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Recensione

90/100

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Black Paisley – Rambler – recensione

08 Marzo 2021 6 Commenti Stefano Gottardi

genere: Classic Rock
anno: 2020
etichetta: Autoproduzione

Tracklist:

1. Damned
2. Without Us
3. Higher Love
4. Save The Best
5. Timeless Child
6. Take Me To The River
7. Falling
8. Give It Up

Formazione:

Stefan Blomqvist - Voce, Chitarra
Franco Santunione - Chitarra
Jan Emanuelsson - Basso
Robert Karaszi - Batteria

Contatti:

https://www.blackpaisley.se
https://www.facebook.com/blackpaisleys

 

I Black Paisley nascono nel 2014 da un’idea del cantante Stefan Blomqvist, ed inizialmente sono una cover band conosciuta come StephMetal. Nel giro di un anno diventano Black Paisley (nome ispirato dalla Fender signature di Richie Sambora) e cominciano a comporre materiale originale. Lo stile è un moderno mix di classic rock, hard rock melodico e country rock. Nel 2017 esce il primo full-length Late Boomer, un titolo che con grande autoironia rimarca l’età non proprio verdissima dei componenti del gruppo. Prodotto da Mats Lindfors (Scorpions, H.E.A.T, Talisman, John Norum, Candlemass), il platter ottiene grande consenso fra gli appassionati che riconoscono al combo svedese una certa personalità. In seguito alla prematura scomparsa di Lindfors, per il successivo Perennials del 2018 cambiano il team di produzione ed il batterista con Mikael Kerslow, che dopo aver suonato su un paio di canzoni del debut entra in pianta stabile in formazione al posto di Robert Karaszi. Le novità non intaccano in alcun modo la qualità, è il titolo del disco questa volta sottolinea la volontà della band di non essere soltanto una meteora nell’affollato panorama musicale contemporaneo. Sempre autoprodotto, l’album riceve un’altra buona dose di consensi. Ritrovato Karaszi dietro ai tamburi, ai membri originali Stefan Blomqvist e Jan Emanuelsson nel 2020 si unisce il chitarrista degli Electric Boys, Franco Santunione, e assieme danno vita a Rambler. Il bell’artowrk di copertina riprende l’idea degli altri CD (teschi e fiori) e sin dall’opener “Damned” a non cambiare è il sound, che abbraccia ancora una volta territori classici, melodici e dal retrogusto blueseggiante, né la qualità generale, che resta altissima. Una caratteristica dei precedenti lavori era quella di essere estremamente coesi sul piano sonoro e di un livello sempre sopra alla media. Gli otto brani che compongono questo disco non sono da meno, certo sono forse pochi ma di contro non c’è l’ombra di un riempitivo: otto canzoni, otto centri! “Without Us”, scelto come primo singolo e video, è il biglietto da visita perfetto, il pezzo che una volta ascoltato difficilmente non fa venire voglia di sentire il resto dell’album. Nonostante i richiami a qualche artista storico come Whitesnake (“Higher Love”), Cheap Trick (“Save The Best”) e Gary Moore (“Falling”), la produzione ha un occhio di riguardo verso la contemporaneità, riuscendo a bilanciare passato e presente in modo sensato: pur con un’impronta del songwriting decisamente retrò, non si ha mai l’impressione di ascoltare un disco troppo datato. Insomma, c’è anche tanta, tantissima classe, in questi 31 minuti di musica, a dimostrazione che a volte le cose che possono sembrare le più semplici sono il frutto di un lavoro appassionato e altamente competente.

IN CONCLUSIONE

Un disco che infila nel calderone un po’ più di energia ed immediatezza rispetto al passato, facendo se possibile un ulteriore passo in avanti rispetto al pur ottimo predecessore. Di certo una delle migliori uscite dell’anno scorso, a cui è mancato forse soltanto il supporto promozionale di una buona casa discografica.

Prima di chiudere, un doveroso cenno alla confezione: il prodotto si presenta in formato jewel case, con booklet di 16 pagine ricco di foto e completo di tutti i testi, CD silver pressed, ed è anche disponibile in una splendida versione digipack 19×19, limitata e numerata.

© 2021, Stefano Gottardi. All rights reserved.

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