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Recensione Classico

Classico

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Kiss – Kiss – Classico

12 Ottobre 2025 1 Commento Alberto Rozza

genere: Hard Rock
anno: 1974
etichetta: Casablanca
ristampe:

Tracklist:

1. Strutter
2. Nothin' To Lose
3. Firehouse
4. Cold Gin
5. Let Me Know
6. Kissin’ Time
7. Deuce
8. Love Theme From Kiss
9. 100,000 Years
10. Black Diamond

Formazione:

Gene Simmons – bass, vocals
Paul Stanley – guitar, vocals
Ace Frehley – lead guitar, backing vocals
Peter Criss – drums, vocals

 

Classico tra i classici, imprescindibile per tutti gli amanti dell’hard rock, o dal rock in avanti, “Kiss” dei Kiss, anno del Signore 1974, rappresenta un crocevia fondamentale per la storia della musica popolare. Il primo capitolo di una saga durata cinquantanni, la colonna sonora della vita di milioni di ragazze e ragazzi in tutti gli angoli del Mondo, ha inizio con l’uscita di questo album, che già conteneva i prodromi di uno stile e di una intenzione che faranno dei Kiss una delle più grandi macchine da musica (e da incassi) dell’intero business musicale.

In primo luogo, la band, formatasi, anzi, riarrangiatasi l’anno precedente dalle ceneri dei Wicked Lester: Gene Simmons al basso, Paul Stanley alla voce e alla chitarra, Peter Criss alla batteria e Ace Frehley alla chitarra solista; tutti e quattro anche cantanti e coristi, oltre che songwriters. Questa formazione è un mantra, che tutti sanno a memoria come gli undici della finale dei Mondiali di calcio del 2006 o, per la generazione, del 1982. Il makeup a contraddistinguere uno stile e un mistero che solo poche band hanno avuto nei primi anni della loro carriera, poi esposta e sovraesposta nei decenni a seguire. La copertina dell’album, capolavoro assoluto, a mettere in mostra, su sfondo nero, un Monte Rushmore rivoluzionario, ovvero i quattro volti truccati dei quattro componenti, che, escludendo Peter Criss, presentano quei tratti caratteristici che diventeranno parte fondamentale dello show e del prodotto Kiss (la stella di Paul su tutte).

Da ragazzino è stato il primo album dei Kiss che abbia mai ascoltato e, senza troppa retorica, mi ha cambiato la vita: masterizzato da un mio amico e compagno di band, “Kiss” mi ha aperto gli occhi verso la parte più teatrale e “anabolizzata” del rock e, da chitarrista alle prime armi, mi ha portato alla conoscenza del mio mito chitarristico assoluto, ovvero Ace Frehley. Tanto mi appassionò, che nel giro di un paio di anni comprai tutti i primi album dei Kiss, con annessa autobiografia di Gene Simmons che letteralmente consumai (prima del 2006, anno che mi portò “The Dirt” e la scoperta di un’altra dimensione dell’hard rock).

Fuori dalla cronaca personale, questo album si deve poi aprire, inserire e ascoltare: impossibile farlo seduti, o in religioso silenzio, perché muoversi e scatenarsi è parte dell’ascolto. Si capisce che già qualcosa di incredibile e mai visto stava nascendo a New York, si capisce il genio creativo e l’energia dirompente sin dalle prime note di “Strutter”, cavalcata pomposa, spregiudicata, che presenta tutte le caratteristiche di un brano a marchio Kiss: ritmica ancheggiante, ritornello catchy, coralità e assolo in pentatonica… e cosa serve di più?
Il brano che segue è il primo singolo della band, “Nothin’ To Lose”, che entra subito nella mente e sotto la pelle, con il ritornellone cantato da Peter Criss e la perfetta struttura a incastro tra strumenti e voce.
“Firehouse” è l’essenza dell’unione tra un grande brano e lo spettacolo di un concerto dei Kiss, perché anche questa fu la loro grande rivoluzione: un demone sputafuoco che a fine brano lancia da una spada una palla di fuoco… perché la musica può diventare un grande show e i Kiss ce lo hanno insegnato.
Ore e ore davanti allo specchio della camera dei miei a imitare, a muovere la testa quando ancora era inondata da un mare di capelli lunghi, a replicare il solo e la ritmica di questo brano di Ace Frehley: “Cold Gin”, una perla rara, un rito iniziatico, imprescindibile.
Un po’ di rock’n’roll vecchio stile con “Let Me Know”, americanissimo, ammiccantissimo, ma comunque piacevole, che stacca un po’ e ci riporta sempre a “quegli anni” e che dovrebbe farci riflettere sulla capacità corale degli artisti che uscirono da quell’epoca, sia a livello vocale che compositivo.
Solitamente, al giro di boa, si andrebbe in calando: mai ragionamento fu più erroneo.
“Kissin’ Time” è un tour negli Stati Uniti che legheranno la propria storia a questa band, un quartetto dal destino scritto proprio in quel sogno americano che rappresenteranno almeno nella prima parte della carriera: emarginati, ragazzi di strada, accomunati dalla voglia di fare musica insieme e di sbarcare il lunario.
E qui arrivano i carichi da 90: “Deuce” è un classico, etimologicamente parlando, da tanto è stato ascoltato, suonato, copiato, riadattato, un brano che ha dato la forma all’hard rock, un canone imprescindibile per tutto ciò che ne deriverà… e chi dirà il contrario è un fan degli Aerosmith (si scherza, ovviamente).
Dopo la veloce strumentale “Love Theme From Kiss”, l’intro di basso di “100.000 Years” ci catapulta in un universo spietato, oscuro, che ci presenta un’altra caratteristica della band, ovvero la poliedrica forma del genio compositivo, sì attinente al genere, ma già da subito capace di attingere da altro e di farsi influenzare, ancor prima di influenzare il mondo del rock… e ci sarebbe da dire qualcosa anche sulla voce di Paul Stanley, ovvero un tratto fondamentale di una rockstar vera, pura, inimitabile
La conclusiva “Black Diamond” è uno spettacolo, una gemma unica, emozionante, con due soli di chitarra perfettamente cesellati da Frehley nella trama vocale spietata di Peter Criss e nella ritmica dinamicissima del duo Simmons/Stanley, una goduria per le orecchie e, dal vivo, una goduria per gli occhi, con lo spettacolo della “fustigazione” nel solo finale a rendere il tutto emozionante e struggente.

Nulla cambierà questa “recensione postuma” sul giudizio globale della band e soprattutto su questo album incredibile, che risulta un vero caposaldo di un genere e di un modo di vedere la musica, che tanti giovani ha ispirato e che tanti “meno” giovani continua a emozionare e a far sognare… E con un po’ di malinconia non resta che ringraziare i Kiss per il loro lavoro e per le sincere emozioni che hanno saputo trasmettere.

© 2025, Alberto Rozza. All rights reserved.

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