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04 Ottobre 2025 2 Commenti Samuele Mannini
genere: Procgressive Rock
anno: 2024
etichetta: Sony
Tracklist:
Black Cat
Luck And Strange
The Piper's Call
A Single Spark
Vita Brevis
Between Two Points
Dark And Velvet Nights
Sings
Scattered
Ci sono dischi che devi recensire e dischi che vuoi recensire. Ci sono dischi che ascolti perché “devi” farlo, e altri di cui ti capita di cogliere solo un frammento, per caso, e che all’improvviso senti il bisogno di ascoltare per intero, come se ti chiamassero. E ci sono dischi che, proprio per questo, ti fanno venire una voglia irrefrenabile di scriverne, quasi fosse un gesto necessario per fissare quelle sensazioni prima che svaniscano.
Con Luck and Strange, l’ultimo lavoro di David Gilmour, è andata esattamente così. Ne ho ascoltato un passaggio più di un anno dopo la sua pubblicazione, e da quel momento non ho fatto altro che cercare scuse per poterne parlare. Scriverne a così tanta distanza dall’uscita poteva sembrare inutile, ma a volte le cose trovano da sole la loro strada: in questo caso è stata una vecchia sezione ‘progressive’ presente sul nostro sito, dimenticata da anni, ad offrirmi lo spazio perfetto per dare voce a quella voglia di mettere per iscritto ciò che la musica aveva smosso.
Lasciate che vi suggerisca il modo migliore per ascoltarlo. Approfittate di queste prime sere d’autunno, quando l’aria comincia a farsi più fresca e le luci della casa assumono una tonalità calda e ovattata. Sistematevi su una poltrona comoda, con un drink che vi piace a portata di mano e, se siete fumatori, concedetevi anche la proverbiale sigaretta. Abbassate le luci e lasciate che il mondo esterno scivoli via mentre vi piazzate davanti al vostro impianto Hi-Fi; premete play e, senza fretta, lasciate che la musica vi avvolga, come se fosse un gesto intimo e necessario, capace di riempire la stanza di piccoli frammenti di magia.
Questo disco è un inno all’intimità, un racconto lungo una vita e uno sguardo sul percorso compiuto. Se a realizzarlo è un quasi ottantenne, non può mancare uno sguardo alla mortalità del corpo, affrontata non con paura, ma con una calma disarmante. Nelle parole di Polly Samson emerge un senso di accettazione profonda, come se Gilmour avesse fatto pace con il tempo e con sé stesso. In A Single Spark, per esempio, si chiede se la vita non sia altro che “una scintilla tra due eternità”, e questa è una domanda che resta impressa, soprattutto per chi ha ascoltato la sua chitarra accompagnare momenti e anni della propria vita.
Un altro tema che emerge con forza è quello della famiglia, non un dettaglio di contorno, ma una presenza viva e palpabile. Romany Gilmour canta e suona l’arpa con una delicatezza che tocca profondamente, mentre Charlie Gilmour partecipa alla scrittura dei brani insieme a Polly Samson. È come se David volesse ricucire fili, rinsaldare legami e lasciare qualcosa di prezioso ai suoi cari, un gesto silenzioso ma pieno di significato.
Il suono di questo disco è quello di un artista che non ha più nulla da dimostrare. Gli assoli non esplodono come fuochi d’artificio: scivolano leggeri, come raggi di luce che sfiorano l’oscurità silenziosa. Charlie Andrew, il produttore, è riuscito a portare aria nuova senza snaturare la visione di Gilmour. La title track nasce da una jam del 2007 con Richard Wright e, ascoltandola ora nella versione arricchita e resa “grande”, sprigiona un’intimità straordinaria, come se la musica respirasse insieme a te, riempiendo ogni angolo di spazio con una delicatezza quasi tangibile.
The Piper’s Call, si apre come un piccolo soffio di vento tra note inaspettate: l’ukulele di Gilmour pizzica melodie leggere, il djembe di Adam Betts scandisce passi discreti, e la batteria di Steve Gadd li avvolge con un ritmo caldo e naturale. La musica respira, si allunga e si piega, fino a culminare in un assolo di chitarra che parla da solo, portando con sé tutta l’emozione che le parole non possono contenere. Tastiere, loop, coro e orchestrazione si fondono senza sforzo, creando uno spazio sonoro che è insieme complesso e leggero, moderno ma intimo, e dimostrano come la tecnica possa servire la bellezza invece della mera virtuosità. In pochi minuti, The Piper’s Call rivela un Gilmour capace di sorprendere ancora, trasformando ogni dettaglio strumentale in un gesto poetico e avvolgente, come una musica che sfiora la pelle e resta nell’aria.
Between Two Points è il brano che mi ha spinto ad ascoltare e acquistare il disco, un’inaspettata scelta di cover dei Montgolfier Brothers del 1999, gruppo dream-pop noto per la loro malinconia sottile e ironica, che merita di essere esplorato. Nonostante non sia originale, la versione di Gilmour si fonde con il resto dell’album come se fosse sempre appartenuta a questo universo sonoro: liriche e melodie tessono insieme un filo emotivo che attraversa l’intera opera, rendendo coerente anche ciò che nasceva altrove. Le atmosfere eteree e oscure si mescolano alla voce limpida e pura di Romany Gilmour, evocando scorci degli Anathema più suggestivi, mentre la tastiera sull’arpa aggiunge un senso di sospensione, come se ogni nota fluttuasse nell’aria. Affidarle il ruolo vocale principale è un gesto di rara generosità artistica: Gilmour mette da parte le aspettative, persino quella di cantare, per servire la musica nella sua forma più autentica. La tensione del brano oscilla tra rassegnazione e speranza: le parole di Romany, amare e taglienti, “Just let them walk all over you … They’re right, you’re wrong”, trovano risposta nell’assolo di chitarra di David, un lamento intenso che, pur seguendo il tono della canzone, lascia intravedere bagliori di luce e speranza. Between Two Points non è solo una cover: è un piccolo capolavoro, un incontro tra generazioni, un frammento di musica che illumina l’oscurità dell’album con delicatezza e sorprendente coerenza.
E poi c’è Scattered, ultimo brano ufficiale dell’album, che si apre con il battito di un cuore che pulsa nello spazio silenzioso, avvolgendo chi ascolta come un respiro lento e profondo. La voce di Gilmour esplora il tempo e la mortalità con liriche che scorrono come maree delicate: “Time is a tide that disobeys, and it disobeys me … It never ends”. Tastiere che richiamano Meddle, frammenti di High Hopes e la chitarra acustica disegnano un paesaggio sonoro intriso di memoria e nostalgia, dove ogni nota sembra sospesa nel tempo. Quando arriva l’assolo finale, ogni frase musicale diventa un lamento e una carezza insieme, intimo e lacrimoso, capace di toccare nel profondo come solo Gilmour sa fare. La collaborazione con Polly Samson e Charlie aggiunge un filo di calore familiare, rendendo il brano ancora più personale e avvolgente. Scattered non chiude solo l’album: trasforma musica, memoria e sentimento in un istante sospeso, delicato e indimenticabile.
Andando oltre il semplice ascolto musicale, Luck and Strange rivela una registrazione impeccabile, un suono così nitido e presente da richiedere silenzio intorno a sé. È quasi un invito a sedersi, chiudere gli occhi, respirare lentamente e lasciarsi trasportare da ogni sfumatura. Ogni dettaglio strumentale emerge con chiarezza, e per questo il disco può essere considerato un vero e proprio test per qualsiasi impianto hi-fi, capace di svelare la ricchezza, la profondità e la delicatezza della musica come pochi altri lavori sanno fare.
Alla fine, Luck and Strange non è solo un grande album: è un respiro lungo e profondo sulla vita, sull’amore, sul tempo che scivola silenzioso tra le dita. È un lavoro che non ti lascia andare subito, ma resta accanto, come un’eco delicata che ti accompagna nei giorni successivi. Se davvero fosse il suo canto del cigno, sarebbe un addio morbido e luminoso, una foto in bianco e nero in cui riesci a scorgere i colori, un invito a sedersi, ascoltare e custodire ogni nota gelosamente, come un piccolo tesoro della propria discografia. Il voto datelo voi, in questo caso non ha nessuna importanza.
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