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Recensione

92/100

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Ronnie Atkins – One Shot – Recensione

16 Marzo 2021 10 Commenti Vittorio Mortara

genere: Hard Rock/Aor
anno: 2021
etichetta: Frontiers

Tracklist:

01 Real
02 Scor Pio
03 One Shot
04 Subjugated
05 Frequency Of Love
06 Before The Rise Of An Empire
07 Miles Away
08 Picture Yourself
09 I Prophesitze
10 One By One
11 When Dreams Are Not Enough

Formazione:

Ronnie Atkins – voce
Chris Laney – chitarra ritmica, tastiere e cori
Allan Sørensen – batteria
Morten Sandager – tastiere
Pontus Egberg – basso
Anders Ringman – chitarra acustica
Pontus Norgren, Kee Marcello, Oliver Hartmann, John Berg, Chris Laney – chitarra solista
Chris Laney, Linnea Vikström Egg, Olliver Hartmann, Björn Strid – cori

 

Ed eccolo, finalmente, questo disco solista del cantante dei Pretty Maids! Non vi nascondo che l’attesa per ascoltare quest’album ha fatto crescere notevolmente le mie aspettative.
La prima canzone del gruppo madre la sentii nel lontano 1987. Si trattava di “Love games”, singolo sornione e radiofonico tratto dall’album “Future world”. La cosa che mi colpì maggiormente di quel pezzo fu l’uso poliedrico della voce, melodica ed ammiccante nella strofa, aggressiva, molto metal, nel pre chorus, di nuovo piaciona nel refrain. Sembrava addirittura che a cantare le varie sezioni non fosse la stessa persona. Gradii molto il genere, in quanto mi trovavo nella fase transitoria fra il power degli Helloween e la mia nuova scoperta, l’hard rock melodico e l’AOR. Così cominciai ad acquistare tutti i dischi successivi della band. Tutti album di buon valore assoluto con alcuni picchi di eccellenza. Così come ottimi sono i due LP realizzati dal cantante in collaborazione con Erik Martensson degli Eclipse sotto il moniker Nordic Union.
Poi, a fine 2019, la notizia, divulgata dallo stesso Ronnie, della sua malattia: un tumore al polmone con metastasi a distanza. Una diagnosi che avrebbe messo KO chiunque. E invece il nostro non si è dato per vinto. Ha affrontato operazioni e terapie senza perdersi (quasi) mai d’animo e, per di più, con l’aiuto del compagno d’armi Chris Laney, in piena pandemia, ha deciso di mettere giù un lavoro da solista! Non c’è che dire, un vero vichingo dei nostri tempi. Chi vi scrive proprio non riesce a non farsi coinvolgere dalle vicende personali dei propri beniamini, tanto più se riguardano una malattia che conosce molto bene e della quale sa perfettamente quali siano le conseguenze fisiche e, soprattutto, psicologiche. Dunque le aspettative delle quali parlavo all’inizio sono aumentate ancora. Soprattutto ero ansioso di scoprire se “One shot” sarebbe stato un disco intimista, riflessivo e pervaso dalla malinconia oppure se la reazione “musicale” del frontman sarebbe stata pari a quella clinica e quindi ne sarebbe venuto fuori qualcosa di granitico, al limite del power metal.
Ebbene, il genere proposto su quest’album lo definirei come una solida base di hard rock sulla quale viene innestata la vena melodica tipica dell’ AOR nordeuropeo. I pezzi sono tutti belli. Composti in modo pressoché perfetto. I ritornelli sono catchy al punto giusto. I musicisti coinvolti nel progetto dimostrano di conoscere alla perfezione il loro mestiere. La produzione, affidata al fedele Chris Laney, non presta il fianco alla benché minima critica. E poi c’è lui: l’indistruttibile Ronnie. La sua inconfondibile voce non sembra quasi risentire delle molte primavere e, incredibilmente, nemmeno della debilitazione dovuta alla malattia. Quella parte selvaggia e animalesca del suo modo di cantare è sempre lì, più viva che mai. E questo finisce con il dare a tutto il disco quel suono aggressivo e melodico al tempo stesso. Caratteristica che fece la fortuna di gruppi come i Dokken ed i Ratt a che fu al tempo catalogata come class metal. Insomma, immaginate i Nordic Union senza l’invadenza di Martensson e la relativa “eclipsizzazione” ed avrete un’idea di quanto proposto.
In un disco come questo è quasi superfluo fare una disamina ad uno ad uno dei brani… ad ogni modo il disco si apre con “Real”, pezzo dalla scintillante partitura e dal refrain da urlare a squarciagola, tanto per cominciare con il piede giusto! “Scorpio” è invece il brano che richiama maggiormente lo stile dei Pretty maids, con il suo incedere granitico di chiaro stampo mitteleuropeo. Intro di piano, crescendo emozionale e refrain anthemico caratterizzano il primo singolo estratto “One shot”, senz’altro una delle canzoni di maggior pregio dell’intero platter. Nell’americaneggiante “Subjugated” la sezione ritmica la fa da padrona, mentre l’intera linea melodica risente chiaramente dall’acquisita parentela con gli svedesi Eclipse. L’arpeggio acustico e la voce vagamente filtrata della prima strofa di “Frequency of love” potrebbero far pensare a qualcosa di ispirazione modernista, ma ci si ricrede subito quando partono bridge e chorus, classicamente AOR nordeuropeo. Il sound dell’immenso “Back for the attack” dei Dokken emerge prepotente in “Before the rise of an empire”, dove le chitarre contendono il primato alla prestazione vocale di Ronnie. Unica concessione al romanticismo è la semi ballad “Miles away” dalla struttura rigorosamente ottantiana, strofa-bridge-coro-assolo, usata e strausata ma sempre di grande effetto, specie se sapientemente condotta da un personaggio come il nostro. “Picture yourself” è super classica: strofa cantata magistralmente sopra un bell’arpeggio e un bel refrain, lungo ed accattivante, nella miglior tradizione del nostro genere. Ancora parti arpeggiate alternate a granitici riffs costellano “I prophesize”, nella quale la melodia vocale è dotata di una grande enfasi sul refrain dove l’animale Atkins dimostra ancora una volta di non essere domo. Profumo di class metal si può apprezzare anche in “One by one”, costruita su schemi ottantiani ed impreziosita da riffing di gran classe contornato da tastiere mai invadenti. Ed è già ora di chiudere con “Dreams are not enough”, un altro brano legato a doppio maglio alla tradizione Pretty Maids degli anni 90, piacevole in ogni singola nota.

“One shot” è uno dei dischi meglio composti, adeguatamente suonati ed elegantemente prodotti che mi sia capitato di ascoltare negli ultimi 2 o 3 anni. Mi riesce praticamente impossibile muovergli una critica. Piacerà senz’altro a tutti: noi vecchietti che abbiamo vissuto l’epoca d’oro e i (pochi) giovincelli che si sono avvicinati al genere solo negli ultimi lustri, grazie all’ attività encomiabile di qualche etichetta specializzata. Però io un piccolo appunto mi sento di muoverlo: questo è un album fin troppo impeccabile. Nonostante le dichiarazioni di Ronnie, non vedo così evidenti nel songwriting le tracce dello sconvolgimento interiore che una malattia come la sua inesorabilmente lascia nell’animo umano. Insomma, mi pare che il nostro sia stato fin troppo professionale da questo punto di vista, riuscendo a lasciarsi condizionare solo marginalmente dai propri sentimenti e cercando di confezionare l’album perfetto per i suoi fans più che per se stesso. Per capire cosa intendo, se volete, provate a sentire “Garden of remembrance” del gigante scozzese Fish. Lì si che traspare in tutta la sua potenza la sofferenza di chi l’ha composta per le cose brutte che la vita gli ha messo davanti.
A parte questa considerazione personale e, di conseguenza, marginale, invito tutti all’ascolto di questo disco, perché sono convinto che difficilmente sarà eguagliato o superato da nessun’altra uscita quest’anno. Grande Ronnie! 100 di questi album!

© 2021, Vittorio Mortara. All rights reserved.

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