LOGIN UTENTE

Ricordami

Registrati a MelodicRock.it

Registrati gratuitamente a Melodicrock.it! Potrai commentare le news e le recensioni, metterti in contatto con gli altri utenti del sito e sfruttare tutte le potenzialità della tua area personale.

effettua il Login con il tuo utente e password oppure registrati al sito di Melodic Rock Italia!

Recensione

70/100

Video

Pubblicità

American Tears – Hard Core – Recensione

04 Febbraio 2019 1 Commento Luca Driol

genere: Progressive Rock
anno: 2018
etichetta: Escape Music

Tracklist:

01. Hard Core
02. Carnivore
03. Lost In Time
04. Fyre
05. Smoke And Mirrors
06. The Ferryman
07. Nuclear
08. Tear Gas
09. Lord Of Light
10. Deplorable
11. Bottoms Up
12. At Last

Formazione:

Mark Mangold – voce, tastiere, basso, batteria
Jake E - cori in "Fyre"

 

Il prolifico Mark Mangold, tastierista, cantante, compositore e artefice di innumerevoli progetti musicali (dai Touch agli Drive, She Said, passando per i meno noti Valhalla, The Sign, Mystic Healer e The Radiant) e collaborazioni importanti (Michael Bolton, Cher e Aldo Nova), riesuma un moniker ormai dimenticato, quello degli American Tears. La band, inizialmente un trio, pubblicò tre album tra il 1974 e il 1977: il primo, “Branded Bad”, caratterizzato da un sound gutarless pregno di rock, rhythm & blues e progressive, sostenuto principalmente dalle tastiere di Mangold, mentre nei due lavori successivi, la band, che ad eccezione del leader continuerà a cambiare organico, adotterà uno stile leggermente più hard, soprattutto nel terzo “Powerhouse”, album che vedrà la formazione allargarsi a quartetto con l’ingresso di un chitarrista.

Dopo le fortune di Mangold con Touch e Drive, She Said, nel 1999 la Frontiers pensò bene di ristampare i primi tre album in cd, operazione, purtroppo, passata piuttosto inosservata.
Fatta questa premessa, il nuovo lavoro prosegue con coerenza un discorso musicale lasciato interrotto per quarant’anni, seppur lasciando uno spazio ancora maggiore per le tastiere, qui protagoniste assolute. Questa volta Mangold decide di fare tutto da solo, trasformando la sua creatura in una one-man band con risultati rimarchevoli, citando band quali Asia (come nell’opener), Deep Purple, Quatermass, ma anche U2 (si ascolti “Lords Of Light” per credere), regalandoci un’ottima prova vocale, tramite un timbro che ne fa una sorta di ibrido tra Ian Gillan e David Lee Roth e notevoli virtuosismi tastieristici, sfoderando un armamentario sonoro ad ampio spettro.

Nell’album sono presenti anche due brani strumentali: “Nuclear”, dal sound decisamente più moderno e l’inutile episodio new age di “Bottoms Up”.
Un album particolare e non per tutti, se vogliamo anacronistico, ma di sicuro non banale, da parte di un artista che di andare in pensione non ne proprio nessuna voglia.

© 2019, Luca Driol. All rights reserved.

Print Friendly, PDF & Email

Ultime Recensioni

Devi essere registrato e loggato sul sito per poter leggere o commentare gli Articoli

1
0
Would love your thoughts, please comment.x