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Recensione

70/100

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Art Nation – Revolution – recensione

10 Agosto 2015 17 Commenti Nico D'andrea

genere: Melodic Rock / AOR
anno: 2015
etichetta: AOR Heaven

Tracklist:

01. Need You To Understand*
02. 3.000 Beats*
03. I Want Out
04. Number One*
05. Don't Wait For Salvation
06. All The Way
07. Start A Fire*
08. Moving On
09. Here I Am*
10. Look At The Sky
11. Wage War Against The World
12. All In

* migliori pezzi

Formazione:

Alexander Strandell - Voce
Christoffer Borg - Chitarre
Johan Gustavsson - Chitarre
Simon Gudmundsson - Basso
Theodor Hedström - Tastiere
Carl Tudén - Drums

 

Se questa promo mi fosse stata recapitata come un tempo su supporto fisico ,sicuramente avrebbe riportato sul proprio involucro la dicitura “Materiale esplosivo, maneggiare con cautela”.
Si perchè le premesse che accompagnano questo “Revolution” degli svedesi (ma dai ???) Art Nation ne rendono le sembianze piuttosto simili a quelle di un’ordigno pronto ad esplodere in qualsiasi momento.
Ecco che allora arriva il vostro artificiere di fiducia che come spesso accade la bomba rischia di farla brillare contenendone il tanto atteso botto.
In totale onestà vi confesso che questo è un disco che perfino il sottoscritto non sa bene da quale parte prendere e vi spiegherò perchè.
Fin dal primo ascolto questi ragazzi di Goteborg non possono non essere associati ai loro più blasonati connazionali H.e.a.t, data la (a tratti imbarazzante) similitudine del sound proposto con quello di Eric Rivers e compagni.
Volendo andare un po’ più a fondo gli Art Nation non raggiungono la stessa varietà e ricercatezza negli arrangiamenti dei titolari di ” Adress The Nation” ed il suono non è così cristallino come quello che il magistrale Tobias Lindell ha saputo confezionare per gli H.e.a.t Gronwall-era.
Attenzione però che il livello qualitativo rispetta gli elevati standard dello “Swedish Sound” certificato dalla presenza alle consolle di Jakob Hermann (Hardcore Supestar) e Jacob Hansen (Volbeat).
Ecco quindi spiegata la leggermente minore “pulizia” sonora e certe sfaccettature “Modern Rock” che come in questo caso sembrano attrarre buona parte dello stuolo di new comers svedesi.
Veniamo allora alle canzoni che per un buon 50% dei casi si rivelano delle autentiche perle Melodic Rock :

La partenza è devastante per il vertiginoso tasso melodico dell’opener “Need You To Understand“. “3.000 Beats” è da meno solo per l’esagerata somiglianza nelle strofe al masterpiece dei W.E.T. One Love. “I Want Out” ha un bel tiro ma “skippo” alla successiva “Number One” che esordisce con un bel riff bluesy tra Burning Rain e Tyketto ed esplode in un refrain da alto manuale AOR. In mezzo un bel solo di Keyboards degno del miglior Mic Michaeli d’annata.
A questa punto le mie mani incominciano a sudare e si fanno tremolanti… filo rosso o filo blu ?
Un gesto sbagliato e la bomba rimarrebbe inesplosa. Ho bisogno di più tempo…
Don’t Wait For Salvation” è un’altro ottimo pezzo con un bel drive chitarristico su un delizioso manto di tastiere pomp che pure conferma le notevoli doti del cantante Alexander Strandell, (forse anche per suggestione) un convincente mix tra la vocalità passionale di Kenny Leckremo e quella più potente di Erik Gronwall (peccato per il look orribilmente New Wave).
In realtà a lasciarmi basito è ancora una volta la perizia tecnica di tutto il sestetto la cui fluidità esecutiva è spesso disarmante.
Allora perchè sprecarla nella banale uptempo da Rock’n’roll party “All The Way“?
Incomprensibile, visto che la seguente “Start A Fire” contiene il ritornello più contagioso di tutto il disco. Anche qui però il pimpante riff di tastiera richiama fin troppo “What Goes Up” dell’ultimo Alien.
Moving On” è un’altra traccia da manuale Melodic Rock ma con un chorus troppo scolastico.
Il livello torna altissimo con “Here I Am“. Un’intro suggestiva degna dei compianti Urban Tale, il passo dei migliori Work Of Art ed un’altro refrain epidemico di quelli che sono un po’ mancati proprio in “Framework”.
E la ballata ? “Look To The Sky“, un pezzo pianistico che non si pone al livello dei brani migliori del platter così come “Wage War Against The World“, sempliciotta e come la su citata “All The Way” fuori contesto.
Ottima la chiusura di “All In” penalizzata però da un altro ritornello un po’ scontato.
Mmmm… É Il dispositivo a tempo ha ormai terminato il suo countdown.
La cesoia che dovrebbe tranciarne i fili scivola dalle mie mani madide di sudore per affidarsi a quelle di chi, dopo aver letto queste mie righe, vorrà cimentarsi nell’ascolto di questo Revolution.

IN CONCLUSIONE

Ebbene sì. La sensazione definitiva è quella di trovarsi tra le mani una vera bomba, l’effetto della cui deflagrazione potrebbe però esaurirsi in breve tempo.
E’ un po’ di cuore quello che sembra mancare agli Art Nation che l’hanno assemblata in maniera stilisticamente ineccepibile e con alcune chicche che solo i più bravi sanno concepire.
Questa sarà in ogni caso un’uscita che farà discutere.
Osteggiata da alcuni per l’eccessiva componente “clonistica” ma (prevedo) adorata da molti per l’impatto scaturito dal proprio coinvolgente “potere” melodico.

© 2015 – 2016, Nico D’andrea. All rights reserved.

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