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Recensione

64/100

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Jesse Damon – Damon’s Rage – recensione

31 Gennaio 2020 1 Commento Alberto Rozza

genere: Melodic Rock
anno: 2020
etichetta: AOR Heaven

Tracklist:

1. Play To Win
2. Love Gone Wild
3. Shadows Of Love
4. Damon's Rage
5. Electric Magic
6. Love Is The Answer
7. Tell Me Lili
8. Here Comes Trouble
9. Lonely Tonight
10. Flying Dutchman
11. Adrenaline
12. Wildest Dreams

Formazione:

Jesse Damon – Lead and Backing Vocals / Lead & Rhythm Guitars
Paul Sabu – Bass / Backing Vocals / Keyboards / Drums – Programming

 

Per il 2020 in uscita il nuovo lavoro di Jesse Demon, chitarrista simbolo dei Silent Rage (band lanciata a fine anni ’80 da Gene Simmons), che propone un ottimo rock melodico, dall’ascolto interessante e dalla resa parzialmente riuscita.

Partenza affidata a “Play To Win”, aggressiva e incalzante, che rompe il ghiaccio in modo degno ed efficace, ottima nelle parti vocali e ritmiche. “Love’s Gone Wild” è tutto sommato un brano carino e convincente, non del tutto originale, ma godibile nella sua globalità. “Shadows Of Love” non ha un grandissimo impatto, forse per la scelta dei suoni, forse per una mancanza intrinseca di novità che la pervade. Le trame musicali sono confortevoli e classiche, rifacendosi a un periodo ben preciso, come nel caso della title track “Damon’s Rage”, che presenta una parte solista intricata e piacevolissima. Alla quarta traccia si capisce che la qualità della registrazione non è all’altezza della qualità della musica proposta: è il caso della suadente “Electric Magic”, che soddisfa comunque per la sua inconsueta dolcezza. Con “Love Is The Answer” si continua sulla falsa riga della precedente, anche se il livello e la resa del brano risultano essere leggermente superiori, soprattutto nella linea vocale. “Tell Me Lili” è globalmente un po’ banale, dando in molti momenti l’impressione poco piacevole del già sentito: peccato. Si prosegue con “Here Comes The Trouble”, più tirata e corposa, più ispirata e tecnicamente più convincente. Quadrata e desertica, “Lonely Tonight” richiama le lande desolate degli Stati Uniti, senza però evocare pienamente i paesaggi e le vibrazioni che questa tipologia musicale dovrebbero esprimere. “Flying Dutchman” rialza la testa, ma non riesco comunque a uscire da quell’alone di poca originalità che pervade tutto questo album, fatto che coinvolge pesantemente anche la successiva “Adrenaline”, anch’essa “colpevole” dello stesso reato. Si giunge così all’ariosa e dilatata “Wildest Dream”, misteriosa e oscura, una buona conclusione per un lavoro ispirato ma reso in modo forse approssimativo, a tratti ripetitivo e banale, che non resta molto nella memoria dell’ascoltatore.

© 2020, Alberto Rozza. All rights reserved.

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