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Recensione

85/100

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Dennis De Young – 26 East Vol.1 – recensione

02 Ottobre 2020 5 Commenti Vittorio Mortara

genere: AOR / Pop Rock / Pomp Rock
anno: 2020
etichetta: Frontiers Music Srl

Tracklist:

01. East Of Midnight
02. With All Due Respect
03. A Kingdom Ablaze
04. You My Love
05. Run For The Roses
06. Damn That Dream
07. Unbroken
08. The Promise Of This Land
09. To The Good Old Days
10. A.D. 2020

Formazione:

Chitarre – Jimmy Leahey
Backing Vocals – Kevin Chalfant
Basso, Voce – Craig Carter
Coro – Chicago Children's Choir
Batteria – Ed Breckenfeld (tracks: 7), Matthew DeYoung (tracks: 9), Mike Morales (3)
Chitarra – Mike Aquino
Chitarra, Voce – August Zadra
Chitarra, basso, tastier, voce – Jim Peterik
Tastiere – John Blasucci
Voce, tastiere – Dennis DeYoung
Vocals – Julian Lennon (tracks: 9)

 

Nato a Chicago il 18 febbbraio del 1947, Dennis De Young, cantante, tastierista e compositore, è stato uno dei membri fondatori degli Styx nei primissimi anni settanta. In ben 50 anni di carriera ha pubblicato, con la band madre e da solista, almeno una trentina di album. Negli anni 80 ha partecipato alle colonne sonore di diversi film e nel 1996 ha composto una propria versione del musical “Il gobbo di Notre Dame”. Insomma, senza dilungarci troppo, il nostro ha un curriculum che definire di tutto rispetto è dire poco.
26 East vol.1 è il primo di una coppia di album composti da Dennis come il proprio canto del cigno, avendo deciso, dopo il tour commemorativo con gli Styx, di pubblicare un ultimo lavoro solista per celebrare tutto l’excursus della sua carriera. Lavoro che, poi, si è sdoppiato in due volumi perché il numero dei pezzi composti si è rivelato abbondante e di ottima qualità. E questo non può che renderci felici, perché, ve lo anticipo subito, questo è proprio un bel disco!
Che musica dovremmo aspettarci a questo punto da un personaggio come De Young?

Il pomp rock dalla vena sinfonica al quale ci hanno abituato gli Styx oppure il rock radiofonico un po’ alla Chicago che invece troviamo spesso e volentieri nei suoi dischi solisti?
Ci saranno tracce del rock teatrale e drammatico, passione di De Young verso la metà degli anni 90?
O ancora, la collaborazione in diversi brani con Jim Peterik potrebbe aver portato a una sterzata più hard alla Survivor/Pride of lions?
Ebbene, la risposta che, a pensarci bene, è la più logica, è proprio quella corretta: 26 East vol.1 è il giusto mix di tutto quello che il suo autore è stato durante la sua lunghissima carriera. Spunti pomp si alternano o si fondono a volte con tratti hard, a volte con rock sinfonico, formando un mix veramente piacevole ed azzeccato.
La musica contenuta nell’album scivola via, traccia dopo traccia, lasciando una gradevole sensazione di soddisfazione. E’ una musica senza tempo che si sottrae a qualsiasi moda e definizione. Musicisti sempre all’altezza e composizioni mai stucchevoli. Melodie che ti si ficcano nel cervello e che ti ritrovi a canticchiare al secondo ascolto. Qui ce n’è abbastanza da bagnare il naso all’80% delle bands di giovani vichinghi che oggi sovraffollano il panorama della nostra musica preferita.
L’opener “East of midnight” riporta subito alla mente la magniloquenza pomposa degli Styx più classici: synth in primo piano, voce pulita ed evocativa e l’assolo di chitarra doppiato da quello di tastiere. La successiva “With all due respect” è un bel pezzo di hard rock americano, di quello senza fronzoli, che ricorda tanto i Damn Yankees, guarda caso di un altro ex Styx, Tommy Shaw. Una cantilena infantile introduce “A kingdom ablaze”, voce filtrata nella strofa, accompagnata dalle tastiere, esplode in un ritornello pomposo ma catchy, seguto addirittura da un coro in latino a dare al tutto un tocco epico. “You my love” sembra uscita dritta dritta dal jukebox di Arnold’s colpito dal pugno di Fonzie per poter ballare con la belloccia di turno: un tuffo a capofitto negli anni 60! Un romantico giro di piano e una linea melodica sognante danno inizio a “Run for the roses”, la canzone più AOR del disco, molto vicina a certe cose dei Ten, e non solo per assonanza del titolo. Sfido chiunque a non cantare il ritornello la seconda volta che la ascolta! Su “Damn the dream” fanno capolino forti echi dei Survivor e dei Foreigner di “4” grazie alla sapiente mano di Jim Peterik. Sulla successiva “Unbroken” si respira un’aria più moderna, sapientemente condita in salsa Styx, con una melodia perfettamente in equilibrio fra passato e presente. “The promise of this land” invece sembra tratta da un musical di Broadway, curatissima negli arrangiamenti, con la voce di De Young sempre sugli scudi. Nella seguente “To the good old days” Dennis duetta con Julian Lennon in un tributo a papà John che suona più Beatles degli stessi fabulous four ed è quasi inevitabile lasciarsi commuovere. E intanto siamo già all’atto finale: una breve outro con i saluti del nostro eroe che ci svela l’essenza di cosa voglia dire ascoltare musica.
Accidenti, che bello questo disco! Chi scrive deve confessarvi di non essere mai stato un fan degli Styx, per cui si è apprestato all’ascolto di questo album senza avere aspettative esagerate. Dunque la sorpresa di trovarsi a volerlo subito riascoltare daccapo dopo il primo ascolto è stata ancora più grande. Questa musica non è pomp. Non è AOR, Non è hard. Non è pop. E’ bella e basta! Correte ad ascoltarla!

© 2020, Vittorio Mortara. All rights reserved.

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