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Recensione

69/100

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David Readman – Medusa – Recensione

30 Novembre 2022 1 Commento Giorgio Barbieri

genere: Hard’n’heavy
anno: 2022
etichetta: Self released

Tracklist:

01 – Madame Medusa
02 – The fallen
03 – Generation dead
04 – Black
05 – Shelter from the storm
06 – Change the world
07 – Mary Jane
08 – Children of thunder
09 – Summer wine
10 – King who lost his throne

Formazione:

David Readman – Vocals
Bram Engelen – Guitars
Michael Kolar - Drums

Ospiti:

Jessica Conte – Vocals on “Madame Medusa”
Simone Mularoni, Lakis Ragazas – Guitars
Zibby Krebs – Guitar on “Madame Medusa”
Roland Grapow – Lead Guitar on “Turned to black”
Alex Jansen – Bass
Roxana Herrera – Bass on “Madame Medusa”
Randy Van Der Elsen – Bass on “Generation dead”
Eric Ragno – Keyboards
Julien Spreutels – Keyboards on “Madame Medusa”
Andy Nijmeijer – Keyboards on “Generation dead”
Bodo Schopf – Drums on “Shelter from the storm”

Contatti:

https://davidreadman.com/
https://www.facebook.com/davidreadmanband

 

Come sempre a fine anno cerchiamo di recuperare qualche disco che ci era (per vari motivi) sfuggito nel periodo della release ed oggi tocca a Medusa di David Readman.

Devo dire che mi ero accostato alla recensione di questo album con le migliori intenzioni, cercando di mettere da parte tutte le mie idee sui dischi fatti solo con ospiti, senza una band vera e propria, forte del fatto che il buon David mi è sempre piaciuto nelle sue interpretazioni vocali, sia nei Pink Cream 69, sia nei Voodoo Circle e in effetti lui non tradisce, fa davvero la voce grossa, usando un proverbio a proprio favore, ma dopo due/tre pezzi, l’interesse ha cominciato a scemare man mano.

La partenza di “Madame Medusa” è col botto, up tempo hard’n’heavy con la partecipazione della brava Jessica Conte che aiuta e sostiene David soprattutto nel magniloquente ed epico ritornello, ma già dalla successiva “The Fallen”, fatta eccezione per l’energico inizio, si fa strada la sensazione di già sentito e se non fosse per la prova vocale di David, si potrebbe già sfiorare il tasto skip, divertente il testo old style di “Generation Dead” che sa di Skid Row e che fa da supporto ad un brano dal coro di facile presa, ma ingenuo, gli spunti davvero interessanti cominciano a farsi sempre più radi. Il groove di “Turned to Black” finisce per essere sovrastato da un break ed un ritornello alquanto scontati, da qui in poi, per riuscire a trovare un vero e proprio sussulto, bisogna andare in fondo con “King who lost his throne”, un pezzo epico e d’atmosfera che mi ha ricordato più volte certe cose del compianto folletto del metal, Ronnie James Dio. Intendiamoci, formalmente le canzoni non sono brutte, “Summer wine” sa di Uriah Heep, “Children of thunder” è un classico hard’n’heavy, “Mary Jane” ha sentori blues, ma alla fine quello che resta è poco e sa tanto di compitino svolto bene, ma senza mordente.

Detto questo, l’ennesima pletora di ospiti, che non sto qui a citare altrimenti facciamo l’anno prossimo, non aiuta all’identità di un disco che vorrebbe essere molto di più, ma non ci riesce e a dire la verità, se non ci fosse la grande interpretazione di David, probabilmente “Medusa” non attirerebbe nemmeno l’attenzione di un imbrattafogli come me, da un pezzo all’altro, si sente la differenza di identità e se, da una parte, si può pensare che questo contribuisca ad una maggiore versatilità della proposta, dall’altro è palese che rende il tutto poco personale, non mi sento comunque di bocciare il secondo vagito solista di David, tra l’altro giunto dopo ben quindici anni dal precedente e solo grazie al crowdfunding, ma neanche di tramandarlo ai posteri, lasciandolo così nel limbo dei tanti album discreti, anche se ultimamente ce ne sono ahimè davvero troppi.

© 2022, Giorgio Barbieri. All rights reserved.

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