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Recensione

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Last In Line – Heavy Crown – Recensione

08 Marzo 2016 20 Commenti Nico D'andrea

genere: Hard Rock
anno: 2016
etichetta: Frontiers Music

Tracklist:

01. Devil In me*
02. Martyr
03. Starmaker*
04. Burn This House Down
05. I Am Revolution
06. Blame It On Me
07. Already Dead
08. Curse The Day
09. Orange Glow
10. Heavy Crown
11. The Sickness*

* migliori pezzi

Formazione:

Andrew Freeman - Voce
Vivian Campbell - Chitarre
Jimmy Bain - Basso
Vinny Appice - Batteria

 

“Non si giudica un libro dalla copertina”…
Un noto e quanto mai saggio aforismo che raramente trova riscontro in opere, nelle quali il background artistico di chi le compone è l’elemento di maggior richiamo.

Questo invece è quanto è accaduto con i Last In Line, vista la superficialità dei molti che hanno frettolosamente liquidato il super gruppo americano come effimera cover band di Dio.

Impossibile non ricordare che 3/5 del nucleo embrionale di questa formazione (sveleremo più avanti il misterioso taglio del tastierista Claude Schnell, prima dell’ingresso in studio) hanno partecipato alla creazione di due capolavori assoluti nella storia del Rock duro:
Holy DiverThe Last In Line, titolo dal quale il combo basato a Los Angeles ha coniato il proprio monicker.
E come dimenticare la militanza di Vinnie Appice e del compianto Jimmy Bain (fatalmente scomparso a poco giorni dalla realease del disco) nelle storiche formazioni di Black Sabbath e Rainbow ?

L’apparenza si appresta però a fare un brutto scherzo anche a coloro che si aspettavano un glorioso revival, fondato sui più solidi canoni dell’Hard Rock classico.
Eppure le maestose cadenze del primo singolo ed opening-track dell’album, Devil In Me sembravano proprio guidarci in quella direzione.
Una direzione tracciata con vigore anche dalla forza locomotrice della seconda preview del disco a nome Martyr.

È nella comunque eccellente e rallentata Starmaker che troviamo le prime tracce di pericolose scorie Alternative Rock.
I trascorsi di Andrew Freeman come touring member (anche se nel ruolo di chitarrista aggiunto) negli Offspring diventano più di un indizio, nella scheggia (spuntata) semi-punk di I Am Revolution.
Con l’insipido gusto post grunge di Blame It On Me il cerchio ahimè si chiude.

Eppure Heavy Crown ci riconsegna da subito, le classiche progressioni soliste di un Vivian Campell in grande spolvero e porta alla luce il fino ad oggi misconosciuto talento vocale proprio di Andrew Freeman.
Una particolare nota di merito anche al potente e cristallino mix del veterano Jeff Pilson.

Difficile tornare alla realtà sulle note lisergiche di Curse The Day ed Orange Glow .
I due pezzi partono bene ma già immagino i più incauti di voi , ciondolare pericolosamente nella stanza in preda ai fumi di qualche acido.
Heavy Crown (la title track) potrebbe essere un buon pezzo per il nuovo disco degli Alter Bridge, anche se privo della possente struttura di Watt costruita da Mark Tremonti e soci.
Non trovo credibili i Rival Sons che fanno i Doors, cosi come i Lynch Mob (ultimo ottimo album escluso) dalle venature Alternative.

Insomma…ad ognuno il suo. Questione di DNA.
Lo stesso dei Last In Line che qui appare, in più di un frangente, geneticamente modificato.
Sorge il sospetto che proprio a questa mutazione sia dovuto il sacrificio del buon Schnell e dei suoi preziosi tasti d’avorio.
Certo non volevo le copie di Egypt o The Last In Line, ma da chi ha scritto la storia mi sarei aspettato qualcosa di diverso e come me credo i molti che si avvicineranno a questo discutibile lavoro.

CONCLUSIONE

Un paio di potenziali classici e qualche buon pezzo dall’appeal modernista non sono sufficienti a promuovere un album per il quale era lecito porsi delle aspettative.
In dubbio tra il comodo 6 di stima ed un voto di coerenza, scelgo il secondo con buona pace (forse) di noi tutti.

© 2016 – 2018, Nico D’andrea. All rights reserved.

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