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Recensione

88/100

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Degreed – Lost Generation – recensione

10 Gennaio 2020 10 Commenti Paolo Paganini

genere: Melodic Rock / Modern Rock
anno: 2019
etichetta: Gain/Sony Music

Tracklist:

1. Intro
2. Lost Generation
3. You All Know My Name
4. Ruins
5. Interlude
6. Summer Of Love
7. Blue Virgins Isles
8. Sex
9. Body Of Work
10. Born Under a Bad Sign
11. Don't Let Go
12. Alive

Formazione:

Robin Ericsson – (Voce/Basso)
Mats Ericsson – (Batteria)
Micke Jansson – (Tastiere)
Daniel Johansson – (Chitarre/Cori)

 

Ci sono dischi che necessitano di parecchi ascolti prima di poter essere giudicati perché magari non arrivano subito o perché le canzoni non hanno un impatto immediato. Non è certo il caso del nuovo lavoro dei Degreed, band svedese attiva dal 2005 cresciuta all’ombra di gruppi molto più osannati quali H.E.A.T., WET, Work Of Art e compagnia cantante. Tutto ciò ha sicuramente tolto loro la visibilità che meritavano in quanto questi quattro ragazzi hanno tutte le potenzialità per fare altrettanto bene se non addirittura meglio. Il nuovo cd in particolare risulta estremamente ben riuscito, forse il migliore della loro discografia. Se dovessi sintetizzarlo in tre parole potrei definirlo robusto, diretto e sincero. La formula usata, pressoché invariata dall’inizio della loro carriera, si basa su riffoni potenti, quasi metal che grazie a ritornelli di grande apertura melodica sfociano in una sorta di arena rock dei giorni nostri. L’abbondante uso di tastiere conferisce al tutto una freschezza ed una leggerezza che rende particolarmente piacevole ascoltare e riascoltare l’intero disco anche per lungo tempo senza annoiare. Brani come la title track, “You All Know My Name” e “Body Of Work” ne sono un chiaro esempio; potenti e veloci brani tipicamente hardrockeggianti a cui si contrappongono refrain da cantre a squarciagola. A farci capire che i ragazzi non sono solo questo ci pensano la pacata “Riuns”, la super ballad “Blue Virgins Isles” e “Burn Under A Bad Sign”, primo singolo estratto dalle sonorità tipiche dei Toto anni ‘90. Stiamo già parlando di tanta roba e se a questo aggiungete la chicca della solare “Summer Of Love” dal tiro irresistibile che tanto profuma di party rock, l’eterea “Don’t Let Go” (AOR allo stato puro) ed il crescendo finale della splendida “Alive” avrete tra le mani un album senza punti deboli.

IN CONCLUSIONE

Se l’immediatezza è certo un punto a favore del combo di Stoccolma per molti potrebbe risultate un difetto, in quanto potremmo catalogare ogni loro nuova uscita come usa e getta facendo l’errore di dimenticarci troppo presto di loro confinandoli per l’ennesima volata al ruolo di comprimari. Un peccato a mio avviso da non commettere.

© 2020, Paolo Paganini. All rights reserved.

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