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Recensione

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Temple Balls – Pyromide – Recensione

08 Aprile 2021 6 Commenti Vittorio Mortara

genere: Hard Rock
anno: 2021
etichetta: Frontiers

Tracklist:

01. Thunder From The North
02. Long Ways, Long Lies
03. T.O.T.C.
04. Fallen Youth
05. Bad Bad Bad
06. What Is Dead Never Dies
07. Unholy Night
08. Heart Of A Warrior
09. You Better Run
10. If Only I Could
11. Something To Die For

Formazione:

Arde Teronen – Voce
Jimi Välikangas – Basso
Jiri Paavonaho – Chitarre
Niko Vuorela – Chitarre
Antti Hissa – Batteria

 

Immaginate la sfera emotiva di una persona, in un determinato momento, come un puzzle incompleto, con alcuni tasselli mancanti. I dischi che quella persona ascolta in quel periodo sono tesserine. Alcune non si incastrano, quindi vengono scartate. Altre combaciano alla perfezione, risultando il pezzo che egli ha bisogno per completare il suo disegno. Per me “Pyronide” è stato proprio questo: il tassello che mi serviva per completare il mio puzzle in questa strana primavera!
Questo terzo album dei Temple Balls è una sprangata sui denti! Una sferzata sulla schiena! Un tornado che travolge tutto nel giro di nemmeno un’ora! I cinque impavidi finlandesi hanno messo in atto un’evoluzione esponenziale! Partendo dallo street del primo album, hanno man mano applicato strati su strati di scintillante vernice metallizzata sul soro sound, affinando allo stesso tempo il songwriting già a partire dal precedente “Untamed”, per approdare ad uno stile tutto grinta, suoni essenziali (ma curati) e cori anthemici da urlare a squarciagola ai loro concerti. Nelle composizioni si possono chiaramente individuare le tracce dell’hard rock quintessenziale di Twisted Sister e Motorhead, l’immediatezza ed i riff affilati di Ratt e Dokken, l’attitudine catchy di Firehouse e primi Hardline ed anche un filo di metal mitteleuropeo tra Accept, Axxis ed i maestri Scorpions. Il tutto miscelato molto accuratamente e prodotto dall’onnipresente Jona Tee degli H.E.A.T. che ci ha caricato su un po’ di suoni dell’hard contemporaneo, rendendo il tutto estremamente fresco ed attuale.
L’opener “Thunder from the north” è uno dei migliori incipit degli ultimi anni. Riff scarno, batteria incalzante, cantato aggressivo ed un coro che ti esplode in faccia senza lasciarti scampo. E’ subito chiaro che i Temple Balls non fanno prigionieri! E “Long ways, long lies” lo ribadisce, grazie ad un improbabile mix di Axxis ed Eclipse (quelli buoni), che ha il suo culmine nel bel refrain. Le radici street riaffiorano in “T.O.T.C.”, una sorta di Skid Row vitaminizzati, ma con un ritornello degno dei migliori anthem dei Manowar! Un po’ meno immediata “Fallen youth”, decisamente accostabile al repertorio class metal americano, con il lavoro delle due chitarre in primissimo piano. E tocca a “Bad bad bad”, forse la canzone più originale del disco, grazie al suo ritmo ska che la fa vagamente assomigliare ad una versione metallizzata degli Offspring! Talmente azzeccata che la vedrei bene come prossimo singolo! “What is dead never dies” invece è un up-tempo di stampo teutonico con un’ombra di tastiere a contribuire nella creazione della giusta atmosfera prima della deflagrazione del ritornello e del pregevole assolo di chitarra. Magari sbaglio, ma su “Unholy night” io sento parecchia puzza di Iron Maiden e Judas priest, NWOBHM insomma, anche se rivista in chiave più diretta. Mi sa che i nostri hanno studiato! Una puntatina in territori più epici viene fatta con “Heart of a warrior”. D’altronde con un titolo simile… Ma anche qui, non si può affermare che sia un pezzo alla Ten: piuttosto la versione “Temple Balls” dell’AOR epicheggiante, molto più “in your face”. E poi Hughes non potrebbe mai cantare bridge e chorus con l’irruenza del buon Teronen! Struttura molto semplice per l’ennesimo adrenalinico anthem rock di “You better run”, conciso ed efficace, e dall’inestinguibile refrain! “If only I could” è il primo lento vero e proprio dei nostri. Comincia con un delicato tappeto pianistico sul quale la voce di Arde si spinge su tonalità più suadenti, non proprio nelle sue corde, riuscendo però ad ovviare con una buona interpretazione. Ne viene fuori una ballad maschia e drammatica, che si snoda in un bel crescendo corale con il contributo di tutta la band. Pezzo molto molto bello! E siamo già alla fine: “Something to die for” chiude degnamente l’album, essendo ancora una volta un mix di tutte le influenze citate all’inizio e contando sull’aggressività della linea vocale che si stampa in testa irrimediabilmente.
Che questo disco mi sia piaciuto penso sia già abbastanza chiaro. Spenderò quindi due parole sulla band: si tratta a tutti gli effetti di… una band! Qui nessuno cerca di emergere sugli altri. Teronen non è un campione di estensione né di modulazione, però finchè riuscirà a cantare con la ferocia dimostrata qui, sarà senz’altro perfetto! La coppia di chitarristi, Jiri Paavonaho e Niko Vuorela, si dimostrano riffeurs dotati e piazzano assoli assolutamente centrati in tutte le canzoni, senza mai cercare di strafare. Il basso di Jimi Välikangas e la batteria di Antti Hissa non si allontanano mai dai clasici 4/4 ma per il genere proposto non ce n’è affatto bisogno: l’importante è picchiare come fabbri!

Per finire, la qualità sonora è al livello delle migliori uscite dei grossi nomi (H.E.A.T., Eclipse, Atkins…) ma non vi aspettate dinamiche da paura o immagini stereofoniche olografiche: qui c’è solo bisogno di un bel sound compatto ed esplosivo, e quello c’è tutto.
Allora, io la mia tesserina mancante l’ho trovata. Probabilmente non sarà così per tutti, è ovvio, ma l’ascolto di questo “Pyromide” lo consiglio vivamente. Una bella botta di adrenalina facile facile non fa mai male. E aggiungo anche che spero proprio di poterli vedere dal vivo, perché la struttura dei pezzi e l’attitudine dei personaggi promette sfracelli! Buon ascolto!

© 2021, Vittorio Mortara. All rights reserved.

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