Autumn’s Child – Tellus Timeline – Recensione

Puntuale come un orologio svizzero, eccoci con l’appuntamento annuale con il nuovo album di Mikael Erlandsson e i suoi Autumn’s Child, “Tellus Timeline”. Progetto naturale proseguimento dei grandi Last Autumn’s Dream, gruppo che dagli inizi degli anni 2000 (2003 per la precisione) ci ha deliziato ogni anno con un disco di AoR e Rock Melodico di alta classe.

Cambia parzialmente la line up, infatti troviamo Pontus Akesson alla chitarra, Robban Back alla batteria, Claes Andreasson alle tastiere e Magnus Rosen, membro originario degli Hammerfall, al basso.
Il disco è come sempre ben prodotto e nonostante i tantissimi album pubblicati non si rischia l’auto plagio, infatti l’album risulta vario e con buone novità, aiutate anche dalle diverse collaborazioni sul disco; a partire dalla cantante lirica svedese Karin Funk, presente nel primo singolo Gates Of Paradise fino al duetto con il grandissimo Jim Jidhed sulla melodica Juliet. Come già indicato la collaborazione col bassista ex Hammerfall in diversi pezzi fa sentire la sua grinta.

La chitarra di Akesson primeggia su diversi brani, come la rockeggiante Here Comes The Night , dove troviamo anche un bell’assolo di tastiere, l’arena song We Are Young che non sfigurerebbe dal vivo e rappresenta perfettamente il sound di LAD + Autumn’s Child e dove ancora una volta l’accoppiata Akesson/Andreasson riesce a colpire. Il primo singolo Gates Of Paradise, con la voce del tenore Karin Funk, parte forte con un hard rock aggressivo e crescente. Il pop-rock con echi Beatles di Around The World In A Day è notevole e non scontato, l’assolo semi acustico finale ci riporta indietro nel tempo, gran pezzo. On Top Of The World ci riporta sui binari Aor, bello il piano e le tastiere che sfociano in un refrain arioso. This Is goodbye è un hard rock farcito di tastiere, classico sound scandinavo Aor dove chitarre/tastiere/cori si intrecciano in modo impeccabile. Il duetto con Jim Jidhed è il lento Juliet, dove si fonde l’Aor più classico; l’intro a la Toto, il refrain molto Journey, niente di innovativo, ma una formula per rendere un lento perfetto. Si conclude con I Belong To You, dove l’eco dei Beatles è ancora chiaro, pop con batteria secca, cori , chitarre acustiche che si fondono con un tappeto di tastiere.

IN CONCLUSIONE :
Bisogna ammettere che la formula usata in questo disco è ben riuscita, ottimi duetti, diversi stili ma sempre perfettamente in linea con l’AoR a cui ci hanno abituato Erlandsson & soci. Dategli una possibilità!

Blackbird Angels – Solsorte – Recensione

Nasce il nuovo progetto musicale Blackbird Angels dalla collaborazione e amicizia del chitarrista Tracii Guns (il quale non ha bisogno di presentazioni) e dal cantante e bassista Todd Kerns (Slash, Toque, Heroes And Monsters). A loro si aggiunge il batterista e produttore Adam Hamilton per il primo disco Solsorte, uscito sotto Frontiers Records.
L’idea di Todd e Tracii è sempre stata di collaborare per registrare un disco dedicato ed ispirato ai loro idoli musicali da adolescenti: Bad Company su tutti, ma anche Journey, Led Zeppelin e Peter Frampton. Il sound infatti è molto derivato dagli anni ’70 con influenze blues e una chiara matrice Hard Rock.

L’opener Shut Up(You Know I Love You) è dettata da un gran riff e la chitarra ruvida e settantiana dove la voce di Kerns è roca al punto giusto ed entra subito nel sound del disco.
Mine (All Mine) vira più verso i Led Zeppelin, in chiave più moderna, con la chitarra iniziale che duetta con la batteria, mentre Worth The Wait parte lenta con una chitarra acustica e la voce calda di Kerns per poi col suo lento incedere esplodere in un rock roccioso. Coming In Hot è funky, allegra, veloce e arriva dritta in testa, qui forse troviamo qualcosa dei primi Aerosmith, un assolo del miglior Tracii Guns e la canzone è promossa!
On And On Over And Over è la prima ballad, la chitarra effettata col suo giro ipnotizzante che arriva ad un solo da manuale, sembra di essere tornati indietro di 40 anni…..
Only Everything ha un riff iniziale potente e veloce, la linea vocale con filtri ed effetti dove Kerns si trova a proprio agio e sprigiona energia pura. Broken In Two mischia Led Zeppelin e Bad Company, mentre la successiva Better Than This rallenta il ritmo mantenendo classe e vira su un sound più AoR, con le tastiere in sottofondo e le voci che si sovrappongono, buona song. Unbroken è il classico “Pugno nello Stomaco” che non ti aspetti, una batteria impazzita iniziale la chitarra che sprigiona accordi, rotolante, potente e sicuramente la canzone col sound più moderno del lotto senza perdere il suo Hard Rock di fondo. The Last Song è la seconda ballad, stavolta un arpeggio di chitarra apre le danze, le keys da tappeto, i Lynyrd Skynyrd che veleggiano nell’aria la parte cantanta sofferta e un Tracii Guns sugli scudi, davvero una bellissima canzone…si finisce con Scream Bloody Murder, col basso rotolante di Tedd Kerns e un ritornello quasi urlato e stonato chiude un buon disco con la sua allegria.

IN CONCLUSIONE:
Todd Kerns e Tracii Guns hanno voluto portarci nei grandi seventies e ci sono riusciti alla grande.
Un disco ben suonato con buone idee nel songwriting che regalerà 45 minuti di grande musica.

Pride Of Lions – Dream Higher – Recensione

Presentare una band come i Pride Of Lions penso sia superfluo, e ogni uscita di questa grandiosa band AoR ha sempre aspettative molto alte, che non sempre lasciano il segno. Sarà il caso di questo nuovo e settimo sigillo Dream Higher?

Passiamo alle canzoni, infatti in occasione dei vent’anni del gruppo, Jim Peterik si affida nuovamente all’ugola calda e potente di Toby Hitchcock, una garanzia nel genere e una voce carismatica e coinvolgente. Ed il nuovo Dream Higher possiamo dire che non appaga al massimo le aspettative e soffre forse di troppo “mestiere” e meno “cuore” rispetto ai precedenti lavori.
La proposta musicale è quella che l’ascoltatore si aspetta da un disco dei Pride Of Lions e questo non lascia dubbi su cosa ci aspetteremo e sia chiaro che questo non è un brutto lavoro, emerge purtroppo un calo di creatività e novità ma che ad uno come Peterik può essere perdonato. In tutti i pezzi manca la scintilla, “IL” refrain vincente, nonostante non manchi mai la classe e la melodia che contraddistingue Peterik e soci.
I bei pezzi comunque non mancano con la bella Blind To Reason, un’opener di tutto rispetto, la title track Dream Higher e Another Life parlano l’Aor più classico e anche se un po’ scontate riescono a lasciare il segno. Ma è con le tracce più eightes che Jim e Toby riescono a divertire di più rieccheggiando il sound dei mitici Survivor, se vogliamo fare un “grande” paragone. Find Somebody To Love ne è un esempio lampante, mentre i momenti più westcoast e più soft li troviamo con Driving and Dreaming, fresca, solare, la ballad Everything To Live For e la conclusiva Generational.
Lato musicale non si può dire assolutamente nulla, Peterik e la sua chitarra sembrano parlare ad ogni nota, il disco è comunque registrato discretamente e Toby Hitchcock non sbaglia un colpo.

IN CONCLUSIONE :
I Pride Of Lions sono questi, prendere o lasciare, personalmente penso che cambiare o snaturarli non avrebbe senso ed anche se il sound e le canzoni hanno dei momenti di stanca, riescono comunque ad emozionare.

Gardner/James -No String- Recensione

Direttamente dalla voce delle Vixen, ecco tornare in veste solista Janet Gardner, che grazie alla Pavement e Frontiers Music, prosegue la sua collaborazione con il chitarrista Justin James ed insieme propongono il nuovo “No String”, naturale proseguimento dell’album del 2020 Synergy.

L’album presenta diversi temi stilistici, proponendo sempre un rock energetico con tanta melodia.

Il fruscio del vinile apre alla bellissima I’m Living Free, potente, con un riff energico e ben suonato, con un refrain che rimane in testa già dal primo ascolto. Janet in grande forma si conferma un’ottima cantante. Inizio veramente di buon auspicio!
Turn The Page conferma quanto detto, con James che detta ritmo, potenza ed energia alla chitarra e mantiene il pezzo ad alto livello.
85 da una sterzata a livello sonoro, rivelandosi un rock moderno ma senza mordente, dove stavolta la melodia non prende, pezzo decisamente anonimo, a mio avviso strano averlo scelto come singolo. Si continua con la title track No String, siamo di fronte alla prima power ballad, pezzo dove la chitarra ritmica si fa sentire, buon riff, ritornello nella norma con Janet in risalto con una bella prova vocale e buon assolo di James. Il risultato non è niente di esaltante ma si lascia ascoltare. Don’t Turn Me Away parte con una chitarra acustica, il pezzo esplode in un rock energico in pieno american style ma ancora una volta il ritornello lascia l’amaro in bocca, anonimo e poco trascinante.
Con Set Me Free ritorniamo a parlare hard rock, con James in primo piano ma ancora una volta il pezzo soffre di un refrain poco ispirato, senza mordente e molto anonimo. Peccato. Hold On To You parla il rock piu’ ottantiano, un mid tempo con inserti di tastiere, tappeti di chitarre e un assolo finalmente coinvolgente. Un buon pezzo che rialza un po’ il morale!
Into The Night parte forte con la batteria e la chitarra in primo piano a dettare il tempo, si torna finalmente ad un rock potente, hard al punto giusto dove Janet graffia con la sua voce e i cori sorreggono il buon refrain, pezzo ancora ottantiano fino al midollo! I’m Not Sorry ha un sound più moderno, rock melodico veloce e senza fronzoli dove il duo funziona alla perfezione, con un ritornello avvolgente e potente.
Si arriva al decimo pezzo You’ll See, ancora un hard rock deciso e grezzo, con Janet sugli scudi che porta direttamente al country/blues di She Floats Away, acustico ma energetico al punto giusto bello il riff di James!! Promosso!! Si chiude con Drink, dove si incrociano chitarra/pianoforte/voce e dove il rock n’ roll si fonde al country e sfocia in un ritornello catchy con un assolo al top! Pezzo veramente esplosivo!!

IN CONCLUSIONE:
Un album con alti e bassi, a volte troppo disomogeneo dove troviamo troppi stili diversi. Si alternano bei pezzi a momenti troppo anonimi. Album sicuramente sopra la sufficienza ma che non può arrivare ad alti livelli.

DeVicious – Code Red – Recensione

I DeVicious si confermano una macchina da dischi, quinto album in cinque anni per il gruppo tedesco che con questo Code Red propone un Aor mischiato al melodic rock più classico.
La band ha sostituito lo storico cantante Antonio Calanna, che ha lasciato il microfono all’ex TNT Baol Bardot Bulsara. I restanti membri rimangono Lars Nippa alla batteria, Denis Kunz alle tastiere, Radivoj Petrovic alla chitarra e il produttore e nonché bassista Alex Frey.

La proposta dei Devicious è un classico Aor contaminato da fiati e dotato di tastiere onnipresenti che forse lasciano poco spazio alla chitarra. Rispetto al precedente Black Heart troviamo un suono più classico e più radio friendly, togliendo qualcosa al lavoro finale almeno sotto l’aspetto della “novità” .

L’album parte forte con la doppietta Are You Ready For Love e Highway to the Stars, la prima con i cori accattivanti, il basso in primo piano e le tastiere che sovrastano, la seconda con i fiati le trombe guidati sempre dalle tastiere di Denis Kunz e l’ottimo ritornello che si stampa subito in testa. Da citare l’ottima prova vocale di Bulsara che sui registri alti da il meglio di se. Si continua conMadhouse col suo basso iniziale lento, per poi cambiare di tempo e sfociare in un ritornello trascinante, finalmente sentiamo un po’ di chitarra con l’assolo rock che da una spinta in più. Con Stuck In Paradise ci immergiamo nel rock melodico, intro super di chitarra riff perfetto e un’ondata di note ci portano al pezzo più riuscito e anche più rock dell’album. Le note del pianoforte aprono le danze a No More Tears, che dopo pochi secondi sfocia nell’AoR più classico, refrain da manuale, ritornello direi non proprio riuscito, anonimo e canzone che non “rimane”…. proprio da questo punto l’album tende ad appiattirsi, con buoni riff e bei giri di tastiere ma dove proprio le canzoni sembrano non funzionare. I cori di Raise Your Life, il bel riff di Not Anymore non riescono a salvare le canzoni dallo “skip” , ritroviamo qualche discreta idea su House Of Cards, dove il ritornello stavolta funziona, ma già da All My Life ritorniamo sul pezzo classico ma senza lasciare il segno. Walk From The Shadows inizia con un synth molto ottantiano ed esplode con un acuto di Bulsara ad una tonalità altissima. La canzone ha un bel refrain accattivante e un bel ritornello, Aor mischiato empre al rock melodico con le tastiere al massimo volume…. si chiude con una reinterpretazione del loro pezzo Penthouse Floor (dall’album Never Say Never del 2018) che a mio avviso perde totalmente la sua bellezza, ma devo ammettere che sui pezzi riarrangiati ho sempre avuto poco feeling….

IN CONCLUSIONE:
I DeVicious propongono un AoR classico, non inventano nulla ma regalano un’ora di buona musica, peccato per la seconda parte dell’album dove il songwriting zoppica un po’.

Atomic Kings – Atomic Kings – Recensione

Nuova uscita per gli Atomic Kings, band nuova di zecca con Gregg Chaisson al basso(Badlands, Red Dragon Cartel), Ryan Mckay alla chitarra, Jim Taft alla batteria e Ken Ronk alla voce. La Tonehouse Records pubblicherà il debut album e descrive il sound come un suono basato pesantemente sull’hard rock / blues degli anni 70-80.
Ma andiamo ad analizzare il disco….

Le prime tracce All I Want (scelto come primo singolo) ed Escape sono di buona caratura e girano su un riff di chitarra e basso rock con alcune sfumature Blues, e se la prima traccia ha un refrain e un riff che entrano subito in testa, la seconda nonostante il bel groove ha una melodia che non convince, rimanendo troppo anonima. Holding On parte con un basso rotolante e distorto, la canzone è più cupa e la parte cantata di Ronk, acuta, ricorda molto il suono settantiano confermato dal bell’assolo di chitarra. Take My Hand è un macigno hard rock, dove ancora riff e musica sono super, ma la differenza lo fa il pezzo strumentale finale da oltre 2 minuti.
Con Running Away troviamo il primo mid tempo, un rock melodico, con una gran melodia e ottimo lavoro alla batteria di Jim Taft, mai banale. Live ritorna a parlare settantiano con il riff indemoniato e l’intro di chitarra hard rock, il cantato torna su acuti difficili e il basso macina note infinite. I Got Mine varia sound, stavolta è il basso a farla da padrone con il suo riff incessante e suo funky mood, tutto sempre contornato dalla chitarra sempre presente col suo hard rock stavolta più ottantiano. Bella!
Jimi’s Page è una traccia strumentale da un minuto dove si intrecciano chitarra acustica e pianoforte, ma sull’attacco di Bloodline ritroviamo qualcosa dei Deep Purple, un riff grosso, hard rock dove batteria e basso seguono la chitarra a dettare il ritmo. Si chiude con la bonus track Illusion, che non aggiunge nulla al lavoro ma completa l’album con il suo rock melodico, dove trova ancora spazio il basso e le chitarre trovano lo spazio nella parte finale tutta strumentale, come a voler chiudere l’album in bellezza.

IN CONCLUSIONE:
Un bel disco, diretto mai banale, dieci tracce hard rock senza fronzoli, nessuna ballad o lento.
Se vi piace l’hard rock tra gli anni ’70 e ’80 dategli un ascolto.

John Diva & The Rockets Of Love – The Big Easy – Recensione

John Diva & The Rockets of Love arrivano dritti al terzo album con la loro carica Glam Rock in pieno 80s style e trasmettono (un po’ come i loro “colleghi” Steel Panther) la voglia di party, di ballare, ubriacarsi, le feste con le ragazze e tutto ciò che può significare la parola divertimento.
The Big Easy” è il terzo album su Steamhammer / SPV e saranno disponibili le versioni CD, LP o un divertente cofanetto che include addirittura occhiali da sole, crema solare e alcuni gadget.
La line up non cambia con Lee Stingray Jr. alla Batteria, Remmie Martin al Basso, Snake Rocket e J.J. Love alle Chitarre e John Diva alla Voce .

La festa inizia con i 50 secondi dell’intro California Rhapsody, con i coretti stile anni ’60 che aprono le danze al primo singolo e title track The Big Easy, il riff sprigiona rock ottantiano come il ritornello di facile presa che ti entra subito in testa con la sua melodia e l’assolo breve, diciamolo, alla Van Halen. Buon inizio!
God Made Radio con l’intro a la Motley Crue, si spinge verso un rock sempre molto melodico e un riff contagioso, il ritornello arioso e sempre azzeccato . Runaway Train è la mid tempo che non può mancare per spezzare il disco. Il pezzo è molto easy , radiofonico e senza troppe pretese ma sempre con un bell’assolo come forza.
Thunder è IL pezzo da stadio, il suo anthem iniziale, la chitarra tagliente, il riff che ti fa muovere testa e piede, il suo ritornello Leppardiano, bel pezzo! Si continua con Believe, un brano dotato di buoni cori ma direi il meno diretto del lotto, ha sicuramente bisogno di più ascolti. Back In The Days è solare, quasi AoR, le chitarre sono meno cattive, ma ancora una volta il refrain è irresistibile!! Hit And Run è la ballad di turno, chitarra e voce iniziale per l’esplosione del bellissimo ritornello, da segnalare sempre il solo elettrico, forse troppo breve per la portata del pezzo. Boys Don’t Play With Dolls parla Aerosmith, i fiati che accompagnano le tastiere che sorreggono l’ottima melodia, ma diciamolo …. il titolo da solo riassume la recensione!
The Limit Is The Sky parte ancora forte con un riff veloce e rabbioso con le due chitarre sugli scudi mentre Capri Style (a voi la disamina sul titolo) ha un riff ancora devoto ai Motley Crue , secco, diretto, “stradaiolo” e il cambio di tempo prima del ritornello la distingue dalle altre canzoni, altro centro! Si chiude con Wild At Heart dove la batteria apre le danze alle chitarre ed ai cori lenti. Canzone nostalgica, con inserti di chitarra e cori un po’ ultimi Bon Jovi. Sicuramente il pezzo più “moderno” del lotto ma sempre di alto livello.

IN CONCLUSIONE:
Come illustrato in copertina dell’album, se avete voglia di feste sfrenate e musica anni ’80 avete trovato il disco perfetto. Nulla di innovativo, ma vi farà passare un’ora di puro godimento!

Ten -Something This Wicked Way Comes- Recensione

Esattamente un anno dopo Here Be Monster, ecco ritornare sulla scena i Ten.
L’album è nato durante il periodo del Covid, quando Gary Hughes preannunciò l’uscita di due album nell’arco di un anno, ed ecco puntuale Something Wicked This Way Comes.
Tra i due album non c’è nessuna relazione, a parte il classico sound riconoscibile dalla voce roca di Gary Hughes e dalle melodie hard rock sempre coinvolgenti. I Ten tornano, come precedentemente detto, dopo un anno dal precedente lavoro e confermano la formazione con alle pelli l’ospite Marcus Kullman, Dann Rosingana e Steve Grocott alle chitarre, Darrel Treece-Birch alle tastiere e naturalmente la mente e voce Gary Hughes, instancabile songwriter negli ultimi anni.

Per quanto riguarda Something Wicked This Way Comes è il classico album che ci si aspetta dai Ten, melodie, grandi riff di chitarre e bisogna aggiungere degli ottimi assoli in questo lavoro, ancora più in evidenza.
Tutti i lavori dagli inizi degli anni ’90 ad oggi hanno un’impronta ben precisa, un suono definito e riconoscibile, dove la voce di Gary Hughes o si ama o si odia, non ci sono vie di mezzo.
Già la opener Look For The Rose fa capire che i Ten sono ancora in ottima forma, basta sentire il bellissimo assolo e la melodia, certo qualcuno potrà storcere il naso per la mancanza di innovazione, ma questo è il loro marchio di fabbrica.
Non sono da meno le successive tracce Brave New Lie, The Tidal Wave dove le tastiere si fondono perfettamente con i riff di chitarra, il basso che detta il tempo e le melodie la fanno da padrone.
La title track Something Wicked This Way Comes conferma quanto detto fin’ora con i suoi 7 minuti, The Fire and The Rain è invece la classica canzone mid tempo che abbiamo sentito su ogni album dei Ten, mentre la ballad New Found Hope scorre senza sussulti. Tutti i pezzi funzionano e il lavoro alle chitarre personalmente lo trovo migliore dei precedenti album sia come qualità sia come melodie.

Il mio voto finale equivale al precedente Here Be Monster, ottimo lavoro.

IN CONCLUSIONE :
Chi conosce i Ten sa cosa trovare e non rimarrà deluso, melodie che entrano subito in testa e chitarre taglienti. Un lavoro che non deluderà i fan.

Marco Mendoza – New Direction – Recensione

L’eterno giovane Marco Mendoza; dovremmo definire così questo super artista che col suo basso ha dettato note e melodie per tantissimi gruppi (Thin Lizzy, Dead Daises,Journey, Black Star Rider, Blue Murder, Lynch Mob…bastano?). Nonostante queste tantissime collaborazioni a Mendoza non è mancato il tempo di registrare il suo quarto lavoro solista “New Direction“, con la collaborazione di Soren Andersen alle chitarre e tastiere, Morten Hellborn(Stargazer)alla batteria e Tommy Gentry(GUN) alla seconda chitarra.

Il nuovo lavoro arriva quattro anni dopo Viva La Rock (2018) e personalmente lo considero un passo avanti sia come scrittura che come tipologie di brani. Infatti troviamo canzoni che vanno dal rock a stelle e strisce di All That I’m Living For, al rock più diretto di Take To The Limit (chi ha detto Ac/Dc?). Un sentore di Southern nella bella Can’t Explain It, non può poi mancare l’hard rock più diretto con le scatenate Scream And Shout e Free Ride mentre arriviamo alla ballad di turno con gli echi di Whitesnake e David Coverdale nella bellissima Walk Next To You. Il momento più AOR lo troviamo con Shoot For The Stars, ma è la chiusura di New Direction che esprime tutto il potenziale dell’album, per chiudere un lavoro di alto livello: infatti la title track è un brano dove bisogna chiudere gli occhi e partire per un viaggio lunghissimo dove ogni nota e ogni accordo è al suo posto, un brano immenso.
Senza tanti giri di parole, ascoltatelo!

IN CONCLUSIONE :
Un lavoro diretto, sincero, ispirato con diversi momenti che passano dall’AOR all’Hard Rock che soddisferanno i tanti appassionati di musica genuina e vera.

Devil’s Train – Ashes & Bones -Recensione-

Terzo lavoro in studio per i Devil’s Train , che con questo Ashes & Bones tornano più in forma che mai e con una line up cambiata per due quarti, dove troviamo il veterano Jorg Michael che ha suonato dietro alle pelli per una serie smisurata di gruppi hard rock (Saxon, Running Wild….), la voce e la mente di R.D. Liapakis, il basso esperto di Jens Becker e la chitarra tagliente di Dan Baune che formano un gruppo di tutto rispetto e sfornano un album di ruvido hard rock ai confini col metal tutto guidato sotto l’etichetta greca Rock of Angels.

Le canzoni sono tutte di grande effetto, a partire dal potente hard rock con venature blues The Devil & The Blues, la seguente energia di Girl Of South Dakota col suo suono caldo a tratti metal. Non mancano i momenti più easy listening con You Promised Me Love che strizza l’occhio alla melodia fino ad arrivare a momenti puramente blues con Smell Sex Tonight, dove il sentore Whitesnake si fa più imponente. La title track Ashes & Bones ha il sound dei Black Label Society, con le chitarre ruvide ma sempre potenti, mentre Rock N Roll Voodoo Child è un hard rock molto southern col basso in primo piano dove troviamo nuovamente un tocco un po’ Whitesnake un po’ Heavy. Altra traccia Southern ruvida e sporca è Man With A Gun , col suo riff molto hard rock, l’assolo melodico e dove la voce di Liapakis si fonde perfettamente col pezzo.

IN CONCLUSIONE:
Se amate l’hard rock sanguigno e il Southern con tinte blues non lasciatevi scappare questo album caldo, potente e melodico. Nulla di nuovo ma un disco che è il perfetto continuo dei due predecessori.