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Recensione

90/100

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The Darkness – Last Of Our Kind – Recensione

30 Giugno 2015 24 Commenti Iacopo Mezzano

genere: Hard Rock
anno: 2015
etichetta: Canary Dwarf

Tracklist:

1. Barbarian
2. Open Fire
3. Last of Our Kind
4. Roaring Waters
5. Wheels of the Machine
6. Mighty Wings
7. Mudslide
8. Sarah O'Sarah
9. Hammer & Tongs
10. Conquerors

Formazione:

Justin Hawkins - voce, chitarra
Dan Hawkins - chitarra
Frankie Poullain - basso
Emily Dolan Davies - batteria

Contatti:

Facebook: https://www.facebook.com/thedarknessofficial

 

 

Ritornati sulle scene nel 2012 con il più ordinario Hot Cakes, le meteore amate-odiate dai fan di tutto il mondo, gli inglesi The Darkness, si giocano il tutto-per-tutto con il loro nuovo album Last Of Our Kind, da poco disponbile nei negozi e pronto a rilanciare definitivamente la seconda era artistica della band.

Abili anche oggi a ripresentare in grande stile il loro tipico sound retrò, che non è altro che una perfetta miscela tra i battiti di formazioni storiche come Kiss, Thin Lizzy, Aerosmith, ZZ Top, Thin Lizzy e soprattutto Queen, e come sempre puri cavalli di razza o animali da palco, i quattro inglesi si rendono ora ancora più classici, ma anche glam e alternativi, abbassando il loro tono melodico e rafforzando la carica e il grezzume (voluto) dei loro pezzi, risultando contemporaneamente commerciali e anti-commerciali. C’è chi dopo questo disco già li chiama eredi dei The Cult, non lo so, quel che è certo è che dopo l’ascolto di questo platter beh, o li amerete ancora di più o li odierete forever and ever amen (scimmiottando qui il titolo di un brano interpretato dal country man Randy Travis che oggi sta combattendo la malattia e a cui va il mio abbraccio in questa voluta divagazione). Justin Hawkins, beh, manco a dirlo è il solito matto-mattatore del disco, con la sua inconfondibile vocalità acuta in falsetto carica di carisma che permea ogni nota e che, lo sappiamo, ha costruito da sola l’80% del successo di questo gruppo. Al suo fianco, il fido fratello Dan Hawkins e un Frankie Poullain sempre in grande forma al basso, con la nuova (e già uscita dal combo) Emily Dolan Davies di grande effetto alla batteria che completano un quartetto oggettivamente a cinque stelle, almeno tecnicamente.

Diversamente da Hot Cakes, che viveva per lo più di rendita degli anni passati e presentava qua e là qualche buon pezzo abbinato però a filler abbastanza evidenti, il livello generale delle composizioni di questo disco appare sempre piuttosto alto, e soprattutto la sua prima metà continene almeno quattro hit assolute, pronte a diventare classici della carriera di questo gruppo britannico. Non parlo forse della comunque preziosa (e già singolo) Barbarian messa in apertura, che tolto il suo groove e il suo particolare refrain non lascia poi molto nel cuore del sottoscritto, ma bensì del quartetto atomico composto da Open Fire, Last of Our Kind, Roaring Waters e Wheels of the Machine. Da brividi. La prima di queste canzoni, anch’essa singolo per l’opera, ci spazza letteralmente via con la sua energia e il suo intenso riffing, che spinge verso un ritornello corale alla Y&T, da cantare a squarciagola in sede live. La title track invece, wow, è una traccia ritmata tra Thin Lizzy, Aerosmith, Queen e qualsivoglia band classica del genere hard rock, che ci lascia letteralmente a bocca aperta grazie a un songwriting riuscito in ogni suo minimo dettaglio. E’ la top track del disco, sono inutili i giri di parole. Infine salgono sugli altari Roaring Waters e Wheels of the Machine, la prima stupendamente interpetata da Justin Hawkins su riff e ritmiche di grande classe, la seconda tipica ballad da antologia del gruppo, colma di sentimento, grande melodia e vocalità.

Se la prima metà di Last Of Our Kind rasenta dunque la perfezione, la sua seconda appare lievemente in calo, ma non priva comunque di qualche particolare sussulto. Se da un lato sono infatti soltanto molto buone la ritmata e tutta groove Mighty Wings, che apre comunque a un refrain molto melodico e di facile ascolto, e Mudslide, che è ordinaria e non si distacca mai dal classico sound hard rock, la strepitosa Sarah O’Sarah ci pensa da sola a regalare diversi punti al giudizio finale dell’opera, evidenziandosi come un componimento delicato e magnifico, alla Thin Lizzy, che non si smetterebbe mai di ascoltare e riascoltare ancora. Infine, una Hammer & Tongs dannatamente settantiana nel sound delle sue chitarre lascia spazio alla grande chiusura a titolo Conquerors, che tributa in tutto e per tutto i Queen nel suo sensazionale ritornello. Un colpo al cuore che nasce da un songwriting vintage geniale, che renderebbe fiero il buon Freddie Mercury e i suoi compagni. Davvero.

IN CONCLUSIONE

Non stento a definire questo Last Of Our Kind come l’album più maturo ed ispirato fino ad ora composto dai The Darkness. Forse i dischi degli esordi erano più melodici, più orecchiabili, più semplici o più spensierati, questo è vero, e perciò i più continueranno per questi motivi a valutarli ancora come i migliori nella carriera del gruppo. Ma questo prodotto targato 2015 è ad oggi, tecnicamente e stilisticamente, quanto di più completo, raffinato e originale composto dal combo inglese. E’ innegabile.

I The Darkness si sono perciò completamente rivalutati ai miei occhi, tanto che ora defintivamente credo nella bontà non solo live ma anche discografica della loro reunion. Che stile ragazzi, che stile!

 

© 2015 – 2022, Iacopo Mezzano. All rights reserved.

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