021 14 Commenti Samuele Mannini

genere: Pomp/Aor
anno: 2021
etichetta: Escape

Tracklist:

1. Tomorrow Never Comes
2. Let It Come
3. Swan Song
4. Try To Let Go
5. Fire And Ice
6. Trippin’ Over Shadows
7. Frozen Ground
8. Lil Bit Of Rock ‘N’ Roll
9. Glass
10. Scream At The Sky
11. Wanna Hear You Say
12. Run For Your Life

Formazione:

Mark Mangold – Keyboards/Vocals
Craig Brooks – Guitar/Vocals
Doug Howard – Bass/Vocals
Glenn Kithcart – Drums/Vocals

Contatti:

http://www.escape-music.com/

 

Perdonatemi il gioco di parole ed il paragone, ma nella musica come nel calcio è il tocco che fa la differenza, quando hai il tocco di palla sopraffino, anche se sei circondato da giovani che corrono di più riesci a trasmettere la magia di quello sport , così è anche nella musica e a Mark Mangold il “tocco” non manca di certo. Alla distanza di quaranta anni suonati i Touch si ripresentano in formazione originale , la stessa che prese parte al primo storico Monsters Of Rock a Castle Donnington ed è come se il tempo non fosse mai passato. Autori di un omonimo disco  di culto nel 1980 e di un secondo album restato inedito fino al 1998 quando grazie ad una ristampa vide finalmente la luce, i quattro si presentano così, quasi all’ improvviso, creando sicuramente una enorme aspettativa per i cultori di queste sonorità ormai disperse nel tempo. Certo riprendere un discorso interrotto quaranta anni prima non so quanto sia stato facile,  ma sinceramente il tempo passato non si nota affatto e se contiamo che il solo Mangold ha ottenuto una certa notorietà e continuità artistica (prima con gli American Tears e dopo con i Drive She Said)  il rimpianto per quello che i Touch avrebbero potuto proporre nella golden era dell’ Aor è enorme. Comunque sia andata però , questa reunion è  un ottima notizia ed i dubbi sull’operazione nostalgia vengono subito spazzati via dalle note della prima canzone, ovvero Tomorrow Never Comes , che dopo un intro di tastiera si dipana nella sua sua struttura magnificamente catchy a segnare quello che avrebbe avuto tutti i crismi della hit di successo, l’unico difetto? Non si può fare a meno di ascoltarla a ripetizione. Altri esempi di Aor de luxe sono Fire And Ice con la sua rocciosa struttura chitarristica, la atmosferica e sognante Trippin’ Over Shadows, ma anche il piano che apre Glass è da brividi. Non mancano certo gli episodi più rockeggianti, come la più sperimentale e tribale Try To Let Go che vanta però un ritornello arioso e a presa rapida, la più canonica Fire and Ice che ricorda i Drive She Said più rocciosi, mentre A Little Bit Of Rock And Roll, come dice il titolo è solo puro e cristallino R’nR. La parte più nostalgica e di matrice Pomp è invece ben esplorata in Swan Song 7 minuti e 40 secondi di pennellate di gusto raffinato e sonorità eteree dove la classe di questi vecchi leoni viene fuori in tutta la sua maestosità, ma anche Frozen Ground e Wanna Hear You Say con i suoi echi vagamente Boston sono chicche di levatura superiore.

Insomma non ci sono filler in questo disco ed ogni canzone ha la sua piena dignità nella sua perfetta miscela fra sonorità eighties ed arrangiamenti all’ avanguardia che servono in maniera magistrale ad attualizzare l’ opera ai giorni nostri.

Sintonizzate la macchina del tempo sul 1983, premete play e gustatevi quello che a mio giudizio è un serissimo candidato a diventare disco dell’anno.

© 2021, Samuele Mannini. All rights reserved.

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