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01 Marzo 2025 1 Commento Yuri Picasso
genere: Hard Rock
anno: 2025
etichetta: Frontiers
Tracklist:
01. 'Til I Die
02. Soulbound
03. The Best Of Me
04. Crazy
05. Let It Go
06. Wonders Of The World
07. One Good Reason
08. Bloody Bruised And Beautiful
09. Paradise
10. Born To Die
11. There Was A Man
Formazione:
Robin McAuley: Vocals
Andrea Seveso: Guitars
Alessandro Mammola: Guitars
Aldo Lonobile: Bass
Alfonso Mocerino: Drums
Antonio Agate: Keyboards
Un’artista del calibro di Robin McAuley non necessita dal sottoscritto alcun tipo di presentazione. Un cantante ed un interprete sopra la media, ben oltre il minimo comune denominatore.
Rispetto ai precedenti due dischi solisti editi sempre da Frontiers (complessivamente siamo al quarto) cambia la produzione (ora in mano ad Aldo Lonobile) e la backing band (confermato il solo Andrea Seveso alle chitarre), tutta italiana.
Un muro sonoro più Clean e un’attitudine leggermente poco più heavy, ancor meno keyboard oriented, ma pur sempre melodica nel processo di songwriting sono i markers di distanza rispetto ai lavori precedenti.
Mentre il timbro del nostro irlandese sembra non voler invecchiare col passare degli anni.
Se chiudiamo gli occhi ci sembra di risentire la medesima ugola che illuminava i lavori targati McAuley Schenker Group, usciti oramai 35 anni fa e oltre…
I momenti più ispirati sono quelli in cui si ripropone il trademark Rock più ottantiano; volenti o nolenti riconducibile al passato più illustre del cantante (classe 1953!!): brani come “Let It Go”, “Reason” o ancora “Paradise” eludono la volontà dell’ascoltare di sentire qualcosa di inatteso o innovativo, riproponendo schemi e riff non di prima cottura ma favorevoli agli intenti fluidi e sedotti dal buon gusto.
Piacevoli e definite le Black Swaniane “Wonders of the World” e “Bloody Bruised And Beautiful”, connubio riuscito tra presente e passato, melodicamente compatte. Quando si punta all’aggressività (‘The Best of Me’) si rimane potenti ma inevitabilmente inflazionati.
Tra i brani più memorizzabili per appeal, cito ‘Crazy’, per i suoi piacevoli cambi di ritmo e per la ricerca di una melodia suggestiva, e “One Good Reason”, pungente, dotata di un ritornello a la Scorpions, calibrato e vincente. Percorso similare nella costruzione di “Born To Die” con quel basso pulsante ed espressivo.
Il difetto di un disco come ‘Soulbound’ rimane nel suo eccesso di coesione; privo di veri ed incisivi highlights e di una o due canzoni in grado di elevare l’intero lavoro e di direzionare la bussola artistica anche altrove; estremamente compatto come un insieme di nuvole che si muovono assieme e non riescono a distaccarsi l’una dalle altre, esente altresì da evidenti cadute di stile e quindi di brani da skippare.
Il risultato finale rimane ad ogni modo più raffinato che anonimo, per via dall’indiscutibile attrattiva di Robin di tenere l’ascoltatore saldato alle casse d’ascolto per mano di un’ugola davvero comparabile a uno di quei vini da degustazione pura.
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