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Recensione

80/100

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Age Sten Nilsen’s Ammunition – Shanghaied – recensione

14 Gennaio 2015 17 Commenti Luka Shakeme

genere: Melodic Rock
anno: 2015
etichetta: Slager/Slagerfabrikken/Universal Music

Tracklist:

01. Silverback
02. Give Me A Sign
03. Shanghaied
04. Tie Me Down
05.Road To Babylon
06. Take Out The Enemies
07. Hit Me (With Your Bombs)
08. Do You Like It
09. Wild Car
10. Another Piece Of Me
11. Heart’s Not In It
12. Strung Out

Formazione:

Age Sten Nilsen – Voce
Erik Martensson – Chitarra
Jon Pettersen – Chitarra
Lasse Finbrathen - Tastiere
Hal Patino – Basso
Robban Back - Batteria

 

Il progetto Annunition della grande ugola norvegese Age Sten Nilsen riserva qualità sia nel songwriting che nella perizia tecnica dei musicisti coinvolti (che provengono da band quali Eclipse, King Diamond, Pretty Maids) malgrado come vedremo nel consueto “track by track” ci sia a tratti un netto accostamento a band più blasonate. A parte questa breve parentesi “Shanghaied” si preannuncia come una delle migliori uscite del 2015 che riserverà delusioni e mezzi passi falsi ma anche piccole gemme delle quali ci si potrebbe fare un pensierino all’acquisto. Direi dunque di iniziare a parlarne.

Silverback è rocciosa quanto epica nei suoi chorus avvolgenti e di facile presa ma non ruffiani, decisamente presente dunque il taglio Hard ‘n Heavy, una bellissima apertura che mi lascia ben sperare sull’intero platter ben supportata da una produzione calda ma “bombastica” al tempo stesso.
Sulla falsa riga del pezzo in apertura “Give Me A Sign” conferma la granitica ugola del singer norvegese che sa essere decisamente versatile come in apertura; vellutata per poi mostrare il meglio lanciandosi in una prestazione vocale di alta classe. Il pezzo in se direi che si lascia ascoltare, nulla di eclatante ma ripeto, godibilissimo.
La Title Track Shanghaied verte su un aor in questo caso più ruffiano e il cantato che fa il verso all’Eric Martin più ispirato dona l’alone radiofonico e mainstream degno dei più quotati act che li ha resi indiscussi capi scuola del genere.
Tie Me Down ricomincia il discorso temporaneamente archiviato cesellando melodie abrasive con soluzioni chitarristiche taglienti molto vicine al rock stradaiolo e americano. Altro episodio direi riuscitissimo considerando un genere che aimè lascia davvero poco alla freschezza compositiva.
Arriviamo alla prima ballad con “Road To Babylon” grande magniloquenza ed emotività trapelano dalle intense tessiture vocali magistralmente disegnate dal singer norvegese che dimostra di ritrovarsi a suo agio in tutti gli ambiti proposti.
Take Out The Enemies è un’altra scheggia Hard Rock di ottima fattura, scorre via senza fronzoli, nessun virtuosismo ma le solite massicce dosi di melodie e chitarre roventi. La tecnica non manca ai singoli musicisti coinvolti in questo progetto ma oggettivamente viene messa in secondo piano a discapito di un songwriting decisamente fruibile fin dal primo ascolto.
Hit Me (With Your Bombs) malgrado inizialmente possa avermi portato a pensare si trattasse di un pezzo monolitico e cupo, le aperture vocali nel ritornello invece lo indirizzano verso territori decisamente più morbidi nonostante le partiture di batteria decidano di “innervosire” a tutti i costi il canovaccio armonico delineato . Si sta profilando un disco di gran spessore sperando che non si perda nelle battute finali.
Do You Like It ha il taglio ruffiano e catchy e qui la vena più sleazy salta fuori. Tre minuti scarsi in cui ci si ritroverà a canticchiare il ritornello già dal secondo ascolto. Arrangiamenti sempre asciutti ma in questo caso davvero minimali lasciando spazio alla forma canzone preponderante su tutti i pezzi.
Wild Car strizza l’occhio all’ultimo Bon Jovi, quello di “Because We Can” per capirci. Il pezzo in questione potrei etichettarlo come la potenziale vera Hit radiofonica e nonostante ci sia quest’aura “bonjoviana” che aleggia indisturbata, episodi di questo tipo contribuiscono notevolmente a far respirare un lavoro che rischierebbe di risultare monocorde e noioso.
Another Piece Of Me invece risente ancora una volta di richiami stradaioli complici le solite chitarre “miagolanti” Gibsoniane che sono un elemento imprescindibile per far si che il pezzo possa davvero decollare e fare fuoco e fiamme. Siamo praticamente in dirittura d’arrivo e già pregusto la polemica che si scatenerà come di consuetudine su questo portale.
La seconda ballad è un magistrale quanto emotivo Hard Blues. Heart’s Not In It sembra essere uscita dalla penna di Steven Tyler con Nilsen che regala una prestazione da brividi. Ugole di questo spessore meriterebbero palcoscenici e riconoscimenti diversi ma tutti sanno come funziona il cinico quanto poco meritocratico mondo discografico.
Questa breve parentesi mi porta all’ultimo capitolo di questo meraviglioso lavoro e direi che Strung Out non potrebbe essere chiusura migliore. Rock-arena alla Kiss con i grandi chorus che hanno reso un marchio di fabbrica la band dei mitici quattro.

IN CONCLUSIONE

In Conclusione non posso che consigliare l’acquisto di questo bel dischetto e su cui probabilmente ci saranno anche critiche visto la netta somiglianza come accennato in apertura di alcuni pezzi alle band ispiratrici o presunte tali. Su questo ho voluto chiudere gli occhi perché se dovessi fare una considerazione più cinica e nessuno me ne voglia, ma molte volte ci sarebbe da chiudere tutto e andare a casa; valutiamo dunque la fruibilità dei pezzi, le belle armonie e un’ugola di classe cristallina e lasciamoci travolgere da un progetto onesto che non chiede riconoscimenti planetari.

© 2015 – 2016, Luka Shakeme. All rights reserved.

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