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28 Marzo 2025 Comment Vittorio Mortara
genere: AOR
anno: 2025
etichetta: Frontiers
Tracklist:
1. Tell Somebody
2. Nothing Will Make You Change
3. Too Many People
4. Face Of Justice
5. Good Life
6. Joan Of Arc
7. Can't Stop Messin'
8. Right
9. 100 Sad Goodbyes
10. Tonight
11. A Bone To Chew On
Formazione:
Robert Berry – Voce e basso
David Lauser - Batteria
Gary Pihl - Chitarre
Degli Alliance di Robert Berry si erano un po’ perse le tracce dall’uscita dell’album “Fire and grace” del 2019. Oggi, dopo essersi accasati alla Frontiers, i nostri tornano sulle scene con un platter nuovo di zecca ed una formazione base che è sempre la stessa e che, quindi, garantisce esperienza e qualità tecniche al di sopra di ogni sospetto. E pure la proposta odierna degli americani non è molto diversa da quanto già ascoltato sui lavori precedenti: hard rock classico, che affonda le radici nel fertile terreno degli anni 70 e 80, qua e là annaffiato da melodie più catchy.
“Tell somebody” mostra subito il volto più easy listening della band, con un quattro quarti canonico ma piacevole. Più pomposetta “Nothin will make you change”, merlettata dalla chitarra di Phil. Il profumo dell’oceano e di creme solari delle affollate spiagge californiane pervade i solchi di “Too many people”, per chi scrive il pezzo più bello del disco. Gli accenni western di “Face of justice” e la poco incisiva “Good life” traghettano l’ascoltatore senza scossoni alla semi ballad dall’ispirazione vagamente springsteeniana “Joan of Arc”, pezzo di pregio assoluto per ispirazione ed esecuzione. Il mid tempo granitico “Can’t stop messin’” non incontra il mio gusto personale. Ed in realtà neppure “Right”, sferzata dal bassone prepotente di Robert, fa gridare al miracolo. “100 sad goodbyes” è la colonna sonora ideale per attraversare l’infuocato deserto dell’arizona in sella ad un’Harley Davidson guidando verso il tramonto. “Tonight” parte soffusa ma cresce ad ogni giro in spessore e ritmo, per poi cedere il passo alla conclusiva “A bone to chew on”, hard americano fino all’ultima nota.
“Before our eyes” non è un disco di facile ed immediata interpretazione. A prescindere dalle doti tecniche di chi lo suona, si barcamena un po’ troppo fra alti e bassi. Fra pezzi ispirati ed altri meno riusciti. Se la band fosse agli esordi, si direbbe che non abbia ancora una direzione precisa da seguire. Ad ogni modo, globalmente, è un album che vale la pena di ascoltare e riascoltare, prestando attenzione ai particolari. Non è una esplosione di fuchi d’artificio visto dal lungomare, ma piuttosto un tramonto fra le vette che gioca con le luci e le ombre, da osservare seduti su uno sbalzo roccioso, sorseggiando genepy.
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