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08 Settembre 2012 4 Commenti Iacopo Mezzano
genere: Aor
anno: 1998
etichetta:
ristampe:
Una delle fortune di essere recensore musicale è certamente la possibilità di svegliarsi il mattino, mettere su un disco della propria band preferita, scriverne decantandone le lodi, e avere poi la certezza quasi matematica che qualcuno leggerà le tue smisurate effusioni. Saranno poi elogi o stroncature, applausi o fischi, botte o carezze, ma ad ogni modo avrai calmato la tua sete di dire e ridire del tuo artista del cuore, sentendoti così straordinariamente appagato. E ora io lo sono, molto.
Sì, avevo proprio bisogno di continuare a parlarvi di Darren Wharton e dei suoi Dare, che diversi mesi fa avevamo lasciato hard rockers stile americano con il loro disco Blood From Stone del 1991 (se volete ridare una letta alla mia recensione, cliccate qui). Bene, dal 1992 al 1998 i Dare.. puf, spariscono! Si smaterializzano letteralmente e di loro non si sa più niente di niente. Che cosa può essere successo di tanto grave da disintegrare questa formazione? In realtà poco, o meglio, abbastanza poco. Vinny Burns, si dice insoddisfatto dalle vendite proprio dell’ultimo album, aveva salutato la formazione prestandosi ai Ten, Brian Cox (quasi mi viene da ridere) aveva lasciato la musica per diventare un fisico di assouto rilievo mondiale, e Darren solo soletto finì così a dare una mano all’amico Scott Gorham nella stesura del suo album con i 21 Guns, per poi unirsi a lui e ai suoi ex compagni nella tanto famigerata reunion celebrativa dei Thin Lizzy, che da li in poi farà da (noioso) spartiacque per la carriera di questa melodic rock band inglese.. Poi tac, è un attimo. Darren si stufa, lascia i Thin Lizzy e in quattro e quattr’otto nel 1998 mette su una nuova formazione dei Dare, con Andrew Moore e Richard Dews alle chitarre (il secondo non ancora in modo ufficiale). Trova una nuova label, la MTM Music, e pochi mesi dopo Calm Before the Storm è nei negozi..
“Con quest’album credo facemmo un gigantesco passo verso la realizzazione del suono autentico dei Dare. Fu il primo album che produssi e la mia prima collaborazione con Mario (Lehmann) e la MTM Music in Germania. Credo che il disco catturò al meglio l’atmosfera che cercavo. Rimane uno dei miei preferiti.” Difficile dare torto a Darren in queste affermazioni. Calm Before the Storm fu a tutti gli affetti un nuovo esordio per la band. I sound precedenti furono totalmente accantonati, e persino brani già scritti i precedenza con Burns e inseriti nella tracklist di questo disco (come la magnifica Walk On The Water) furono quasi totalmente rivisti in una chiave molto più leggera e sfumata. Nella mente di Wharton c’era ormai un nuovo disegno per quello che era diventato a tutti gli effetti il suo progetto, un piano straordinariamente originale e innovativo che avrebbe portato da qui in avanti la band ad avere un suo stile personale e riconoscilissimo che, di successo o meno, l’avrebbe comunque consegnata alla storia.
Ecco quindi motivata la scelta di sfondare ogni barriera e canone, portando il rock melodico a a farsi avvolgere da nuove vesti, lunghe, bianche, eleganti. Vedete la figura femminile in copertina? Lei è il rock melodico dei Dare. Attorno ora tutto si muove, i paesaggi cambiano e si evolvono. Il cielo rappresenta le influenze progressive (e aggiungerei quasi pinkfloydiane) che si aggiungono a questa musica, ruotando attorno ad essa in un misterioso insieme, spaventoso ma bellissimo come un cielo che si prepara alla tempesta (dark skyes, dangerous and beautiful dirà più avanti in un suo brano Darren..). Il sole, che si appresta ad essere cancellato dalle nubi, è il legame con il passato che se ne va, e il lago in cui bagna i suoi piedi non è altro che la sintesi più pura e tangibile di quelle straordinarie atmosfere che rafforzeranno l’insieme sonoro della band, e che definirei quasi ambient per come riescono a far respirare all’ascoltatore l’aria di paesaggi incontaminati, di verdi colline e di cieli straordinariamente sereni e lucenti, talvolta anche in tempesta. E attenti! Non è un caso che la seducente figura tocchi le acque, è questo infatti l’unico modo che ha per divenire in tutto per tutto parte del straordinario sistema che muove intorno a lei e che ora per capillarità risalirà il suo corpo nudo facendola per sempre sua. Non esiste il ritorno ora. Lei cammina sulle acque e si avvincina a noi, ci seduce e ci circonda, e se accettiamo il suo caldo bacio, il tocco delle sue labbra sulle nostre, per sempre a lei apparterremo. Il suo ricordo e la sua musica non lasceranno mai più i nostri cuori, è questa la magia della nuova musica dei Dare! Dal momento che entrerà nelle vostre orecchie non sarete più in grado di farne a meno, come se fosse una donna bellissima, sensuale e dal portamento elegante, che sotto la sua unica bianca veste nasconde il vostro desiderio d’amore più puro.
Non mi stancherò mai di dire come questo Calm Before the Storm riesca ad essere a tutti gli effetti il primo di una serie di quadri in musica, di ipnotici dipinti di note che il genio di Darren Wharton ha voluto dare a noi. Le singole battute diventano ora frasi di poesia, assumono un valore che mai prima d’ora avevano avuto e si sublimano alla natura e alla sua potenza. La calma prima della tempesta è quell’ultimo tacito momento di quiete che accompagna il vortice delle interperie, l’istante di apparente tranquillità che precede le ostilità celesti, e quello che sarà dopo (e che parimenti verrà al termine dell’ascolto del disco) saranno solo pioggia e lacrime, un turbine emotivo di una violenza disarmante, una calamità di sensazioni, un tornado di sentimenti.
Una tela che ottiene la sua prima pennellata con il brano Walk On The Water, il cui incipit di chitarre e voci echeggianti al cielo anticipa lo splendido ingresso vocale di Darren Whorton, dal cantato ora straordinariamente dolce, sussurrato e carismatico. La chitarra acustica di Dews accompagna con assoluta maestria le melodie, mentre Moore è libero di spaziare nell’insieme con parti e assoli elettrici di un intensità artistica unica e rara. Some Day rimane più lineare dell’opener, ma il suo ritornello urlato al cielo (I’ll meet you there in a land somewhere.. waiting) giunge a Dio ed è per tutti, e commuove e sorprende come l’ultimo grido di smisurato amore e speranza del Figlio al Padre prima dell’ultimo affannato respiro. La title track Calm Before the Storm ridipinge in musica la cover dell’album, con passaggi e accelerazioni-rallentamenti di puro soft progressive. L’intera band è sugli scudi, Darren sfoggia qui forse la sua migliore prestazione vocale di sempre, mentre la chitarra di Moore muove il cielo e addensa le sue nubi che, dopo un’ultimo istante di silenzio (splendidamente rappresentato dalla band), gettano pioggia e vento sul volto di tutti noi, lasciando il ritmo del brano ad evolversi fino a quando il sole riuscirà a farsi spazio tra i nembi, riportando la normalità tra echi di chitarre. E’ poi il turno di Rescue Me, un brano dal testo romantico e nostalgico, denso di passati ricordi e commosse sensazioni. Nuovamente più nei canoni e con un ritmo abbastanza sostenuto, il pezzo pogggia su una prestazione chitarristica da lode eccelsa e sulla profondità infinita dei suoi arrangiamenti. Silence Of Your Head apre invece con note di tastiera ed è un brano piuttosto cupo che cerca di rappresentare i dolori di spirito di un’anima perduta, disinnamorata e sola, chiusa nei silenzi della sua mente. Nonostante la vena triste che lo accompagna, il pezzo troverà la sua catarsi nell’urlo a non cedere e pieno di speranza (when you can’t carry on and the feeling is gone.. there’s so much more!) che chiude il bel refrain e che anticipa l’accellerata parte strumentale del brano, forte di un altro piacevolissimo assolo. Poi in Rising Sun l’amore e la sua dirompente forza sull’animo vengono invece descritti positivamente, facendoci provare sulla pelle il magnifico sentimento del perdono e del ritorno del sentimento dopo un addio. Dominata da un’atmosfera calda e soffusa, chiusi i nostri occhi la traccia riesce a guidarci in un intenso panorama mattutino dall’intenso rossore, una sensazione inebriante e avvolgente. Arrangiamenti che rimangono parte preponderante anche in Ashes, che esordisce lieve e leggera come la nebbia del mattino per poi poggiarci piano sulle ali del vento, mentre la bellissima Crown of Thorns torna a mostrare i Dare aggressivi e maschi, con un ritmo ben più sostenuto degli altri episodi (forse questo è l’unico e ultimo momento riconducibile al vecchio stile della formazione inglese) e con sensazioni totalmente opposte a quelle ben più arrese di Ashes. Siamo ormai in chiusura ed eccoci ad un’altra hit assoluta del repertorio Dare, ovvero Deliverance, componimento di un originalità unica, intenso ma allo stesso tempo ancora soffuso ed etereo, sotto certi versi progressivo ma anche ritmato e rock. Il testo magico accompagna splendidamente le musiche, squarciando gli orizzonti dinanzi ai nostri occhi in visioni mozzafiato che ci accarezzano, poi feriscono e rimarginano in continuazione. Conclude l’opera la bella cover di Still In Love With You, omaggio al genio dei Thin Lizzy, che qui assume caratteri sotto certi versi diametralmente opposti rispetto all’originale. Infatti, mentre la versione di Lynott cercava di essere una sorta di ultimo tentativo di riconquista dell’amata, qui Wharton da maggiore sfogo alle sensazioni nostalgiche e pare più arreso, quasi che ora la speranza fosse svanita. Un interessante modo di interpretare un capolavoro!
IN CONCLUSIONE
Se si pensa a dischi unici ed innovativi nell’ambito del rock melodico, difficilmente si ci può dimenticare di Calm Before the Storm, un’album che è stato capace di ridisegnare totalmente il genere, arricchendolo di mille altre influenze musicali e sensazioni. Una raccolta di 10 brani indimenticabili da tramandare alle generazioni, in un sogno ad occhi aperti da cui è impossibile svegliarsi. Da ascoltare, riascoltare, ascoltare e riascoltare ancora senza mai potersi annoiare e, anzi!, scoprendone sempre nuove sfumature. Un viaggio sulle ali del vento lungo le calme rive dei laghi, tra albe e tramonti mozzafiato, attraversando dense nebbie per sfiorare poi la fresca e umida erba di verdi colline, subendo le tempeste per poi riscaldarci al caldo sole di cieli sereni e raggianti. Un inno alla potenza della natura chiuso in un disco, una musica perfetta per tornare in pace con se stessi e con questo caotico mondo che ci circonda. Un lavoro calmo, tranquillo e rilassato che ci cura dentro, ma allo stesso tempo così forte e denso da farci reagire e capire tante cose di noi stessi e delle nostre vite. E come diceva qualcuno: il naufragar m’è dolce in questo mare..
23 Gennaio 2012 13 Commenti Iacopo Mezzano
genere: Hard Rock
anno: 1991
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Nonostante il successo dell’esordio Out of the Silence, il secondo album dei Dare, intitolato Blood From Stone e pubblicato nel 1991 sempre dalla A&M Records, rivelò ad ampi tratti un suono completamente opposto a quello del suo predecessore.
Ad ammissione dello stesso Darren Wharton, i motivi di questa scelta erano dovuti all’esplosione in quei primi anni ’90 di realtà musicali dal sound marcatamente rock, quali in particolare i Guns N’ Roses. Quindi, nel tentativo di non finire la loro carriera dopo un solo album come storicamente era accaduto a molti gruppi, i Dare cercarono di adattarsi al mercato, avvicinando maggiormente il loro stile alle sonorità made in USA che andavano per la maggiore e che sia la critica che la loro stessa etichetta discografica gli richiedevano.
Il risultato fu un album dannatamente grezzo e dal tipico mixaggio in stile stelle e strisce, dove i suoni non erano più cromati e nitidi, ma densi di chitarre calde, graffianti e assolutamente maschie. Di conseguenza, la stragrande maggioranza dei brani contenuti in Blood From Stone vide Vinny Burns, qui ispirato come non mai, quasi monopolizzare il prodotto finale con il suo strumento, attraverso riff serrati, rapidi, massicci e assoli fulminei quanto tecnici. E così lo stesso Wharton modificò sensibilmente il suo cantato, rendendolo molto più rauco e graffiato che in precedenza e abbandonando quasi interamente le parti spesso quasi sussurrate dell’esordio, gettandosi in strofe e ritornelli che davano la comunque sempre piacevole sensazione di essere urlati con rabbia al cielo.
Un tracklist molto serrata lasciò spazio a due soli lenti, ovvero il quinto brano Lies, vero e proprio sfogo verso l’amore perduto, e l’ultimo Real Love, un brillante inno alla grandezza del sentimento più cantato del rock. Le restanti otto tracce furono una dopo l’altra delle rasoiate di energia, a partire dalla splendida opener Wings of Fire, che in qualche modo ricordò lo stile dei Thin Lizzy, per proseguire con We Don’t Need A Reason, dirompente quanto un rapido di passaggio a 140 km/h in una stazione locale e dal cantato violento ma a metà tra il primo Bon Jovi e Bryan Adams, e per finire nominando ancora le atomiche Live To Fight Another Day e Cry Wolf , la cui finta calma iniziale di quest’ultima divampa in alcuni dei riff più belli dell’intero lotto.
IN CONCLUSIONE
Blood From Stone fu un disco anni luce diverso rispetto a quanto i fans dei Dare potessero aspettarsi dopo un esordio levigato come Out of the Silence. Sicuramente fu un prodotto che deluse (e forse allontanò) tutti coloro che non erano pratici delle marcate sonorità hard rock. Certamente fallì nei suoi intenti di sfondare il mercato discografico, tanto che fu a larghi tratti ignorato dai più e non riconosciuto apertamente dai critici. Ma Blood From Stone è tutt’oggi un album quasi unico per spirito di aggressività rock. Dotato di brillanti sfoggi di tecnica musicale, è un prodotto che forse non si apprezzerà al primo ascolto, che talvolta lascerà dubbi o incertezze, che non nominerete forse mai come il miglior disco dei Dare, ma che certamente resterà un tassello massimo di questo genere anche per gli anni a venire. Siano benetti i Dare, sempre.
29 Novembre 2011 4 Commenti Iacopo Mezzano
genere: Aor
anno: 2001
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I Golden Farm furono un progetto musicale spagnolo attivo nel 2001 con il piacevolissimo album d’esordio Angel’s Tears, pubblicato con una etichetta indipendente della loro terra, la Avispa Music. Un lavoro che fu una lucente meteora per la storia rock melodica spagnola e che ahimè non ebbe seguito a causa del decesso del chitarrista, mente e fondatore Loren, avvenuta poco tempo dopo l’uscita del disco (almeno così mi risulta, ma la informazioni in rete sono così poche che spero di essere smentito).
Ad ogni modo, Angel’s Tears è un album davvero piacevole, caratterizzato da una buona produzione ma soprattutto da un ottimo songwriting, semplice ma sempre molto intimo e ispirato, fatto di parti strumentali leggere ma forti di un ottimo conubio tra chitarra e tastiera e rivolte ad accompagnare la bella vocalità del singer Toni Menguiano, che non a caso dopo lo scioglimento del gruppo avrà modo di mostrare ancora il suo talento in altre più o meno famose realtà musicali. La prestazione della formazione tutta è molto buona e la composizione delle tracce articolata e dotata di ritornelli riusciti e di coralità. La marcia in più è però sicuamente data dall’elevato carico di emozioni che il prodotto trasmette, tanto che Lacrime d’Angelo si rivela essere un titolo davvero rivelatore per quello che è il prodotto finale, ovvero un disco angelico, elegante, intimo e profondo, dal feeling che si percepisce con brividi veri su tutta la pelle.
Tra i brani più rock, spiccano la vivace opener I Can’t Tell You, che mette in mostra l’energia del quintetto al pari del terzo componimento Fire and Ice, carico di riff di chitarra caldi e maschi, ma soprattutto Why These Years, che combina al massimo la grinta, anche corale, del gruppo con la sua dolcezza melodica. Infatti, sono certamente le mid-tempo e le ballate a dominare questo disco, partendo dalla dolcissima Time After Time e tipico brano da dedicare alla vostra amata, per citare la malinconica I Want to Know e arrivare alla finale When The Morning Sun, vero valore aggiunto dell’album e brano dotato di arrangiamenti eccezionali e di una prestazione della formazione tutta da capogiro.
IN CONCLUSIONE
Angel’s Tears è un album dimenticato tutto da riscoprire, un lavoro di alto livello che per i miei gusti deve essere citato tra le migliori uscite dal 2000 ad oggi. Certamente non è un capolavoro assoluto del genere, ma resta un ascolto piacevolissimo specie per chi apprezza i lenti e i brani dal sound dolce e leggero. Ma non mancano anche le canzoni più tirate! Dategli una possibilità, non ve ne pentirete.
26 Novembre 2011 6 Commenti Iacopo Mezzano
genere: Aor
anno: 1988
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I Dare sono un progetto musicale fondato nel 1984 dalle menti del cantante e tastierista Darren Wharton, un ragazzoccio nord irlandese ex componente degli storici Thin Lizzy (e grande amico del loro leader Phil Lynott, che gli fece in tutti i sensi da maestro), e dal chitarrista Vinny Burns, poi membro dei Ten.
Out of the Silence è il primo capitolo della storia di questa (a tratti dimenticata) band, pubblicato dalla A&M Records nel 1988 e grande tassello di una carriera che per me, fanatico ammiratore delle gesta di Wharton, sarà via a via gloriosa in ogni sua parte ed evoluzione.
Un lavoro incredibilmente maturo e preciso per essere un esordio. L’impressione è infatti proprio quella di trovarsi di fronte a una realtà musicale navigata, che a livello di sound ha trovato la quadratura del suo cerchio in arrangiamenti avvolgenti e in una produzione (curata da Mike Shipley e Larry Klein) che rasenta la perfezione, e nel songwriting in melodie oscillanti tra una freschezza sonora dirompente (merito di tastiere e chitarre in primissimo piano) e un calore di feeling e sentimenti unico, senza dimenticare la vena poetica generale che ha nei testi (impegnati, profondi, mai banali) il suo apice.
In più, Out of the Silence è un lavoro che sa non ripetersi, evolvendosi brano dopo brano. Prima di tutto troverete al suo interno composizioni di puro rock melodico classico quali Abandon, Into the Fire, Runaway e Heartbreaker, forti di tastiere genuine e portanti che hanno pochi eguali nella storia di questo genere, di una chitarra vivace e tecnica, specie sugli ottimi e variegati assoli, che fa da grande sostegno alle melodie, e di una vocalità calda ed energica di Mr. Wharton, cantante non di certo tecnicissimo ma unico nella trasmissione di emozioni.
Troverete poi tre classiche rock ballad, la preziosa Nothing is Stronger than Love, la nostalgica Return the Heart e la gloriosa King of Spades, quest’ultima commovente e sentita dedica al maestro Phil Lynott.
E infine, con i brani Under the Sun, The Raindance e Can’t Let Go, avrete ai vostri orecchi le prime proposizioni di quell’atmosfera unica e avvolgente che sarà poi il marchio di fabbrica della seconda parte di carriera della band. L’effetto surround, la sensazione di immergersi nelle parole, nei battiti, nelle pulsazioni della canzone si rivelerà per voi un esperienza totale, quasi mistica. Da provare.
IN CONCLUSIONE
Non è un caso se la maggior parte degli ascoltatori di rock melodico citano questo disco tra le migliori uscite in assoluto del genere. E non voglio neppure nascondere che per i miei gusti personali questo album è il numero 1. Out of the Silence è un qualcosa di unico, le cui melodie e sensazioni hanno il dono di entrare sotto pelle, nella carne fino a squarciare il cuore, con un AOR solenne e raffinato, forte lo ribadisco soprattutto di un’ottima vocalità e di grandi trame di chitarra e tastiere. Darren Wharton è un grande compositore, che ha trovato in Vinny Burns il suo perfetto comprimario, e l’intesa tra i due qui sembra toccare davvero i cieli dell’apoteosi musicale, per un disco che di certo verrà tramandato nei secoli come esempio perfetto di cosa il rock melodico poteva, può e potrà creare.
15 Gennaio 2011 18 Commenti Andrea Vizzari
genere: Melodic Rock
anno: 2008
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Se dobbiamo definire i paesi o una zona del mondo che ha permesso la rinascita del melodic rock nel post 2000, sfornando un numero impressionante di band che si rifanno ai gloriosi anni 80 senza però scadere nel riciclato, allora la risposta sarà una sola: la Scandinavia (e precisamente Svezia e Finlandia). Culla di tante nuove band, tutte con i propri pregi o difetti, ma con una costante comune: gli anthem da stadio, i ritornelli grandiosi, e quel senso della melodia innata. La Svezia, dopo aver dato i natali a band di tutto rispetto nel panorama rock melodico (Europe, Treat o i Talisman sono alcuni di questi gruppi storici) si è confermata una fucina di valore immenso. Proprio dalla terra di Tempest & Co. arrivano gli H.E.A.T, che hanno preso al volo tutto quello che era stato fatto fin ora, creando un mix assolutamente esplosivo.
LE CANZONI
Apertura affidata a un intro strumentale con una voce fuoricampo, il tutto per pochi secondi prima di arrivare alla prima canzone del disco: There For You. Chitarra in primo piano che comincia a tessere già le prime melodie indimenticabili, presto seguita dalla voce cristallina di Kenny Leckremo il tutto a condire questa bella opener. Never Let Go è una midtempo che subito diverte e che rimane in testa grazie a quei cori e a quel ritornello da cantare e urlare a squarciagola. Da notare nel finale uno stacco che rallenta la canzone solo per pochi secondi prima che arrivi Leckremo a sfoderare un acuto a dir poco pauroso a prova della sua immensa estensione vocale. Le successive Late Night Lady e Keep on Dreamin’ riescono nell’impresa di dimostrare (se ancora ci fosse il bisogno) quanto questi 6 ragazzi ci diano dentro con l’anima, avendo il ritmo e il desiderio di far scatenare l’ascoltatore nel sangue con il loro ritmo incalzante, i cori sempre presenti e queste melodie vincenti che tanti gruppi si sognano di creare. Le atmosfere si rallentano con la prima ballad del disco, Follow Me. Introdotta da Jona Tee e il suo pianoforte, da dimostrazione di quanto la band svedese sappia anche sorprendere nei lenti, con un interpretazione ancora magistrale di Leckremo. Si torna al rock con Straight For Your Heart che scommetto farà ballare chiunque e che funge da spartiacque tra Follow me ed un altra ballad, sempre di alto livello: Cry. Anche qui l’atmosfera è calda, i ritmi si abbassano e Kenny supera se stesso: interpretazione magistrale per tutta la canzone prima del finale in cui alza e tira degli acuti micidiali. Feeling Again, come le altre rock-song, parte lentamente per poi esplodere nel bridge e nel ritornello che acquista maggior spessore grazie ai cori degli altri membri della band. Anche qua dopo l’assolo, un Kenny Leckremo sugli scudi che regala alzate di tono e acuti perfetti. A seguire Straight Up col suo sapore quasi blues nulla aggiunge a quanto ascoltato precedente che però fa notare il gusto dei due chitarristi Dave Dalone ed Eric Rivers. Con Bring The Stars torna il classico suono della band, linee melodiche di chitarra mai banali e un ritornello che rimarrà impresso per molto tempo nelle menti di chi ascolta. Compito di chiudere il disco a You’re Lying e Feel The Heat che non aggiungono niente di nuovo alla miscela esplosiva della band svedese.
IN CONCLUSIONE
Melodie di facile assimilazione, ritornelli da cantare continuamente, frequenti assoli mai scontati o fini a se stessi che si intrecciano con le tastiere onnipresenti, frequenti cori e armonie vocali, il tutto impreziosito da una produzione moderna che scongiura quel senso di “vecchio” che potrebbe scaturire ascoltandoli. Se fosse uscito nel biennio 89-90 sicuramente avrebbe venduto quelle 3-4 milioni di copie che si merita di diritto. Voglio spendere una nota di merito però soprattutto al cantante, Kenny Leckremo. Questo giovane ha tutto quello che un cantante dovrebbe avere per il genere proposto: un timbro chiaro e pulito, un estensione vocale paurosa che gli permette di non risparmiarsi MAI dando veramente il massimo in ogni canzone con numerose alzate di tono vistose e acuti veramente potenti senza mai perdere punti neanche nelle parti più calme o nelle canzoni che richiedono una certa atmosfera.
Il disco comunque rimane un MUST per tutti gli amanti del rock melodico che non devono farsi scappare un disco di questa caratura.
28 Settembre 2010 5 Commenti Denis Abello
genere: Melodic Rock
anno: 2005
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Place Vendome è il nome di una piazza di Parigi, famosa per la simmetria uniforme degli edifici che vi si affacciano, ma Place Vendome è anche il nome del progetto che nel 2005 ha riportato tra noi, finalmente in piena forma, Michael Kiske.
Kiske si ripresentava in quel periodo (2005) dopo 10 anni dalla separazione dagli Helloween dovuta allo scarso successo di Chameleon considerato dai fans delle “zucche” troppo poco Metal edopo alcuni discutibili album solisti. Nati da un’idea di Serafino Perugino, mente sempre in fermento che sta dietro alla Frontiers Records, i Place Vendome potevano vantare per questo primo lavoro, oltre a Kiske alla voce, pezzi scritti dal produttore e bassista dei Pink Cream 69 Dennis Ward e dal loro cantante David Readman, e come musicisti di supporto Kosta Zafiriou (batteria) e Uwe Reitenauer (chitarra) sempre dei Pink Cream 69, insieme a Günter Werno, tastierista dei Vanden Plas. Da tutto questo prenderà forma un ottimo lavoro che otterrà buoni risultati sia di critica che di vendite, ma che soprattutto sarà l’inizio di un nuovo cammino distante dal Metal e più vicino al Rock melodico per Michael Kiske. Cammino che continuerà negli anni seguenti con il secondo disco dei Place Vendome (2009 – Streets of Fire) e con lo splendido progetto Kiske Somerville (2010 – qui la recensione) in cui duetta con la brava soprano Amanda Somerville.
LE CANZONI
A conferma di non trovarci di fronte ad una copia dei vecchi Helloween arriva subito Cross the Line, rock melodico fino al midollo. Molto ispirato anche il titolo… con questo pezzo Kiske “supera la linea” del Metal… ;-). I Will Be Waiting è una mid tempo eccellente, ma sicuramente la prima sorpresa dell’album è l’accattivante Too Late che segna forse il taglio più netto di Kiske con il suo passato. Un grande pezzo Aor. Sonorità più Rock per la successiva I Will Be Gone, buona la chitarra in sottofondo. The Setting Sun è molto delicata, penso che abbia fatto rizzare i capelli e storcere il naso a più di un fan di vecchia data di Kiske… ma in questo contesto risulta uno dei pezzi più riusciti. Place Vendome è un bel pezzo vitale dalla forte carica che decolla letteralmente nel ritornello. Heavens Door è un pezzo lento di ottima fattura, cadenzato e melenso al punto giusto. 😉 Right Here è forse la traccia che preferisco, la voce a tratti roca (solitamente Kiske ha un’intonazione molto chiara e pulita) ben si adatta alla melodia che ha quel giusto pizzico di emotività che la eleva oltre gli altri pezzi. Magic Carpet (che è anche il titolo di un vecchio videogioco dei Bullfrog… 🙂 ) è forse il pezzo più Hard Rock dell’album, anche se la cattiveria non manca neppure alla conclusiva Sign of Times.
IN CONCLUSIONE
In conclusione un bell’album, anche se personalmente trovo superiore il successivo Streets of Fire in cui i pezzi hanno una maggiore personalità, basta ascoltare la splendida My Guardian Angel (qui il video).
Resta comunque un ottimo lavoro, “storicamente importante” per la nuova impronta che prenderà da qui in avanti la carriera dell’ex Helloween Michael Kiske e che finalmente dopo alcune prove non proprio all’altezza della sua fama lo riporterà, anche se con sonorità nettamente diverse dal passato, a livelli di eccellenza.
14 Settembre 2010 3 Commenti Denis Abello
genere: Aor / Melodic Rock
anno: 1999
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Primo classico recensito su MelodicRock.it e non a caso la scelta è caduta proprio su questo splendido lavoro di fine millennio del grande vocalist dei Survivor Jimi Jamison. Questo disco ha avuto per me un pò il valore di un personale “battesimo” all’Aor ed al Melodic Rock. Infatti, questo è stato il primo disco Aor di cui sono entrato in possesso… ero alla ricerca in realtà di una raccolta dei Survivor, ma il negoziante mi disse che non era disponibile neanche su prenotazione (tempi duri che erano!!! Comunque la troverò anni dopo in un viaggio a Strasburgo… fortuna che ora ci sono i negozi online 😉 ) e mi propose questo Empires che invece era disponibile… anche se il fatto che il nome completo del gruppo fosse Jimi Jamison’s Survivor e non solo Survivor lo lasciò parecchio in dubbio sul fatto che fossero la stessa cosa…
…e quel poveraccio del negoziante, messo in crisi su un gruppo che praticamente mai aveva sentito (che tristezza, neanche sapeva che Eye of the Tiger fosse una loro canzone…), tutti i torti non li aveva. Infatti questo lavoro porta la firma Survivor in copertina, ma in realtà dei primi Survivor rimaneva proprio solo il grande Jimi Jamison in quanto Jim Peterick, fondatore del gruppo stava già approdando verso altri lidi (leggasi Pride of Lions).
Questo disco segnarà un capitolo importante nella storia di Jimi, una nuova conferma delle sue qualità anche senza il supporto dei Survivor, ed una crescita musicale e personale che lo porterà forse ad uno dei momenti qualitativamente migliori della sua carriera… e a noi regala un album che di diritto merita di entrare nella storia del Melodic rock.
Vediamo il perchè…
LE CANZONI
L’inizio dell’album è molto rilassato, con la bella mid tempo Cry Tough, che ha forse il pregio maggiore di farci subito notare lo stato di forma di una delle voci più belle del Melodic Rock internazionale. La canzone scorre veloce fino alla più heavy Run From THe Thunder, dove un bel riff di chitarra ed una batteria pulsante ci portano su tonalità più cupe.
La successiva I’m Always Here, per chi come me è cresciuto con negli occhi la bella Pamela Anderson di Baywatch (o almeno negli occhi una parte di lei…), è una sorpresa essendo proprio la colonna sonora della serie Baywatch che anche qui in Italia ha avuto alla fine degli anni ’90 un notevole successo… pezzo molto commerciale ma di indiscussa qualità, bello!
La canzone che porta il nome dell’album, Empires, è invece un lento in duetto con Lisa Fraziers, fin troppo classico nell’esecuzione anche se molto intensa e godibile, ma è con la successiva First Day of Love che si arriva al primo vero capolavoro dell’album. La canzone parte facendoci intendere l’ennesimo mid tempo, ma di colpo si trasforma in un autentico anatema rock fatto di batteria, chitarre e la voce di Jimi che si fa roca e tagliente per questo capolavoro confezionato con cura. Con la successiva Have Mercy si resta su livelli di eccellenza, riuscita l’intonazione vocale ed il bel riff di chitarra. Just Beyond The Clouds è la canzone romantica per eccellenza dell’album e forse una delle più belle che ricordi di aver ascoltato. La voce di Jimi ha un che di magico e ci trasmette in pieno l’intensità del testo per trasformarsi poi in un inno durante il ritornello… da lasciare senza fiato gli splendidi stacchi che intervallano la canzone. Arriviamo così velocemente all’ottava traccia dell’album ed alla mia canzone preferita dell’album… A Dream Too Far, grande composizione e grande intreccio tra voce e strumenti. Canzone in puro stile Survivor, che se proprio volessimo condensarla in una parola potremmo dire ADRENALINICA. Sicuramente uno dei pezzi che da quel tocco in più a questo lavoro. Da qui in poi l’album torna su livelli più “terreni”, e la successiva Love is Alive è la canzone che forse meno si abbina al resto dell’album… poco riuscita secondo me con quel suo stile simil funky che poco ha a che fare con il Rock che si respira nel resto dell’album. Piccola nota, questa canzone sarà però ripresa dalla bella Anastacia, canzone che per ritmica e sonorità nelle sue corde si trasformerà in un piccolo gioiello. November Rain ci riporta a sognare con un lento malinconico ed emozionante con un’esplosione di voce a circa metà canzone che è come il tocco dell’artista su di una tela già di per se perfettamente riuscita… una delle canzoni più emozionanti che ci regala questo Empires. La successiva Calling America è una bella canzone di protesta, politicamente corretta come nello stile del grande Jimi, ma potente e tagliente come un rasoio, gran bel pezzo che raggiunge il suo apice giusto prima di lanciare il ritornello. L’album si conclude con due Live, la sempre splendida Burning Heart a cui forse questo album riesce a dare una degna sostituta nell’ottima A Dream Too Far, e la meno riuscita Rebel Son (che però si conclude con un Thank you very Much veramente da lacrimuccia)… sinceramente se ne poteva fare a meno di inserire questi due live, ma Burning Heart si ascolta sempre con piacere… se poi come me siete cresciuti a pane e Rocky allora è un vero must… 😉
IN CONCLUSIONE
Uno degli album più riusciti del ’99 e penso uno di quegli album che ha contribuito a riportare in auge a livello mondiale il Melodic Rock dopo anni di vera “depressione” Grunge. C’è poco da dire, non potete dire di essere amanti del Melodic Rock se non avete nella vostra libreria questo album… quindi potete, o riprenderlo e per quarantacinque minuti riperdervi tra le sue canzoni o correre ai ripari e cercare di procurarvelo al più presto.