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15 Maggio 2025 48 Commenti Samuele Mannini
genere: Melodic Hard Rock
anno: 2025
etichetta: Frontiers
Tracklist:
1. It's Not Right
2. A Night To Remember
3. Hold The Night
4. I Will Believe
5. Beggars Can't Be Choosers
6. It Ain't Over Till It's Over
7. Stand And Deliver
8. Time To Call It Love
9. Holdin' On For Dear Life
10. Paradise Found
11. Pleasure Dome
Formazione:
Kent Hilli - Lead Vocals
Jimmy Westerlund - Lead Guitar
Mike Brignardello - Bass
David Huff - Drums
Possono esserci diversi modi per approcciarsi a un disco del genere, ed uno di questi potrebbe essere quello di adottare un atteggiamento democristiano, ovvero limitarsi ai discorsi di circostanza, lodare la storia e il blasone del gruppo, rievocare i bei tempi andati ed evidenziare i tentativi (più o meno riusciti) di emulare un sound che, ai suoi tempi, ci faceva letteralmente impazzire di gioia; ecco, vi do una notizia: non sono mai stato molto democristiano, e quindi mi appresto a scrivere questa recensione in tutt’altro modo — come, del resto, avevo già fatto con il precedente Shifting Time (QUI la recensione) — ma con la consapevolezza che allora non avevo, di non poter essere più deluso, e questo probabilmente mi renderà ancora più cinico, cosa di cui mi scuso in anticipo con chi considera questo un bel disco, anche perché, alla fine, la mia resta pur sempre un’opinione personale che, nel migliore dei casi, potrà servire come spunto di riflessione e, nel peggiore, potrà essere ignorata senza troppi problemi.
Quali sono dunque i problemi che affliggono questo disco e mi hanno portato a dare un voto del genere? Beh mettetevi comodi perché l’elenco non è proprio breve.
Il primo punto che salta all’orecchio è che questo sembra più un disco dei Perfect Plan che uno dei Giant, e spiego subito perché. È evidente che la performance vocale di Hilli caratterizzi il disco, come accadeva con Dan Huff nei primi lavori dei Giant, ma c’è una differenza enorme nel modo di interpretare le canzoni. La tendenza del vocalist svedese a urlare a squarciagola (e pare pure stia cercando di trattenersi) snatura molto lo spirito dei Giant originali.
Secondo punto: non trovo coerente il songwriting tra le tracce scritte da Huff e quelle in cui non è più protagonista. Si tratta di due stili di scrittura abbastanza differenti, che possono piacere o meno, ma che si percepiscono chiaramente come non completamente amalgamabili.
Terzo punto: ormai le canzoni riciclate dalle session dei precedenti dischi e scritte da Huff cominciano ad essere davvero tante, e se erano state scartate, un motivo ci sarà stato; in sostanza, anche rispetto al disco precedente, la qualità delle canzoni è decisamente inferiore, e la cosa mi è saltata subito all’orecchio, beh, almeno al mio; se per altri non sarà così, tanto meglio per loro.
Questo è il quadro che vi traccio dopo aver ascoltato il disco sei volte, e ascoltandolo anche adesso mentre scrivo queste righe le impressioni restano sempre le stesse, quindi è un disco orribile? No, assolutamente no, qualche canzone che si salva c’è, ma in numero ancora inferiore rispetto al già non eccelso predecessore, e francamente, da certi nomi, io mi aspetto di più.
Per quanto riguarda le canzoni, che volete che vi dica… l’opener ‘It’s Not Right’ non è una brutta canzone, se fosse in un disco dei Perfect Plan sarebbe sicuramente più nel suo contesto naturale. ‘Night to Remember’ gira su un ritornello banalotto e scontato, e si salva solo grazie a un buon guitar solo. In ‘Beggars Can’t Be Choosers’ si va sull’autocitazione pesante, senza peraltro nemmeno avvicinarsi a ‘Time to Burn’, che chiaramente ha fatto da ispirazione. ‘Time to Call It Love’ invece mi piace, perché ha il sapore di Mark Spiro, anche se con il resto del disco francamente c’entra poco, ma intanto mettiamola in saccoccia. In ‘Holdin’ On for Dear Life’ si ode un sentore dei Giant, ma la differenza interpretativa tra i due vocalist è, per usare un eufemismo, EVIDENTE. ‘Paradise Found’ è una ballad gradevole, ma impallidisce di fronte alle gemme del passato a nome Giant… e basta dai, con l’analisi delle canzoni credo di avervi già tediato abbastanza, anche se mi sono limitato a segnalare quelle che, a mio giudizio, sono le “migliori”.
In conclusione, per me questo disco rappresenta cinquanta minuti trascorsi tra noia e rimpianto, e ahimè ha esacerbato i difetti del precedente diminuendone pure i pregi, ma siccome ognuno di noi si porta dietro i propri bias cognitivi, voi ascoltatelo, poi traetene le vostre conclusioni.
© 2025, Samuele Mannini. All rights reserved.
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