LOGIN UTENTE

Ricordami

Registrati a MelodicRock.it

Registrati gratuitamente a Melodicrock.it! Potrai commentare le news e le recensioni, metterti in contatto con gli altri utenti del sito e sfruttare tutte le potenzialità della tua area personale.

effettua il Login con il tuo utente e password oppure registrati al sito di Melodic Rock Italia!

Recensione

95/100

Video

Pubblicità

Heartland – Into the Future – Recensione

08 Novembre 2021 24 Commenti Vittorio Mortara

genere: Hard Rock
anno: 2021
etichetta: Escape

Tracklist:

1. A Foreign Land
2. Caught Up
3. A Living Thing
4. Giving It All Away
5. A Dangerous Game
6. Climbing Your Wall
7. Mouth To Mouth
8. Not Guilty
9. Bolt From The Blue
10. White Lies
11. Working For The Man
12. When The Band Plays

Formazione:

Chris Ousey: Voce
Mike Slamer: Chitarra, Tastiere
Barish Kepic : Chitarra
Wayne Banks: Basso
David Anthony: Batteria
Ged Rylands: Tastiere

 

Non vi nascondo che aspettavo questo album con apprensione. Gli Heartland sono stati, per me, una band di riferimento. Uno di quei pochi gruppi che hanno cominciato nell’epoca aurea, non si sono arresi nel ‘medioevo’, garantendo uscite puntuali e sempre di alto livello, e poi sono spariti dalle scene dopo l’album “Mind your head” del 2007. Un vuoto di 14 anni in cui il leader Chris Ousey ha continuato a comporre e cantare buona musica, da solo o con i vari Ozone, Distance e Snakecharmer. Però, vuoi per la rottura con il suo alter ego, il talentuoso chitarrista Steve Morris, vuoi per i budget sempre più limitati per le produzioni, la qualità generale di quelle uscite non ha mai neppure avvicinato quanto ascoltato nella terra del cuore. Ragion per cui, quando qualche mese fa la Escape ha annunciato questo disco, il mio, di cuore, ha avuto il classico sussulto. Cercando info qua e la, ho scoperto che Chris ha messo su una formazione nuova di zecca, prendendo al suo fianco il dotato chitarrista Mike Slamer (Streets, Steelhouse Lane, Seveth Key…) che lo ha coadiuvato anche nella stesura dei pezzi e nel mixaggio e produzione del platter. Il nome di Slamer mi ha fatto presagire due cose: un certo indurimento del sound, vista anche la presenza di due chitarristi di ruolo, ed una produzione di livello assoluto, cosa che, un po’, è sempre mancata nei vecchi dischi. E i presagi si sono avverati entrambi! Questo è un album Heartland al 100%! La voce di Chris è tale e quale a 20 anni fa. Timbro particolare, quasi abbaiato, e riconoscibile ad occhi chiusi. Il sound è fortemente british, profondamente radicato nella tradizione musicale di quella terra, mai sguaiato o tamarro. I pezzi sono confezionati alla perfezione, nei minimi particolari. E per tale motivo vanno ascoltati con attenzione. Possibilmente in formati audio di qualità, perché qui c’è tanta roba che è un vero peccato comprimere con algoritmi lossy. Se fino a questo punto a leggere vi siete fatti l’idea che questo sia un progetto a due, Ousey/Slamer, devo contraddirvi. Tutto il resto della band è assolutamente all’altezza: sezione ritmica inappuntabile e tastiere presenti ma mai invadenti. La formula a due asce è assolutamente vincente: il wall of sound che ne deriva è veramente grandioso! Il suono un po’ scarno della chitarra di Morris è stato sostituito da qualcosa di più “grosso” e gratificante per i padiglioni auricolari ed il sistema limbico di chi ascolta.

Andiamo con le canzoni. Apre il già noto singolo “Foreign land”, brano articolato di puro hard rock senza tempo, non facile sulle prime, ma ricco di pathos e passaggi mai scontati. “Caught up” è un pezzo 100% Heartland, ma con queste chitarre e questa chiarezza di suoni pare assai più hard di qualsiasi cosa ascoltata in passato. E Ousey ci mette del suo urlandoci in faccia l’antemico refrain prima dello stacchetto centrale rarefatto. Ingentilita dalle tastiere, “Living thing” è la massima concessione alle melodie easy dell’intero disco. Un bel semi lento che prende immediatamente al cuore. Sentite che meraviglia i ricami puliti o distorti delle due chitarre. Ed apprezzate la voce di Chris dominare in lungo e in largo l’intera composizione. Ancora un etereo giro di piano introduce “Giving it alla way”, ma subito viene doppiato dalla chitarrona di Slamer e di qui si snoda una canzone melodica e ricca di spunti, come il cambio di tempo che precede il bell’assolo di chitarra o il finale sfumato affidato ancora al piano. “Dangerous game” è un brano di hard pomposo nel quale l’intera band può esibire la propria tecnica individuale. Ma non crediate sia un pezzo ostico o fine a se stesso: la melodia è assolutamente piacevole pur non risultando affatto banale. Gronda Heartland-sound la seguente “Climbing your wall” rimbalzando fra melodie orecchiabili e ghirigori delle chitarre senza soluzione di continuità. Un po’ più canonico il mid tempo “Mouth to mouth”, brano di british rock semplice ma suonato con la consueta maestria. Il livello risale immediatamente grazie all’incedere maestoso di “Not guilty”, un crescendo che sfocia in uno splendido e potente chorus. Ritmi speed caratterizzano “Bolt from the blue” tanto che all’altezza dell’assolo pare un pezzo metal. “White lies” è decisamente il mio estratto preferito. Mi piace quella ritmica funkeggiante, adoro quel coretto sbarazzino e amo qell’assolo breve e tagliente. L’hard rock albionico ci viene somministrato ancora in massicce dosi sulla squadrata “Working for the man” quando un simil hammond vecchio stile accompagna i riff delle due chitarre. A chiudere degnamente l’album ci pensa, infine, “When the band plays”, così vicina al passato del gruppo da poter benissimo essere una outtake di “Miracles by design” o di “As it comes”.

Allora questo è il miglior disco degli Heartland dal 1990 ad oggi? Forse… Dove invece non ci sono dubbi è sul fatto che sia quello meglio prodotto e meglio suonato in assoluto. Steve Morris è un bel chitarrista, è innegabile. Ma il valore del suo strumento, a mio giudizio, è stato sempre un po’ penalizzato dai mix e dalle registrazioni. Così come la qualità complessiva dei suoni. L’avvento di Slamer ha corretto completamente questa pecca. Adesso tutto scaturisce dalle casse con le giuste proporzioni. Si sentono i particolari. Si apprezzano le sfumature. Il sound si è fatto decisamente più metallico. Invariata, invece, la qualità delle composizioni, sempre di valore assoluto. E senza dover cercare idee o ispirazioni da nessun altro! Chi vi scrive non è il più imparziale dei recensori e nemmeno si è mai vantato di esserlo, per cui mi sento libero di affermare che per me questo è uno dei dischi più belli che si siano ascoltati in questo 2021. Coinvolgenti gli Eclipse, innovativi i Reach e i Seventh Crystal, sorprendenti Chez Kane ed i Nestor. Ma quando la tua classe arriva dagli anni 70, quando le tue radici affondano nei Deep Purple e nella Bad Company, quando i tuoi trascorsi si chiamano Virginia Wolf e Streets, il risultato è qualcosa che non può che sbaragliare in un colpo solo tutta la concorrenza.

Io la mia copia autografata me la sono comprata. Fate altrettanto e non ve ne pentirete!

© 2021, Vittorio Mortara. All rights reserved.

Print Friendly, PDF & Email

Ultime Recensioni

Devi essere registrato e loggato sul sito per poter leggere o commentare gli Articoli

24
0
Would love your thoughts, please comment.x