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Recensione

85/100

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H.E.A.T. – II – recensione

09 Marzo 2020 35 Commenti Paolo Paganini

genere: Melodic Hard Rock
anno: 2020
etichetta: earMusic

Tracklist:


1. Rock Your Body
2. Dangerous Ground
3. Come Clean
4. Victory
5. We Are Gods
6. Adrenaline
7. One By One
8. Nothing To Say
9. Heaven Must Have Won An Angel
10. Under The Gun
11. Rise

Formazione:

Erik Grönwall – (Voce)
Dave Dalone – (Chitarra)
Jimmy Jay – (Basso)
Jona Tee – (Tastiere)
Don Crash – (Batteria)

 

Uno dei dischi più attesi del 2020 era senza dubbio questo secondo omonimo del gruppo svedese. Il primo interamente prodotto dalla band (Jona Tee & Dave Dalone) aveva un compito ben preciso secondo quanto dichiarato dai ragazzi: riportare il suono alle origini proponendo una specie di nuovo esordio. La loro penultima uscita “Into The Great Unknown” aveva infatti spaccato a metà i fan risultando per molti un po’ troppo “pop”. Gli H.E.A.T. hanno subito recepito il messaggio riconducendo la nave sulla giusta rotta. Ok quindi tutto risolto direte voi? Quasi direi io.

In effetti questo “II” segna una netta inversione di tendenza sia a livello di intenti che compositivo che di produzione ma ascoltando bene l’intero lavoro qualche dubbio rimane. Si parte subito in quarta con la scintillante “Rock Your Body” dal trascinante coro anni ottanta a metà fra Europe e Def Leppard. La voce di Erik è perfetta per questo genere di song a cui si adatta magnificamente facendoci per certi versi dimenticare il buon vecchio Kenny Lecremo. La seguente “Dangerous Ground” spinge ancora di più sul gas confermando che il recente passato è ormai alle spalle e con la successiva “Come Clean” abbiamo la certezza che non tornerà mai più. Proprio questo è forse il brano migliore del lotto. Una rock song d’altri tempi perfettamente bilanciata tra suoni robusti, produzione scintillante, e un ritornello da urlare a squarcia gola. Con la successiva “Victory” però si inizia ad avvertire qualche scricchiolio. Di stampo crucco soprattutto nell’impostazione si comincia ad avere la sensazione di già sentito… poche tracce prima. “We Are Gods” tenta di proporre qualcosa di leggermente diverso ma l’effetto è praticamente lo stesso e il ritornello risulta davvero troppo banale. Ok andiamo avanti. Le cose migliorano decisamente grazie alla veloce “Adrenaline” ed alla successiva “One By One” che ripropone il meglio del classico sound della band di Stoccolma mentre il primo e ultimo momento di calma ci viene offerto dall’efficace ballad “Nothing To Say” che pur non risultando tra le migliori della loro carriera ha almeno il merito di spezzare la monoliticià che fin qui aveva dominato incontrastata. “Heaven Must Have Won An Angel” riporta la band nella propria confort zone nella quale si muove disinvolta e sicura tanto da essere diventata negli ultimi anni un riferimento per il nuovo movimento hard rock scandinavo. “Under The Gun” non riserva particolari soprese così come la seguente “Rise” usata come singolo di lancio già a novembre e che ben raffigura quelle che sarebbero state le coordinate dell’intero album

IN CONCLUSIONE

Il disco non lo si po’ negare è davvero buono e non possiamo non dare merito agli H.E.A.T. di non aver mantenuto fede alle promesse fatte alla vigilia. Tutti i brani si mantengono su livelli molto buoni, splendidamente prodotti e con suoni puliti e robusti come raramente capita di ascoltare. Solamente si sente la mancanza di quei due o tre pezzi memorabili che avrebbero fatto la vera differenza.

© 2020, Paolo Paganini. All rights reserved.

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